GIORNATA DELL’ACQUA. PER UNA GESTIONE CORRETTA, SOSTENIBILE E PUBBLICA
di Rossella Muroni
Sono passati cinque anni dallo straordinario successo ai referendum del 12 e 13 giugno 2011 ed è rimasto intatto l’entusiasmo dato da quella straordinaria stagione referendaria e la convinzione di tanti, della gran parte degli italiani che lo hanno sancito con il loro voto, che l’acqua è un bene comune, un diritto inalienabile. Quel referendum ha segnato un passaggio decisivo nell’affermare il concetto di gestione pubblica dell’acqua, da cui non è più possibile prescindere, come ricordato con forza anche nel dibattito di questi giorni riguardo la discussione in Parlamento del disegno di legge per l’acqua pubblica. Ma la questione rimane ancora aperta, visto che a quello straordinario risultato elettorale, non è mai seguita una nuova stagione in Italia di gestione pubblica dell’acqua e siamo ancora lontani dalla sua concretizzazione.
Il tema di una gestione del ciclo delle acque corretta, sostenibile e pubblica richiede una riflessione che mette in gioco una nuova idea di governance, che deve tenere insieme il diritto di accesso alla risorsa, la partecipazione attiva delle comunità e dei comuni, le misure legate alla tutela della risorsa idrica o le politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, che, come ci ricordano gli impegni presi alla passata Cop 21 di Parigi, presenteranno il conto entro i prossimi 25 anni.
Con questa visione, nella Giornata mondiale dell’acqua, Legambiente insieme agli amici dei comuni virtuosi lancia a bordo del Treno verde in sosta a Salerno un percorso di informazione e analisi sul tema Acqua bene comune per ripartire dai territori. In attesa di un riordino serio della materia e degli ambiti territoriali sono infatti molte le azioni che possono partire dagli enti locali per avviare una stagione di reale gestione pubblica e sostenibile dell’acqua. Per rendere efficiente il servizio idrico bisogna richiamare gli enti locali a una corretta gestione che non si limiti solo a respingere con forza la deriva della privatizzazione, ma ad esempio introduca nuove regole di partecipazione attiva, come previsto anche dalla direttiva europea 2000/60, o intervenga per ammodernare una rete di distribuzione che ancora oggi perde un terzo dell’acqua potabile in tubi colabrodo.
O ancora completi la rete di depurazione, che oggi ancora scarica i reflui di 15 milioni cittadini (pari al 25% del totale) nei fiumi, nei laghi e nel mare. Un ritardo confermato anche da due condanne dell’Europa nei confronti dell’Italia. Accanto a questo resta infine fondamentale promuovere azioni per il controllo della qualità delle acque potabili e la trasparenza delle informazioni verso i cittadini; piuttosto che la diffusione di campagne di sensibilizzazione dei cittadini e nelle scuole per ridurre il non invidiabile primato europeo di consumo di acqua in bottiglia con oltre 190 litri per abitante, che a loro volta causano un uso di oltre 350.000 tonnellate di plastica derivata dal petrolio, ovvero l’emissione di un milione di tonnellate di CO2. Un altro pezzo di quella società del dominio delle energie fossili che la modernità sta rottamando anche a colpi di “brocche di acqua del sindaco” nelle mense delle scuole.
Anche se il percorso è ancora lungo, oggi la strada è segnata e non è più possibile tornare indietro. Un risultato ottenuto grazie al voto di milioni di italiani. Un punto di forza che dobbiamo tenere ben presente anche il prossimo 17 aprile, quando saremo chiamati nuovamente ad essere protagonisti del futuro di questo Paese. Stavolta il voto riguarda lo stop alle fonti fossili, per un modello energetico pulito, democratico e distribuito che già oggi si sta diffondendo. Per ottenerlo è importante essere di nuovo in tanti a votare, e a votare sì.
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