COME
VIENE MISURATA LA TARIFFA PUNTUALE: DAL "CODICE A BARRE" AL
"TRANSPONDER"
di
Giuseppe Miccoli
Durante
il
convegno di Capannori, alcuni comuni (Trento, Ponte nelle Alpi, Capannori) e
alcuni consorzi (consorzio trevigiano Priula) hanno dichiarato di essere
riusciti negli ultimi anni a raggiungere non solo alte percentuali di raccolta
differenziata ma anche a ottenere un abbattimento dei costi di gestione, che si
è tradotto per le tasche dei cittadini in un risparmio grazie alla riduzione
della tariffa sui rifiuti.
Ma
come ci sono riusciti? Grazie all’introduzione della tariffazione puntuale, cioè
alla possibilità per ciascun utente di pagare in base a quanto rifiuto ognuno
produce. Buone pratiche che anche in altri comuni (ad esempio Mola di Bari o
Triggiano, per citare comuni del sud Italia) e consorzi (ad esempio Iren
Emilia), sono prossime all’attuazione, grazie ad un progettazione accorta che
aveva predisposto questo sistema già in fase di bando gara. La tariffazione
puntuale è dunque, una necessità che “va a braccetto” con il servizio di
raccolta porta a porta e che difficilmente, invece, si lega ai servizi basati
sulla raccolta stradale e sul conferimento e smaltimento in discarica. La Tares
introdotta dal governo Monti però è vicina più a questo secondo sistema, ma
lascia tuttavia una via d’uscita a tutti quei comuni che hanno introdotto nel
tempo una raccolta differenziata porta a porta: la possibilità cioè di
introdurre la tariffazione puntuale.
L’Italia
ormai è l’unico Paese europeo a pagare ancora il servizio di raccolta dei propri
rifiuti in base ai metri quadri della proprietà di un immobile, cioè a quanti
metri quadri una famiglia o un’impresa possiede. In questo modo ogni cittadino è
incentivato a produrre più rifiuti possibile proprio per ottimizzare la propria
tassa. Al contrario in Europa invece la tariffa viene modulata in base al
servizio, in base cioè a quanti mezzi, attrezzature, e raccolte di rifiuti
vengono impiegate nel corso di un periodo di tempo dal servizio comunale di
nettezza urbana. In questo modo il cittadino è incentivato a produrre meno
rifiuti possibile perché paga in base al servizio ricevuto. È come per il
telefono il cui costo della telefonata varia anche in funzione degli scatti
prodotti.
Ma
come funziona? La tariffazione puntuale viene “misurata” grazie all’uso di una
tecnologia che è già di uso comune, e perciò senza più vincoli di brevetto: il
transponder RFID UHF (Radio Frequency IDentification Ultra
High Frequency), un microchip che ha la capacità di far identificare e di far
memorizzare agli operatori i dati relativi ai rifiuti esposti nei vari bidoncini
o nei sacchetti. Una tecnologia che nasce per sostituire una precedente che è
tuttora in uso nel settore manifatturiero: quella del “codice a
barre”. In una intervista rilasciata a Eco dalle Città nel 2011
e successivamente nel
2012, Attilio Tornavacca amministratore della ESPER (Ente per lo Studio Ecosostenibile dei Rifiuti), aveva
spiegato i vantaggi della tecnologia e aveva ripercorso la storia della
“transponder RFID UHF” nel settore della gestione dei rifiuti, in particolare
legato all’uso che se ne era fatto sui sacchetti di plastica: «l’uso di
etichette con codice a barre sui sacchetti – aveva spiegato – è comparsa nel
settore della gestione dei rifiuti già da molti anni. A introdurla per primi
sono stati i comuni dei Navigli in provincia di Milano, e parliamo ormai del
1997, cioè 15 anni fa. Poi è stata ripresa da tanti comuni, tra cui anche comuni
del centro-sud. Nel 2003 infatti il comune di Mercato San Severino ha introdotto
i sacchetti con codici a barre, però nell’ottica di misurare non
l’indifferenziato ma i conferimenti differenziati. Il codice a barre, tuttavia,
ha posto sin dall’inizio dei problemi riguardanti la possibilità di lettura. Del
resto non è come sui prodotti del supermercato, sui quali i codici a barre
godono di una superficie liscia, rigida e quindi facilmente leggibile».
La
tecnologia dei transponder è stata poi integrata anche sui bidoncini. Il dottor
Tornavacca ha infatti spiegato che «l’uso dei transponder sui contenitori rigidi
(parliamo quindi di transponder non "a perdere" ma montati sui contenitori e poi
utilizzati per anni), non è certamente una novità. Nel settore della raccolta
dei rifiuti i primi transponder sono comparsi più di 10 anni fa. All’epoca
costavano 5-6 euro al pezzo, mentre oggi un transponder rigido arriva a costare
anche 50 centesimi, cioè 10 volte meno».
E
non è escluso che oggi costino anche di meno proprio perché i numeri sono
«crescenti di questi dispositivi e l’uso è sempre più trasversale di queste
tecnologie, non solo nel campo della gestione dei rifiuti, che anzi è arrivato
dopo, ma inizialmente nel campo della grande distribuzione, per sostituire il
codice a barre. La novità a Capannori è in realtà l’uso di transponder così
miniaturizzati e così ridotti, sia in peso che in costi, da poter essere
utilizzati anche solo per una volta».
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