Per favore, politici italiani, lasciate perdere la D'Urso e la De Filippi
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Pop-politica, se vogliamo battezzarla così, col rischio di avviare giochi di parole poco profumati: fatto sta che Renzi e Salvini si sono presentati al popolo televisivo nazional-popolare sbarcando da Barbara D’Urso e da Maria De Filippi. D’altronde conoscono bene i loro polli, ruspanti o d’allevamento, sanno che per conquistare fiducia e applausi devono parlare alla pancia dell’Italia, agli spettatori più che agli elettori, alle nonne, alle zie, ai diciottenni che non leggono mai un libro o un giornale.
Le trasmissioni dichiaratamente votate all’informazione e al dibattito politici perdono colpi e audience, e poi sono sempre arene nelle quali il toro può incornare il torero: ci si può scontrare contro una domanda aguzza, contro una carica furibonda di critiche, contro una bufera di numeri negativi. Meglio girare al largo, meglio fare una bella figura là dove non è prevista grandine. Renzi e Salvini, non dimentichiamocelo, sono stati campioncini di quiz televisivi in epoche lontane, già allora se la cavavano benissimo sotto i riflettori e le battutine innocue dei conduttori: erano giovanissimi e già scafati, come si dice a Roma, cioè mille miglia lontani da ogni imbarazzo. Ora evidentemente hanno capito di dover far breccia tra le macerie dell’astensionismo e dell’indifferenza cronica, in un mondo distrattissimo che mette la politica all’ultimo posto dei suoi interessi. La D’Urso e la De Filippo sono le vestali del tempio del qualunquismo felice. La loro specialità sono le emozioni a buon mercato, quel sentimentalismo primitivo che piace tanto al popolo del telecomando.
I ragionamenti troppo complessi sono banditi, costringono a pensare e dunque ammosciano i programmi. Servono i personaggi, vale a dire le storie semplici, dirette, coinvolgenti, serve surriscaldare il cuore fino a farlo bollire e grondare. E Renzi e Salvini sono sicuramente due fuoriclasse della comunicazione immediata: il primo fa leva sulla speranza, il secondo sulla disperazione, due sentimenti opposti ma ugualmente vincenti. Sono rapidi, assertivi, passionali, sono perfetti per i telespettatori delle due principesse bionde. E’ la vittoria definitiva della “narrazione”, per usare un termine che va molto di moda, ovverosia di una politica che diventa racconto seduttivo, fiction popolare. Si “narra” come le scuole di scrittura odierne insegnano, badando a tenere sempre alta la tensione, agganciando i capitoli in modo da conquistare chi legge o chi ascolta. Ogni pausa, ogni riflessione, ogni dubbio annoiano e basta. Bisogna spingere il racconto verso un finale convincente: l’Italia resuscitata, per Renzi, l’Italia distrutta e invasa, per Salvini.
Già Berlusconi aveva saputo usare il salottino di Vespa come una cassa di risonanza eccezionale, ma Renzi e Salvini vanno oltre, scavalcando con un salto generazionale la noia di Vespa. Sanno bene che il confine tra la vittoria e la sconfitta è veramente sfumato, che molto dipende da come si riesce a indirizzare l’emotività collettiva. Chi è bravo a leggere i numeri dell’economia? Chi può capire se lo 0,8 di crescita è un numero buono o miserevole, se lo spread basso ci farà uscire dal buco o il buco del debito è troppo profondo? Pochi, pochissimi, quasi nessuno. Però milioni di persone sanno apprezzare una bella battuta, un sorriso o una smorfia piazzati al momento giusto, un racconto che fila bene. Per questo la D’Urso e la De Filippi funzionano alla grande, sono le spalle ideali per ogni scintillante monologo, sono le garanti ufficiali della cultura pop. Magari a Ballarò si prende una legnata, ma dalla D’Urso e dalla De Filippi si esce sempre vincitori, come in una partita di beneficenza trasmessa in prima serata, dove ciò che conta è solo lo spettacolo.
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