mercoledì 16 marzo 2016

PICCIONI, 10 REGOLE PER ANDARCI D’AMORE E D’ACCORDO

PICCIONI, 10 REGOLE PER ANDARCI D’AMORE E D’ACCORDO (ALMENO PER UN PO’)
di Letizia Palmisano
I piccioni: chi non li conosce? Sono tra le specie di volatili più diffuse nelle nostre città. Da migliaia di anni a fianco degli uomini, allevati per scopi alimentari o di comunicazione (chi non ha mai sentito parlare dei piccioni viaggiatori?), aperte le gabbie, si sono adattati rapidamente alla vita nelle nostre città, trovando facilmente luoghi ove nidificare e cibo per le strade. Oltre alla visione romantica dei “piccioncini che tubano” o a quella tenera della vecchietta, personaggio di Mary Poppins, che, grazie ai due penny offerti dai bambini, dava cibo ai piccioni, ad oggi se ne parla soprattutto per i problemi (piccoli o grandi) che spesso possono causare: pericoli per la pubblica igiene e al decoro di palazzi e monumenti, rischi di birdstrike per gli aerei e danni alle colture agricole. Talvolta i provvedimenti utilizzati non sono risolutori e, secondo la LIPU, le situazioni sono state “affrontate troppo spesso dalle istituzioni con provvedimenti emergenziali e sostanzialmente inutili, oltre che irrispettosi del benessere degli animali e degli equilibri ecologici (come la falconeria) quando non addirittura violenti (come le uccisioni o gli avvelenamenti diretti)”.
E allora che fare? L’associazione, nata oltre 50 anni fa con lo scopo di salvaguardare gli uccelli, ha elaborato un decalogo per una gestione corretta della specie, dieci regole per le istituzioni e la gente affinché si possa “arrivare a una pacifica e duratura convivenza, nel rispetto delle esigenze di decoro e igiene urbana ma anche degli animali e delle loro esigenze ecologiche”.
“Il nostro Documento si basa su tre messaggi basilari per una corretta gestione del piccione, da cui derivano le regole che vogliamo diffondere – ha affermato Fulvio Mamone Capria, presidente della LIPU –. Il primo riguarda il comportamento dell’uomo, il secondo l’esigenza di una strategia integrata, che coinvolga operatori, cittadini e istituzioni, e il terzo la necessità specifica di ridurre i siti di nidificazione e il cibo a disposizione della specie, che non dà veri benefici ai piccioni e anzi, paradossalmente, può creare loro problemi. Solo così si possono ottenere buoni risultati e una gestione soddisfacente per tutti”.
metodi consigliati sono più d’uno per permettere ad amministrazioni e cittadini di adottare quelli più adeguati al proprio caso:
1) una progettazione architettonica consapevole, ovvero la realizzazione di edifici che non incentivino la presenza e la nidificazione del piccione, ma che, al tempo stesso, non impedisca l’accesso ad altre specie come rondoni, passeri, rapaci e pipistrelli;
2) l’utilizzo di dissuasori di appoggio incruenti e adatti al particolare architettonico;
3) l’uso di reti antintrusione per impedire l’accesso dei piccioni in balconi, capannoni, cortili, porticati e torri campanarie, fatto salvo – specifica il decalogo – il periodo riproduttivo e senza impedire ad altre specie (rondoni, passeri, codirossi e pipistrelli) l’accesso a tali aree;
4) la gestione dell’alimentazione, che stabilisca limiti alla somministrazione di cibo aggiuntivo (alcuni comuni hanno introdotto specifiche multe a chi dia da mangiare ai piccioni, ndr) e poco nutriente (come pane e pasta), considerato che il piccione trova già nelle città e nelle aree circostanti cibo in abbondanza (fermo restando che una migliore gestione della raccolta dei rifiuti si ripercuoterebbe, in positivo anche sull’igiene pubblica, ndr);
5) campagne di informazione e sensibilizzazione verso pubblico e operatori, basati su dati etici, contenuti tecnici e scientifici;
6) l’incremento dei predatori naturali, tramite l’installazione di nidi artificiali per il falco pellegrino e l’allocco (rapaci presenti nelle città) o la taccola;
7) l’allestimento di colombaie nei parchi urbani, gestite direttamente dai Comuni, che possano dare soddisfazione ai colombofili senza creare problemi alla città, permettendo anche il controllo sanitario;
8) l’effettuazione di censimenti e monitoraggi, fondamentali per un’efficace strategia di gestione del piccione;
9) il miglioramento dell’igiene pubblica;
10) l’utilizzo, in ambiti diversi da quelli urbani, di deterrenti ottici e integrati, ad esempio negli aeroporti e per la prevenzione dei danni in agricoltura.
Il decalogo, ricorda la LIPU, è basato su evidenze scientifiche, studi e ricerche effettuate in più parti d’Italia e pareri internazionali.
Oltre a sapere cosa fare, l’associazione sottolinea anche cosa sia opportuno non mettere in atto. Tra i metodi non consigliati dalla LIPU nel Documento compaiono le catture e gli abbattimenti, la cattura e il trasferimento di soggetti, la sterilizzazione chimica e la falconeria. “Quest’ultima, oltre che essere eticamente inaccettabile – spiega Mamone Capria – si basa sul presupposto errato che la preda abbandoni l’area in presenza del predatore. Semmai, la preda si limita a nascondersi alla sua vista, per poi tornare a frequentare l’area e anche a nidificarvi, come dimostrano i nidi che il piccione ha realizzato in città anche nei pressi di quelli costruiti dal falco pellegrino”. A differenza della falcolneria che è una soluzione momentanea, quando il predatore naturale nidifica nell'area, contribuisce a creare un equilibrio naturale tra la preda (in questo caso il piccione) e il predatore.
Torneremo a “tubare con i piccioni”? Per scoprirlo proviamo prima ad applicare i consigli LIPU.

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