L’IMPERO
DEI MALLARDO. IL TRIBUNALE SEQUESTRA I BENI DEI DELEGATI PONTINI DEL
CLAN
di
Graziella Di Mambro
Il
Tribunale di Latina, presidente Pierfrancesco De Angelis, ha ordinato il
sequestro di beni mobili (in conti correnti e azioni) e immobili, tra cui
alberghi, ristoranti e concessionarie di auto, per oltre 65 milioni di euro.
Tutti riferibili ai rappresentanti del clan Mallardo e ai suoi delegati pontini,
ossia i fratelli Dell’Aquila.
Sono
state sufficienti due parole per riassumere l’operazione «bad brothers» che ha
portato ad un maxi sequestro di beni provento di attività illecite del clan
Mallardo, in larga parte ubicate nel sud della provincia di Latina. Queste
parole: «presenza radicata». Le ha pronunciate ieri mattina il procuratore capo
di Roma, Giuseppe Pignatone, nel corso della conferenza stampa tenuta insieme
agli uomini della Polizia Tributaria per illustrare i dettagli del provvedimento
chiesto a maggio dalla Procura e autorizzato il 10 giugno con ordinanza del
Tribunale di Latina. Negli atti è ricostruita la scalata economica di Domenico e
Giovanni Dell’Aquila approdati a Formia nel 2007 dove tuttora risultano
domiciliati in via dell’Acquedotto Romano. È da quel momento che hanno
cominciato a cercare attività immobiliare in cui investire e società che
avrebbero, nel tempo, consentito quel radicamento economico cui ha fatto
riferimento ieri mattina il procuratore Pignatone, ponendo fine (questa volta
per sempre) al luogo comune in base al quale la camorra in provincia di Latina è
«infiltrata» o al massimo in vacanza. Il patrimonio sequestrato dal Tribunale
appartiene direttamente o tramite prestanome identificati a Domenico
Dell’Aquila, 48 anni di Giugliano in Campania ma domiciliato a Formia, a
Giovanni Dell’Aquila, 58 anni, anch’egli domiciliato a Formia, al figlio di
questi, Vittorio Emanuele, 26 anni residente a Formia, e a Cicatelli Salvatore,
23 anni, nato a Napoli ma residente a Fondi, fratello di Rita Cicatelli, ex
segretaria di Giovanni Dell’Aquila. Il provvedimento di sequestro è motivato dal
Tribunale con l’appartenenza dei quattro «ad associazioni di cui all’articolo
416 bis del codice penale, sicché sono soggetti pericolosi... a carico dei quali
risultano concordanti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia». Delle
avventure economiche in terra pontina dei Mallardo hanno parlato ripetutamente
nei verbali Salvatore Izzo, Massimo Amatrudi, Salvatore Giuliano, Luigi
Giuliano, Domenico Bidognetti, Luigi Diana, Giuliano Pirozzi, Giovanni Chianese.
E tutti hanno indicato Domenico e Giovanni Dell’Aquila come i «cassieri» del
potente clan Mallardo che governa l’area di Giugliano in Campania. In
particolare il pentito Salvatore Izzi nelle dichiarazioni rese alla DDA di
Napoli il 29 aprile del 2010 ha detto che i due Dell’Aquila svolgono «attività
imprenditoriale per conto del clan e che anche Vittorio Emanuele Dell’Aquila è
integrato nella stessa associazione. I due fratelli Dell’Aquila, con decreto del
GIP di Napoli del 28 gennaio 2011, sono stati rinviati a giudizio in quanto
aderenti al clan Mallardo, la stessa ragione per cui vennero arrestati a marzo
del 2010 con ordinanza di custodia cautelare. Nella quale Domenico Dell’Aquila
venne definito «uomo di fiducia del clan per gli affari in terra pontina». Sotto
il profilo strettamente tecnico, alla base del sequestro operato ieri c’è
l’accertata disponibilità da parte dei quattro di un reddito risultato
palesemente sproporzionato rispetto alle attività economiche svolte. Dunque un
tenore di vita troppo alto in relazione al lavoro che svolgevano in via
ufficiale e pertanto considerato frutto di attività illecite o di riciclaggio
del denaro derivante dalle stesse. Alla componente economica si aggiunge la
«pericolosità» dei soggetti cui sono stati sequestrati i beni che secondo il
Tribunale di Latina si ravvisa sulla base della documentazione e delle prove
prodotte dalla Procura di Roma, «sia in riferimento alla partecipazione
all’organizzazione camorristica che in relazione alle attività di fittizia
attribuzione dei beni».
IL
TENORE DI VITA DEI «BAD BROTHERS»
Il
nome in codice dell’operazione, «Bad brothers» non è stato scelto a caso bensì
in omaggio ai fratelli Domenico e Giovanni Dell’Aquila. Le verifiche della
Polizia Tributaria effettuate su delega della DDA di Roma hanno fotografato lo
status patrimoniale di ciascuno dei due. E così dagli «accertamenti patrimoniali
svolti nei confronti di Domenico Dell’Aquila è emersa la totale assenza di
capacità reddituale lecita, sua e dei suoi familiari con una situazione
economica complessiva (ossia riferita all’intero nucleo familiare) che evidenzia
una palese incoerenza patrimoniale in quanto, comparando il reddito annuale
dichiarato (maggiorato da eventuali incrementi patrimoniali derivanti da vendite
o altri elementi finanziari positivi), si rileva come nel decennio 2001-2011 vi
sia stata una sproporzione pari a 369.517,61 euro, fatto che indica
necessariamente il ricorso a fonti illecite di finanziamento da ricondurre alle
illecite attività poste in essere». Così scrive il Tribunale di Latina
nell’ordinanza che autorizza i sequestri. Per Giovanni Dell’Aquila la
sproporzione nel reddito, sempre riferita agli anni dal 2001 al 2011, è pari a
474.000 euro.
UNA
RETE DI SOCIETÀ
Una
rete di società consentiva ai membri del clan Mallardo di effettuare
investimenti sul territorio, non solo a Latina ma anche a Giugliano in Campania
e in Emilia Romagna. Per questo nell’elenco delle quote azionarie poste sotto
sequestro e che compongono una parte consistente dell’impero riferibile a
Dell’Aquila e Cicatelli sono finite la C.R. Diffusione s.r.l., Generali
Immobiliare s.r.l., Domiro s.r.l. in cui Domenico Dell’Aquila detiene
partecipazioni rilevanti attribuibili a lui direttamente o a soci che fungono da
prestanome e del tutto privi di capacità reddituali. Poi ci sono le società
«schermo»: New Auto s.r.l., Holiday s.a.s. e For You s.r.l.; dalle
intercettazioni telefoniche si evince che queste società sono, appunto, un sorta
di paravento per attività illecite e anch’esse sono riferibili a Domenico
Dell’Aquila, elemento che viene confermato anche dal collaboratore di giustizia
Salvatore Izzo. Per tale ragione i beni intestati a queste società «sono da
ricondurre a Domenico Dell’Aquila» e sono stati anch’essi posti sotto sequestro.
Sono invece attribuibili a Giovanni Dell’Aquila e al figlio Vittorio Emanuele la
Reale Aquila Immobiliare s.r.l., la D.G. Immobiliare s.r.l., la Di.Effe.Gi.
Costruzioni s.r.l. di cui entrambi detengono partecipazioni. Ma per esempio
hanno tutte le quote di Reale Aquila. Fungono invece da «schermo» per attività
illecite dei due la Tecniche Immobiliare s.r.l., Deca Costruzioni s.r.l. e
Imperial Car s.r.l. di cui Giovanni Dell’Aquila poteva «disporre totalmente».
Circostanza specificamente citata nel verbale contenente le dichiarazioni del
pentito di camorra Gianluca Pirozzi. Per quanto riguarda Salvatore Cicatelli è
stato accertato che questi aveva un tenore di vita non giustificabile e una
sproporzione economica tra quanto denunciato dal 2001 al 2011 e la realtà, pari
a 458.000 euro circa; il Cicatelli è subentrato nelle quote detenute nella
Imperial Car di Fondi da Giovanni Dell’Aquila tre giorni dopo l’arresto di
questi.
QUANDO
È SUCCESSO
Nella
ricostruzione dell’avvento dei Mallardo tra Formia, Fondi, Terracina e oltre non
è indifferente la collocazione temporale. Gli affari migliori da queste parti li
hanno fatti tra il 2007 e il 2010. Non sono anni trovati a caso. Perché in
quello stesso periodo si consolida sul territorio la presenza di altri clan, in
una sorta di spartizione che emergerà in tutto il suo clamore e gravità negli
atti riferiti al cosiddetto «caso Fondi». Si scopre in quel contesto che a metà
degli anni Duemila una serie di gruppi di camorra e ‘ndrangheta aveva diviso il
territorio per singole competenze e specializzazione criminale: c’era chi si
occupava di usura e chi di droga e armi e chi costruiva immobili con soldi
riciclati in una sorta di patto sociale in cui a ciascuno era toccato un
segmento di economia illegale, dove trovava spazio anche il racket. Ogni volta
che sono state tracciate le coordinate di questa rete criminale sono emersi
enormi interessi finanziari e pericolosi contatti con la politica e le
amministrazioni a livello burocratico. È successo tutto nello stesso arco di
tempo, come se fosse stato superato il segno e anche le connivenze non sono
riuscite più a reggere un radicamento che ormai era sotto gli occhi di tutti.
Tranne qualche rara frangia politica che, in fondo, persino adesso continua a
negare. E forse è irrimediabile.
L’ANAGRAFE
È
possibile che l’inchiesta su Domenico e Giovanni Dell’Aquila sarebbe comunque
cominciata e sarebbe altresì decollata per come la conosciamo oggi. Eppure c’è
stato un momento decisivo per tutto quello che si è scoperto tra il 2010 e il
2013 su questo ricchissimo gruppo di camorra «immigrato» da Giugliano. È il
momento del loro trasferimento negli elenchi dell’Anagrafe del Comune di Formia,
nel 2007. Quando gli uffici dell’ente ricevono la richiesta trasmettono una
informativa al Commissariato di Polizia di quella città che, in base a questo
input, avvia per primo l’indagine sui due fratelli imprenditori di Giugliano.
Dunque la più importante indagine economica sulla presenza «radicata» della
camorra in terra pontina deriva, nei fatti, da un piccolo atto passato da un
piccolo Comune alla Polizia. A dimostrazione che gli enti locali non sono del
tutto inermi davanti alla escalation economica e quindi criminale delle
organizzazioni di stampo mafioso, come si sente normalmente in giro nei (pochi)
convegni che si tengono in zona su quelle che ancora vengono definite
impropriamente infiltrazioni mafiose.
MOLTI
SOLDI IN TASCA
La
base logistica era Formia ma poi gli investimenti riguardavano punti diversi in
tutto il Paese e infatti il sequestro di beni ha riguardato il Lazio, in specie
il sud pontino, la Campania, soprattutto l’area di Giugliano, e l’Emilia
Romagna, tra Bologna e Cento. La base «filosofica» però riguarda la
disponibilità finanziaria. In altri termini i fratelli Dell’Aquila sbarcano in
provincia con molti soldi, contanti per lo più. Non sono soli perché hanno una
rete di collaboratori e, soprattutto, possono contare sull’apporto tecnico e
professionale di «consulenti».
In
questo modo riescono ad avere contatti con le banche, con i Comuni, con gli
uffici territoriali in forma del tutto pulita, trasparente. Ciò non toglie il
sospetto che per creare un impero immobiliare e societario come quello
sequestrato certamente hanno potuto godere di appoggi. La portata dell’impero
dei Dell’Aquila era già emersa in due circostanze, con gli arresti del marzo del
2010 e con l’operazione Aquila Reale nell’ottobre del 2011. Se si fa eccezione
per un altro pezzo da novanta dei casalesi, ossia l’avvocato Cipriano Chianese,
nessuno prima di loro aveva mostrato una simile tecnica imprenditoriale e una
così ampia disponibilità di denaro.
Ed
è quest’ultimo l’elemento che porta a considerare la vicenda dei Dell’Aquila
come l’emblema del riciclaggio di denaro sporco della camorra fatto da anni in
provincia di Latina. In questo caso sono state trovate le prove, che
probabilmente mancano o non sono del tutto convincenti in altre situazioni
analoghe che riguardano altri gruppi della stessa tipologia e con i medesimi
interessi nel campo del commercio e dell’edilizia.
IN
PRINCIPIO FU L’EX DESCO
di
Pierfederico Pernarella
L'operazione
«Bad Brothers» è il secondo tempo dell'attacco sferrato dall'Antimafia agli
affari del clan Mallardo. Il primo tempo porta invece il nome di «Arcobaleno»,
l'inchiesta della DDA di Napoli culminata nel 2010 anch’essa con arresti e
sequestri patrimoniali considerevoli. Quelli della prima inchiesta erano
addirittura da record: circa 600 immobili per un valore di circa 500 milioni di
euro. Ci sono legami tra le due operazioni? Qualcuno. Oltre ai Dell'Aquila,
infatti, tra i nomi presenti nell'operazione «Bad Brothers» che comparivano
anche in quella «Arcobaleno», ci sono quelli di Gennaro Delle Cave e Carmine
Maisto. Quest'ultimo in particolare, imprenditore di Giugliano in Campania, era
legato ad alcuni tra i principali affari emersi nella prima inchiesta. Su tutti
quello dell'ex Desco, l'ex industria di pomodori di Terracina che sarebbe dovuta
diventare una mega complesso edilizio composto da alloggi, attività commerciali,
servizi. Una sorta di nuovo quartiere pensato come intervento di
riqualificazione di un sito industriale dismesso. Era il fiore all'occhiello
degli affari compiuti dal gruppo dei giuglianesi arrivati in terra pontina per
fare soldi con il mattone. In realtà quel progetto è diventato una maledizione.
Oggi il cantiere sulla Pontina, all'ingresso nord di Terracina, è sotto
sequestro, provvedimento chiesto ed ottenuto dal sostituto procuratore Giuseppe
Miliano. La camorra, in questo caso, non c'entra nulla. L'inchiesta riguarda le
illegittimità urbanistiche del progetto in variante approvato come un Accordo di
Programma senza però, secondo l'ipotesi dell'accusa, avere i requisiti. Sigilli
che arrivano, sigilli che vanno, sigilli che tornano. E sì perché l'area dell'ex
Desco finita come punta di diamante del patrimonio sequestrato con l'operazione
«Arcobaleno», circa un anno prima del sequestro per lottizzazione abusiva
disposto dalla Procura di Latina, era da poco tornata nella disponibilità degli
imprenditori giuglianesi - non più Maisto (titolare della società che nel 2008
chiuse la compravendita), ma Vincenzo Gallucci. L'inchiesta della DDA di Napoli,
infatti, non ha retto la prova del Riesame, soprattutto nella parte riguardante
i prestanome.
Non
solo Maisto, manche Antonio Pirozzi (classe ‘72), Domenico Petito, Raffaele
D’Alterio, Antonio Pirozzi (classe ‘71), Gaetano Abruzzese, Gennaro Delle Cave e
Pietro Paolo Dell’Aquila (fratello del latitante Giuseppe Dell’Aquila). Dietro
gli affari di questi ultimi, secondo l'Antimafia, c’era la mano del clan
Mallardo attraverso una rete di passaggi societari e un giro di prestiti
bancari, spesso concessi a fronte di dichiarazioni di redditi al limite della
povertà. Ma appunto l’impalcatura investigativa, basata peraltro su
dichiarazioni dei pentiti e intercettazioni telefoniche, non ha retto, almeno
per quanto riguarda la posizione dei prestanome. A smontare le accuse della
magistratura è stata una perizia contabile affidata ad uno dei più noti
commercialisti di Napoli. Un lavoro che ha fatto cadere tutte le ipotesi
accusatorie che andavano dall’associazione di stampo mafioso, di riciclaggio di
denaro sporco e di intestazione fittizia di beni. Per cui gli imprenditori
giuglianesi da subito sono tornati tutti in libertà e lo scorso anno sono
tornati in possesso di buona parte dei loro beni. Ora sulla decisione di
dissequestro presa da Riesame pende un ricorso in Cassazione presentato dai
magistrati della DDA di Napoli.
TUTTI
I PRESTANOME
Tutto
ciò che è emerso, cioè l’esistenza di un’impresa di origine criminale con
elevatissime capacità di investimento in diversi settori, denota certamente la
presenza stabile nella società dei Dell’Aquila e nelle loro attività di una rete
consolidata di prestanome. E infatti il Tribunale di Latina fa un lungo elenco
di persone di cui i referenti del clan «si servivano» per i loro affari su
questo territorio. Si tratta di Vincenzo Vitiello, Eva Bruno, Francesco Di
Gioia, Mariantonia Granata, Sabato Tortorella, Gennaro Delle Cave, Giuseppe
Cerqua, Filomena Cecere, Giovanni Ravai, Roberto Gazzelli, Antonio Maisto,
Concetta Maisto, Carmine Maisto, Francesco Maisto, Pasquale Maisto, Antonietta
Volpicelli, Giulia Chiarello. Tutti vengono definiti nell’ordinanza del GIP
quali prestanome dei Dell’Aquila in quanto si evince «la totale assenza di
redditi da loro dichiarati a fronte della formale intestazione di rilevanti
proprietà e/o partecipazioni azionarie che sono tutte attribuibili a Giovanni e
Domenico Dell’Aquila, sia in virtù di precedenti intestazioni (ossia di cessioni
di quote precedentemente intestate ai Dell’Aquila)», sia per il coinvolgimento e
conseguente rinvio a giudizio di alcuni di questi prestanome per l’indagine che
ha già riguardato i Dell’Aquila e avviata dalla DDA di Napoli sulle
ramificazioni del clan Mallardo di Giugliano.
La
Direzione Distrettuale di Roma nelle verifiche che hanno portato al sequestro di
ieri mattina aveva richiesto l’applicazione della stessa misura dei sigilli alle
quote di partecipazione di altre persone, ossia Domenico Cecere, Rosa Di Nardo,
Antonio Iannone, Valentina Ruoppolo, Federico Sepe e Gioacchino Mancinelli. ma
la proposta è stata respinta dal Tribunale in quanto tutti risultano essere
stati ex soci di società ricondicibili ai Dell’Aquila; una partecipazione, per
di più, limitata nel tempo che non può, da sola, essere sufficiente a
considerarli attuali prestanome. Tra gli immobili intestati invece direttamente
ai due principali «imprenditori» individuati nel blitz di ieri ci sono due
immobili in via Solaro a Formia, intestati, appunto, a Domenico Dell’Aquila e le
partecipazioni in C.R. Diffusioni s.r.l., Generali Immobiliari s.r.l. e Domiro
s.r.l.; ancora a Formia risultano di proprietà di Giovanni Dell’Aquila beni in
via dell’Acquedotto Romano, a Fondi in località San Vincenzo, ancora a Fondi in
via Querce e via Giuseppe Amante, mentre Raffaele Dell’Aquila, uno dei figli di
Domenico, risulta direttamente titolare di immobili a Fondi. La ricostruzione
catastale fatta dalla Polizia Tributaria della Guardia di Finanza ha richiesto
molti mesi con l’incrocio dei dati raccolti già nel corso delle precedenti
inchieste che hanno riguardato sempre la presenza dei Dell’Aquila sul
territorio. Un interesse che si è stabilizzato a partire dal 2007, quando lo
stesso gruppo voleva mettere le mani su alcune vecchie fabbriche per realizzare
lottizzazioni per uso commerciale ed abitativo, come risulta da intercettazioni
telefoniche allegate alle prove delle ordinanze di custodia cautelare notificate
nel 2010.
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