mercoledì 23 marzo 2016

LEGGE SUL CONSUMO DI SUOLO, ALLARME DI AMBIENTALISTI ED ARCHITETTI

LEGGE SUL CONSUMO DI SUOLO, ALLARME DI AMBIENTALISTI ED ARCHITETTI
Ambientalisti e architetti lanciano un allarme‎ in merito alla legge sul consumo di suolo che nei prossimi giorni arriverà in aula della Camera. "Abbiamo bisogno di una legge che spinga e semplifichi la rigenerazione degli edifici esistenti e delle città come alternativa al consumo di suolo, che deve essere finalmente salvaguardato e monitorato", hanno dichiarato Leopoldo Freyrie e Edoardo Zanchini, rispettivamente presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti e vicepresidente di Legambiente.
"Siamo preoccupati che alcune questioni ancora aperte sul testo non siano state davvero affrontate. Un’approvazione in aula di un testo non condiviso dagli stakeholders, dalle Regioni e dagli enti locali rischia di arenarsi al Senato, togliendo ogni possibilità di avere finalmente una legge in Italia capace di rilanciare l'edilizia di qualità e di salvaguardare i territori agricoli".
In particolare le critiche pervenute da più parti alla legge riguardano sia la complessità dell'iter previsto per arrivare a rendere cogenti gli obiettivi di riduzione del consumo di suolo che, per almeno tre anni, creerebbero una situazione di incertezza per le amministrazioni pubbliche e per gli investitori, sia l'inefficacia delle indicazioni di contenimento del consumo di suolo, troppo generiche nei criteri e nella spinta al riuso delle aree dismesse e degli edifici. Il rischio evidente è che un testo che non abbia risolto questi aspetti finirà bloccato al Senato dove difficilmente troverà una maggioranza capace di approvarlo.
La sfida per il rilancio dell’edilizia in Italia - si legge in una nota delle due associazioni - passa attraverso una nuova cultura della riqualificazione del patrimonio edilizio che deve avere al centro dell’attenzione i temi energetici, ambientali, di sicurezza statica ed, allo stesso tempo, raccontare l'innovazione in corso.
Per questo Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori e Legambiente. hanno promosso E-lab, laboratorio di idee e di proposte, nonché stimolo nei confronti della politica, per semplificare gli interventi e spingere l'innovazione in edilizia.
E-lab si focalizzerà soprattutto - attraverso studi, elaborazioni e notizie, appuntamenti pubblici ed un sito Internet (e-lab.green) - su tre tematiche: quelle rappresentate dall'efficienza energetica come volano per la riqualificazione del patrimonio edilizio legata alle direttive e agli strumenti europei; sull'innovazione negli interventi in edilizia che va nella direzione della sostenibilità e che sta modificando profondamente il modo di progettare e costruire; sulla semplificazione degli interventi di efficientamento energetico e di messa in sicurezza del patrimonio edilizio.
Focus che saranno portati avanti anche attraverso l'istituzione di due Osservatori, uno sul quadro normativo, con particolare attenzione alle novità europee e nazionali, e uno sull'innovazione in corso nei regolamenti edilizi comunali con l'individuazione di eccellenze e di buone pratiche.
"La sfida di un rilancio del settore edilizio incentrato sulla riqualificazione - sottolineano gli architetti italiani e Legambiente - è oggi a portata di mano, perché sono le politiche europee a spingere, con chiare indicazioni e con lo stanziamento di risorse, in questa direzione e perché il mercato è oramai pronto a un cambio radicale, come dimostrano cantieri ed esperienze in corso. La riqualificazione del patrimonio edilizio è già oggi la voce principale degli investimenti in Italia e tutti le previsioni ne confermano le grandi potenzialità per la creazione di lavoro e opportunità".

MALEDETTI VOI, MERCANTI D’ACQUA

MALEDETTI VOI, MERCANTI D’ACQUA
di Alex Zanotelli
Le decisioni prese in questi giorni, sia dal governo Renzi che dal Parlamento, sulla gestione pubblica dell’ acqua, sono di una gravità estrema perché un governo democratico rifiuta quello che il popolo aveva già deciso con il referendum del 2011.
È stato diffuso il testo unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della legge Madia n. 124/2015, che si prefigge gli obiettivi di “ridurre la gestione pubblica dei servizi ai soli casi di stretta necessità” e di “garantire la razionalizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali in un’ottica di rafforzamento del ruolo dei soggetti privati”. In questo testo unico c’è l’obbligo di gestione dei servizi pubblici locali attraverso società per azioni, nonché l’obbligo, ove la società per azioni sia a totale capitale pubblico, di rendere conto delle ragioni del mancato ricorso del mercato ed infine di presentare un piano economico-finanziario sottoscritto da un istituto di credito. Un segnale più chiaro del totale disprezzo della volontà popolare espressa nel referendum, non ci potrebbe essere.
A questo si aggiunge il “blitz” di pochi giorni fa, fatto da Renzi-Madia in Commissione Ambiente della Camera, dov’era in discussione la legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, che aveva ricevuto nel 2007 oltre 400.000 firme, che è stata ripresentata in questa legislatura da un inter-gruppo parlamentare (M5S, SEL e alcuni PD). Il “blitz” Renzi- Madia è avvenuto il 15 marzo, quando in Commissione Ambiente è stato approvato un emendamento che abroga l’articolo 6 del progetto di legge che definiva il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e ne disponeva l’affidamento esclusivo a enti di diritto pubblico, vietando l’acquisizione di quote azionarie. Tutto questo è stato cancellato per volontà del governo Renzi e del PD.
Un atto parlamentare questo che costituisce il tradimento totale della volontà popolare espressa nel referendum del 2011. I deputati M5S e Sinistra Italiana hanno abbandonato i lavori della Commissione, lasciando che fosse approvata dalla sola maggioranza con l’accordo del governo. Il PD si difende dicendo che l’acqua resta pubblica, ma che può essere gestita dai privati! Infatti il nodo centrale è proprio la gestione, perché questo testo unico e le nuove norme sui servizi locali rendono eccezionale una gestione pubblica e reintroducono “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, cancellata dal referendum del 2011. E pensare che Renzi nel 2011, allora sindaco di Firenze, aveva proclamato il suo Sì per l’acqua pubblica.
Quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi è di una gravità estrema. Per questo mi appello ai 26 milioni di italiani/e perché si informino e si mobilitino (sit-in, sensibilizzazione nelle proprie realtà locali) contro la stravittoria del neoliberismo, del mercato, dei profitti e si ribellino scendendo in piazza. Mi appello ai vescovi italiani perché si esprimano sulla questione acqua, che già il Papa nell’enciclica Laudato Sì ha definito “diritto umano essenziale, fondamentale e universale” anzi, ”diritto alla vita”. Mi appello ai preti, perché sensibilizzino i loro fedeli nelle omelie domenicali.
Mi appello alle comunità cristiane, dopo una così forte dichiarazione del Papa sull’acqua, perché ritornino a impegnarsi e a ricongiungersi con il grande Forum Italiano dei Movimenti dell’acqua pubblica, che ha portato nel 2011 alla vittoria referendaria. Dobbiamo ora ottenerne un’altra! Si tratta di vita o di morte per noi e per gli impoveriti. Infatti sia per noi, ma soprattutto per gli impoveriti, è l’acqua (la Madre di tutta la vita) il bene più prezioso, che sarà sempre più scarso per il surriscaldamento del pianeta. Se permetteremo alle multinazionali di mettere le mani sull’acqua, avremo milioni di morti di sete. La gestione dell’acqua deve essere pubblica, fuori dal mercato e senza profitto, come sta avvenendo a Napoli, unica grande città italiana ad aver obbedito al teferendum.
Diamoci tutti/e da fare perché il nostro governo obbedisca a quanto ha deciso il popolo italiano nel 2011.

GIORNATA DELL’ACQUA. PER UNA GESTIONE CORRETTA, SOSTENIBILE E PUBBLICA

GIORNATA DELL’ACQUA. PER UNA GESTIONE CORRETTA, SOSTENIBILE E PUBBLICA
di Rossella Muroni
Sono passati cinque anni dallo straordinario successo ai referendum del 12 e 13 giugno 2011 ed è rimasto intatto l’entusiasmo dato da quella straordinaria stagione referendaria e la convinzione di tanti, della gran parte degli italiani che lo hanno sancito con il loro voto, che l’acqua è un bene comune, un diritto inalienabile. Quel referendum ha segnato un passaggio decisivo nell’affermare il concetto di gestione pubblica dell’acqua, da cui non è più possibile prescindere, come ricordato con forza anche nel dibattito di questi giorni riguardo la discussione in Parlamento del disegno di legge per l’acqua pubblica. Ma la questione rimane ancora aperta, visto che a quello straordinario risultato elettorale, non è mai seguita una nuova stagione in Italia di gestione pubblica dell’acqua e siamo ancora lontani dalla sua concretizzazione.
Il tema di una gestione del ciclo delle acque corretta, sostenibile e pubblica richiede una riflessione che mette in gioco una nuova idea di governance, che deve tenere insieme il diritto di accesso alla risorsa, la partecipazione attiva delle comunità e dei comuni, le misure legate alla tutela della risorsa idrica o le politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, che, come ci ricordano gli impegni presi alla passata Cop 21 di Parigi, presenteranno il conto entro i prossimi 25 anni.
Con questa visione, nella Giornata mondiale dell’acquaLegambiente insieme agli amici dei comuni virtuosi lancia a bordo del Treno verde in sosta a Salerno un percorso di informazione e analisi sul tema Acqua bene comune per ripartire dai territori. In attesa di un riordino serio della materia e degli ambiti territoriali sono infatti molte le azioni che possono partire dagli enti locali per avviare una stagione di reale gestione pubblica e sostenibile dell’acqua. Per rendere efficiente il servizio idrico bisogna richiamare gli enti locali a una corretta gestione che non si limiti solo a respingere con forza la deriva della privatizzazione, ma ad esempio introduca nuove regole di partecipazione attiva, come previsto anche dalla direttiva europea 2000/60, o intervenga per ammodernare una rete di distribuzione che ancora oggi perde un terzo dell’acqua potabile in tubi colabrodo.
O ancora completi la rete di depurazione, che oggi ancora scarica i reflui di 15 milioni cittadini (pari al 25% del totale) nei fiumi, nei laghi e nel mare. Un ritardo confermato anche da due condanne dell’Europa nei confronti dell’Italia. Accanto a questo resta infine fondamentale promuovere azioni per il controllo della qualità delle acque potabili e la trasparenza delle informazioni verso i cittadini; piuttosto che la diffusione di campagne di sensibilizzazione dei cittadini e nelle scuole per ridurre il non invidiabile primato europeo di consumo di acqua in bottiglia con oltre 190 litri per abitante, che a loro volta causano un uso di oltre 350.000 tonnellate di plastica derivata dal petrolio, ovvero l’emissione di un milione di tonnellate di CO2. Un altro pezzo di quella società del dominio delle energie fossili che la modernità sta rottamando anche a colpi di “brocche di acqua del sindaco” nelle mense delle scuole.
Anche se il percorso è ancora lungo, oggi la strada è segnata e non è più possibile tornare indietro. Un risultato ottenuto grazie al voto di milioni di italiani. Un punto di forza che dobbiamo tenere ben presente anche il prossimo 17 aprile, quando saremo chiamati nuovamente ad essere protagonisti del futuro di questo Paese. Stavolta il voto riguarda lo stop alle fonti fossili, per un modello energetico pulito, democratico e distribuito che già oggi si sta diffondendo. Per ottenerlo è importante essere di nuovo in tanti a votare, e a votare sì.

ACQUA, INDUSTRIA ED ENERGIA: L’ITALIA VISTA ATTRAVERSO IL CONSUMO DEL SUO ORO BLU

ACQUA, INDUSTRIA ED ENERGIA: L’ITALIA VISTA ATTRAVERSO IL CONSUMO DEL SUO ORO BLU
Oggi ricorre la Giornata mondiale dell’acqua, appuntamento istituito dall’ONU e celebrato ogni 22 marzo. Come ogni anno, in quest’occasione l’ISTAT offre una pioggia di datisulle risorse idriche di cui gode il Paese, e sulle modalità con le quali vengono utilizzate. Stavolta, con una novità. Per la prima volta l’Istituto Nazionale di Statistica diffonde per la prima volta la stima a livello nazionale dei volumi di acqua utilizzata nei processi produttivi dell’industria manifatturiera per settore economico, e quelli relativi alla produzione di energia elettrica e di calore nelle centrali termoelettriche.
Si tratta di dati che è bene non trascurare: l’intensità d’uso dell’acqua, come spiega l’ISTAT, è ad esempio un determinante indicatore di pressione ambientale, poiché descrive l’impatto del sistema economico sulle risorse idriche, ed è dunque connesso allo sviluppo sostenibile.
Per quanto riguarda l’industria manifatturiera, l’ISTAT rende noto che il volume di acqua complessivamente utilizzato come input produttivo ammonti (dati 2012, gli ultimi elaborati) a circa 5,5 miliardi di metri cubi. Un dato molto inferiore a quello destinato in agricoltura – il settore che più consuma acqua in Italia – per l’irrigazione, stimato in circa 11,6 miliardi di metri cubi (annata agraria 2009-2010), ma comunque estremamente significativo. Il consumo di acqua da parte dell’industria è infatti paragonabile al volume erogato agli utenti dalle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile, che ammonta a circa 5,2 miliardi di metri cubi (dati 2012, in diminuzione del 5,4% rispetto al 2008).
Naturalmente, l’utilizzo della risorsa idrica cambia al mutare del settore merceologico considerato. «Tre settori manifatturieri esercitano una elevata domanda di acqua, utilizzando da soli un terzo del volume totale nazionale. Il primo di questi – dettaglia l’ISTAT – è il settore Chimica e dei prodotti chimici (681 milioni di metri cubi), seguito dal settore Gomma e materie plastiche (645 milioni di metri cubi) e dal settore Siderurgia e metalli di base (552 milioni di metri cubi)».
L’indicatore denominato “intensità d’uso dell’acqua” (Water use intensity indicator – Wui) offre un ulteriore livello d’indagine, fornendo una misura del volume di acqua necessario per generare un’unità di valore della produzione per settore manifatturiero: in dettaglio, calcola il rapporto fra la quantità d’acqua utilizzata e il valore della produzione venduta nell’anno in euro.
Da questo punto di vista, il settore manifatturiero largamente più impattante risulta quello Estrazione di minerali (con 73,2 litri utilizzati per euro di produzione venduta), seguito a grande distanza dal Tessile (25,1 litri per euro). Da dove arriva quest’acqua? «Le imprese con meno di 5 addetti – spiega l’ISTAT – utilizzano nella maggior parte dei casi acqua della rete pubblica per uso civile con un prelievo stimato di circa 195.000 metri cubi, mentre le imprese medie e grandi si servono di specifici sistemi di auto approvvigionamento o utilizzano acqua che proviene da infrastrutture a servizio di nuclei ed aree industriali».
E per quanto riguarda l’energia? Nonostante il costante calo di produzione da centrali termoelettriche negli ultimi anni, la produzione netta di energia termoelettrica in Italia è stata pari (nel 2012) a 207.327 gigawattora (GWh), derivanti da 2.725 impianti in esercizio. La maggior parte dei grandi impianti si trova lungo la costa dell’Italia meridionale e nelle vicinanze dei grandi corsi d’acqua dell’Italia settentrionale, proprio perché la distribuzione territoriale degli impianti termoelettrici è fortemente influenzata dalla presenza della risorsa idrica disponibile. L’acqua viene infatti impiegata sia nel processo produttivo delle centrali, sia per il raffreddamento degli impianti stessi. In tutto, i volumi di acqua utilizzati (ancora nel 2012) dal settore sono stimati «pari a 18,5 miliardi di metri cubi, di cui 119,7 milioni di metri cubi (0,6%) destinati ai processi produttivi». Il corpo idrico prevalentemente utilizzato per l’approvvigionamento «è il mare, da cui provengono 16,3 miliardi di metri cubi di acqua (88,5% del totale)», mentre «il volume di acque interne complessivamente utilizzato è stimato in 2,2 miliardi di metri cubi».
Dunque, andando per sommi capi ed escludendo l’approvvigionamento a mare, l’industria manifatturiera italiana utilizza ogni anno 5,5 miliardi di metri cubi di acqua dolce, le centrali termoelettriche 2,2 miliardi di metri cubi, i cittadini 5,2 miliardi di metri cubi dalle reti comunali, e il settore dell’agricoltura 11,6 miliardi di metri cubi: 24,8 miliardi di metri cubi in totale, una sommai assai rilevante. Soprattutto di fronte a dati sulle precipitazioni che mostrano un calo (la media annua registrata nei capoluoghi di regione nel periodo 2001-2014 è stata di 740,8 mm, l’1,1% in meno rispetto al 1971- 2000), e a temperature medie atmosferiche in aumento (15,1° C nel 2001-2014, +0,9° C rispetto al 1971-2000). In Italia l’acqua è oggi una risorsa più scarsa rispetto al passato, distribuita in modo diseguale sul territorio e soggetta a inaccettabili sperperi. Industria, energia, agricoltura e cittadini: siamo tutti chiamati a consumarne meno, e soprattutto a una gestione più efficiente.

IL SUICIDIO EUROPEO DI FRONTE ALLA TURCHIA

IL SUICIDIO EUROPEO DI FRONTE ALLA TURCHIA
di Thierry Meyssan
Traduzione: Matzu Yagi
«La democrazia è un tram, ci saliamo per andare dove si vuole andare per poi scenderne» Recep Tayyip Erdoğan (1996).
Il Consiglio europeo del 17 e 18 marzo 2016 ha adottato un piano per risolvere il problema sollevato dal massiccio afflusso di migranti provenienti dalla Turchia [1]. I 28 capi di Stato e di governo si sono assoggettati a tutte le richieste di Ankara.
Abbiamo già analizzato il modo in cui gli Stati Uniti intendevano utilizzare gli eventi del Vicino Oriente per indebolire l’Unione Europea [2]. All’inizio dell’attuale crisi dei "rifugiati", siamo stati i primi ad osservare tanto il fatto che questo evento era stato deliberatamente provocato quanto i problemi insolubili che stava per porre [3]. Purtroppo, tutte le nostre analisi si sono verificate e le nostre posizioni sono state, in seguito, ampiamente adottate dai nostri detrattori di allora.
Andando oltre tutto questo, vogliamo studiare il modo in cui la Turchia ha preso in mano il gioco e la cecità dell’Unione Europea che continua a stare sempre un passo indietro rispetto agli avvenimenti.
Il gioco di Recep Tayyip Erdoğan
Il presidente Erdoğan non è un uomo politico come gli altri. E nemmeno sembra che gli europei, né i popoli né i loro capi, ne abbiano preso consapevolezza.
In primo luogo, è stato originato dalla Millî Görüş, un movimento islamico panturchista legato ai Fratelli Musulmani dell’Egitto e favorevole alla restaurazione del Califfato [4]. Secondo lui - come d’altronde i suoi alleati del Milliyetçi Hareket Partisi (MHP) - i turchi sono i discendenti degli unni di Attila, anche loro figli del lupo delle steppe dell’Asia centrale, di cui condividevano la resistenza e l’insensibilità. Formano una razza superiore destinata a governare il mondo. La loro anima è l’Islam.
Il presidente Erdoğan è l’unico capo di Stato in tutto il mondo a rivendicare un’ideologia della supremazia etnica, perfettamente paragonabile all’ideologia nazista della razza ariana. È anche l’unico capo di Stato al mondo a negare i crimini della sua storia, tra cui l’uccisione dei non-musulmani da parte del sultano Abdulhamid II (i massacri hamidiani del 1894-1895: almeno 80.000 cristiani uccisi e 100.000 cristiani incorporati con la forza negli harem), poi dai Giovani Turchi (genocidio degli armeni, degli assiri, dei caldei, dei siriaci, dei greci del Ponto e degli yazidi dal 1915 al 1923: almeno 1.200.000 di morti): un genocidio che venne eseguito con l’ausilio di ufficiali tedeschi, tra cui Rudolf Höss, futuro direttore del campo di Auschwitz [5].
Nel celebrare il 70° anniversario della liberazione dall’incubo nazista, il presidente Vladimir Putin ha osservato che «le idee di supremazia razziale e di esclusività hanno provocato la guerra più sanguinosa della storia» [6]. Poi, nel corso di una marcia - e senza nominare Turchia - ha invitato tutti i russi a essere pronti a rinnovare il sacrificio dei loro nonni, se necessario, per salvare il principio stesso di uguaglianza tra gli esseri umani.
In secondo luogo, Erdoğan, che è sostenuto appena da un terzo della sua popolazione, governa da solo il suo Paese con la forza. È impossibile sapere cosa pensi esattamente il popolo turco, dal momento che la pubblicazione di qualsiasi informazione che metta in discussione la legittimità del presidente Erdoğan è ormai considerata come una violazione della sicurezza dello Stato e porta subito in galera. Tuttavia, se ci si riferisce ai più recenti studi pubblicati nel mese di ottobre 2015, meno di un terzo dell’elettorato lo sostiene. È una quota assai inferiore rispetto ai nazisti nel 1933, che disponevano allora del 43% dei voti. Ragion per cui, Erdoğan non ha potuto vincere le elezioni parlamentari se non truccandole grossolanamente. Tra le altre cose:
- I media dell’opposizione sono stati imbavagliati: i maggiori quotidiani Hürriyet e Sabah così come la televisione ATV sono stati attaccati dagli squadristi del partito al potere; le indagini hanno preso di mira i giornalisti e gli organi di informazione accusati di sostenere il "terrorismo" o di aver fatto osservazioni diffamatorie contro il presidente Erdoğan; diversi siti web sono stati bloccati; i fornitori di servizi digitali hanno rimosso dalle loro piattaforme i canali televisivi di opposizione; tre dei cinque canali televisivi nazionali, compresa l’emittente pubblica, sono stati, nei loro programmi, chiaramente favorevoli al partito al potere; altri canali televisivi nazionali, Bugün TV e Kanaltürk, sono stati chiusi dalla polizia.
- Uno Stato straniero, l’Arabia Saudita, ha versato 7 miliardi di lire in "doni" volti a "convincere" gli elettori a sostenere il presidente Erdoğan (pari a circa 2 miliardi di euro).
- 128 sezioni politiche del Partito della Sinistra (HDP) sono state attaccate da squadristi del partito del presidente Erdoğan. Molti candidati e i loro staff sono stati bastonati selvaggiamente. Più di 300 negozi curdi sono stati saccheggiati. Decine di candidati dell’HDP sono stati arrestati e detenuti in custodia cautelare durante la campagna.
- Oltre 2.000 oppositori sono stati uccisi durante la campagna elettorale, o tramite attentati o a causa della repressione del governo che ha preso di mira il PKK. Diversi villaggi del sud-est del Paese sono stati parzialmente distrutti dai carri armati dell’esercito.
Dal momento della sua "elezione", una cappa di silenzio incombe sul Paese. È diventato impossibile informarsi sulla situazione della Turchia attraverso la sua stampa nazionale. Il principale quotidiano di opposizione, Zaman, è stato posto sotto tutela e si limita ormai a incensare la grandezza del "sultano" Erdoğan. La guerra civile, che già imperversa nella parte orientale del Paese, si estende con attentati da Ankara a Istanbul, nella totale indifferenza degli europei [7].
Erdoğan governa quasi da solo, circondato da un piccolo gruppo, tra cui il primo ministro Ahmet Davutoğlu. Ha dichiarato pubblicamente durante la campagna elettorale che non applicava più la Costituzione e che tutti i poteri gli erano ormai ricondotti.
Il 14 marzo 2016, il presidente Erdoğan ha dichiarato che di fronte ai curdi «La democrazia, la libertà e lo Stato di diritto non hanno più alcun valore». Ha annunciato la sua intenzione di ampliare la definizione legale di «terroristi» per includere tutti coloro che sono «nemici dei turchi» ovverosia, i turchi e i non-turchi che si oppongano alla loro supremazia.
Per mezzo miliardo di euro, Recep Tayyip Erdoğan si è fatto costruire il più grande palazzo mai occupato da un capo di Stato nella storia del mondo: Il "palazzo bianco", con riferimento al colore del suo partito, l’AKP. Si estende su 200.000 metri quadrati e comprende ogni sorta di servizi, tra cui alcuni bunker con dispositivi di sicurezza ultra-moderni collegati a sistemi satellitari.
In terzo luogo, il presidente Erdoğan ha usato i poteri che si è attribuito in modo incostituzionale per trasformare lo Stato turco nello sponsor del jihadismo internazionale. Nel dicembre 2015, la polizia e la giustizia turca erano stati in grado di ricostruire i legami personali di Erdoğan e di suo figlio Bilal con Yasin al-Qadi, il banchiere globale di Al Qaeda. Ha quindi rimosso gli ufficiali e i magistrati che hanno osato «ledere gli interessi della Turchia» (sic), mentre Yasin al-Qadi e lo Stato intentava un processo a carico del quotidiano di sinistra BirGün per aver ripreso il mio editoriale intitolato "Al-Qa’ida, eterno complemento della NATO".
Lo scorso febbraio, la Federazione russa ha presentato un rapporto di intelligence al Consiglio di Sicurezza dell’ONU che attesta il sostegno dello Stato turco in favore del jihadismo internazionale, in violazione di numerose risoluzioni [8]. Ho pubblicato uno studio dettagliato su queste accuse, immediatamente censurato in Turchia [9].
La risposta dell’Unione Europea
L’Unione Europea aveva inviato una delegazione per monitorare le elezioni parlamentari del novembre 2015. Ha ritardato a lungo la pubblicazione della sua relazione, e ha deciso di pubblicarne una breve versione edulcorata.
In preda al panico per via delle reazioni delle proprie popolazioni che reagiscono duramente al massiccio afflusso di migranti - e, per i tedeschi, all’abolizione del salario minimo che ne è risultata - i 28 capi di Stato e di governo dell’Unione hanno messo a punto con la Turchia una procedura affinché essa risolva i loro problemi. L’alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, ha subito notato che la soluzione scelta viola il diritto internazionale, ma - posto che le cose possano essere migliorate - non sta in questo il problema principale.
L’Unione si è impegnata a:
- versare 3 miliardi di euro all’anno alla Turchia per aiutarla a rispettare i suoi obblighi, ma senza meccanismi di verifica sull’uso di tali fondi;
- mettere fine all’obbligo di visto per i turchi che entrano nell’Unione [10]: cosa che risulta solo una questione di pochi mesi o addirittura di settimane;
- accelerare i negoziati di adesione della Turchia all’Unione: cosa che, per contro, risulterà assai più lunga e aleatoria.
In altre parole, accecati dalla recente sconfitta elettorale di Angela Merkel [11], i dirigenti europei si sono accontentati di trovare una soluzione provvisoria per rallentare il flusso di migranti, senza cercare di risolvere il problema e senza tener conto dell’infiltrazione di jihadisti in mezzo a questo flusso.
Il precedente di Monaco
Negli anni ’30, le élite europee e statunitensi consideravano che l’URSS, per via del suo modello, minacciasse i loro interessi di classe. Così hanno sostenuto collettivamente il progetto nazista mirante alla colonizzazione dell’Europa orientale e alla distruzione dei popoli slavi. Nonostante i ripetuti appelli di Mosca affinché si creasse un’ampia alleanza contro il nazismo, i leader europei accettarono tutte le rivendicazioni del cancelliere Hitler, compresa l’annessione di aree popolate dei Sudeti. Furono gli accordi di Monaco di Baviera (1938), che portarono l’URSS al "si salvi chi può" e a concludere da parte sua il patto germano-sovietico (il cosiddetto patto Ribbentrop-Molotov del 1939). Fu solo quand’era troppo tardi, che alcuni leader europei, e poi statunitensi, si accorsero del loro errore e decisero di allearsi con Mosca contro i nazisti.
Sotto i nostri occhi, gli stessi errori si ripetono. Le élites europee considerano la Repubblica Siriana come un avversario, sia difendendo il punto di vista coloniale di Israele, sia sperando di ri-colonizzare essi stessi il Levante e di impadronirsi delle sue enormi riserve di gas ancora non sfruttate. Esse hanno dunque sostenuto l’operazione segreta statunitense volta al "cambio di regime" e hanno fatto finta di credere alla favola della "primavera araba". Dopo cinque anni di guerra per procura, poiché hanno constatato che il presidente Bashar al-Assad è ancora lì benché si siano annunciate mille volte le sue dimissioni, gli europei hanno deciso di finanziare fino a 3 miliardi di euro all’anno il sostegno turco ai jihadisti. Tutto questo, secondo la loro logica, dovrebbe consentire loro la vittoria e quindi mettere fine alle migrazioni. Non tarderanno ad accorgersi [12], ma comunque troppo tardi, che con l’abrogazione dei visti per gli espatriati turchi, hanno autorizzato la libera circolazione tra i campi di Al Qaeda in Turchia e Bruxelles [13].
Il confronto con la fine degli anni ’30 è particolarmente appropriato perché in occasione degli accordi di Monaco il Reich nazista aveva già annesso l’Austria senza provocare reazioni notevoli degli altri Stati europei. Ebbene, oggi la Turchia occupa già il nord-est di uno Stato membro dell’Unione Europea, Cipro, e una striscia di pochi chilometri di profondità in Siria è amministrata da un wali (prefetto) nominato allo scopo. Non solo l’Unione Europea si accomoda, ma - per via del suo atteggiamento - incoraggia Ankara a continuare le sue annessioni in violazione del diritto internazionale. La logica comune del cancelliere Hitler e del presidente Erdoğan si basa sulla unificazione della "razza" e l’epurazione della popolazione. Il primo intendeva unire le popolazioni di "razza tedesca" ed epurarle degli elementi "stranieri" (gli ebrei e i rom), il secondo vuole unire le popolazioni di "razza turca" ed epurarle degli elementi "stranieri" (i curdi e i cristiani).
Nel 1938, le élites europee credevano nell’amicizia del cancelliere Hitler, oggi in quella del presidente Erdoğan.

10 CONSIGLI PER COMBATTERE LE ALLERGIE PRIMAVERILI DEI BAMBINI

10 CONSIGLI PER COMBATTERE LE ALLERGIE PRIMAVERILI DEI BAMBINI
di Francesca Biagioli
Primavera, tempo di allergie. Questa stagione è tanto amata quanto temuta da chi soffre di allergie ai pollini, tra cui molti bambini (in Italia sono circa un milione). Ecco allora che arrivano puntuali, come ogni anno, i consigli degli esperti per fronteggiare al meglio la situazione e superare brillantemente questo periodo critico.
Dai pediatri del Bambin Gesù arriva lo “Speciale primavera”, utile a gestire al meglio la cosiddetta mezza stagione, prevenendo non solo i più comuni sintomi delle allergie stagionali ma anche imparando a gestire lo stress legato al cambio di stagione e il mal di testa che può comparire nei bambini più sensibili all’arrivo della primavera.
Pollini: 5 regole utili e 5 cose inutili (ma che spesso i genitori fanno)
1) Evitare gite in campagna soprattutto la mattina e nelle giornate ventose
2) Andare in vacanza al mare o in alta montagna. Dai 600 ai 1.000 metri, infatti, le piante liberano pollini circa un mese più tardi che in pianura.
3) Pulire i filtri dei condizionatori in casa e nelle auto
4) Non tagliare l’erba del prato e non portare i bambini in spazi dove è stata tagliata erba recentemente
5) Evitare il contatto con pelo di animali, polvere o fumo
Passiamo a cosa è inutile fare...
6) Evitare del tutto prati e terreni
7) Chiudere le finestre o peggio ancora tenere recluso il bambino
8) Abitare ai piani alti
9) Mettere mascherine, occhiali da sole o cappelli
10) Fare lavaggi nasali
Per allentare lo stress psico-fisico
Per quanto riguarda invece lo stress psicofisico di cui i più piccoli possono risentire durante il cambio di stagione, gli esperti consigliano di:
- far riposare i bambini più tempo di giorno. Ciò non significa per forza dormire ma anche concedere maggiori momenti di relax tra un’attività e un’altra
- rallentare un po’. Spesso i bambini sono più impegnati degli adulti tra scuola, compiti, sport, hobby, ecc. La primavera è invece un momento in cui bisogna allentare un po’, anche in vista dell’ultima fase dell’anno scolastico generalmente più impegnativa
- sostituire il più possibile le attività dinamiche con quelle rilassanti. Si può favorire ad esempio la lettura, il disegno, le passeggiate, assecondando le predilezioni del bambino
- favorire il sonno notturno, aumentando un po’ la durata e assicurandosi che i piccoli riposino bene
Un altro problema che torna frequentemente in primavera è il mal di testa. I pediatri del Bambin Gesù segnalano un +15% delle visite tra marzo e giugno a causa della cefalea che può essere di diverso tipo ed entità. Nel caso i vostri figli accusino questo problema è bene per prima cosa rivolgersi al pediatra per valutare se c’è necessità di affidarsi ad uno specialista in base anche alla causa che scatena il problema (se già si conosce) o ai sintomi collaterali che si accusano (possono essere di tipo neurologico, colpire stomaco intestino, orecchie o altro).

ALLARME PROCESSIONARIA: COME RICONOSCERLA E CURARLA

ALLARME PROCESSIONARIA: COME RICONOSCERLA E CURARLA
di Elle
Con l’arrivo della primavera iniziano a riaffacciarsi anche insetti che possono essere più o meno fastidiosi o pericolosi per l’uomo e per gli animali. Di certo, un insetto come la processionaria merita un’attenzione e una cautela particolare dati i suoi effetti potenzialmente dannosi. È preferibile allora conoscerla per prevenire conseguenze negative sulla nostra salute e su quella dei nostri amici a quattro zampe.
La processionaria si presenta in circa 40 specie differenti, di cui conosciamo soprattutto la processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa) e la processionaria della quercia (Thaumetopoea processionea) perché sono tra le più comuni e diffuse in Italia ed è proprio su questo tipo di alberi che troviamo deposte le uova. Oltre che nelle regione temperate d’Europa meridionale, questi insetti sono diffusi anche in Oriente e in Africa settentrionale.
Appartenente all’ordine dei lepidotteri, la processionaria deve il suo nome al tipico modo di spostarsi sul terreno in ordinata fila indiana, come accade durante una processione per l’appunto. È facilmente riconoscibile per l’aspetto, simile a quello di un lungo millepiedi ricoperto di peli. Nello specifico, la processionaria segue lo stesso ciclo vitale delle comuni farfalle attraversando vari stadi: dalle uova deposte si schiudono bruchi (o larve), che poi si trasformeranno in crisalidi e, infine, in farfalle, ultimo stadio da insetto adulto.
Nello specifico le larve della processionaria, lunghe da 1 a circa 3 centimetri e mezzo, si caratterizzano per il colore scuro e la fascia giallastra sul dorso in cui è evidente la presenza di peli uncinati urticanti, utilizzati come tecnica difensiva; tali peli possono facilmente attaccarsi a pelle e mucose (sia nell’uomo che negli animali) provocando una reazione allergica più o meno consistente e diversa a seconda della zona del corpo colpita.
La nascita dei bruchi in primavera costituisce pertanto un momento di cospicuo allarme sia per l’uomo che per gli animali data la potenziale pericolosità di questo insetto. Tuttavia, se l’uomo può riuscire facilmente ad evitarne il contatto diretto, per i nostri amici a quattro zampe, soprattutto i cani abituati a fiutare l’ambiente circostante per esplorarlo, può capitare più frequentemente e accidentalmente di incorrere nell’incontro con questi insetti.
Processionaria: come intervenire sull’uomo
Nell’uomo i sintomi collegati al contatto con la processionaria possono essere differenti e presentare diversi livelli di gravità: può manifestarsi, ad esempio, una forte eruzione cutanea con intenso prurito, congiuntivite, problemi respiratori fino ai casi più gravi di shock anafilattico, soprattutto a seguito di contatti ripetuti con l’insetto. Le prime operazioni utili da compiere nel caso in cui si avvertano questi sintomi sono quelle di lavarsi abbondantemente per cercare di eliminare i peli che procurano il fastidio e togliere i vestiti che si indossavano; eventuali dermatiti o eruzioni cutanee solitamente tendono a risolversi spontaneamente entro qualche giorno, magari avendo cura di evitare l’esposizione al sole e non grattarsi nonostante il prurito; si può per questo applicare un gel astringente al cloruro d’alluminio, efficace per ridurre il prurito e prevenire eventuali infezioni secondarie dell’epidermide. In caso di sintomi sistemici gravi (senso di malessere generale, vomito, pressione bassa, dispnea) è meglio rivolgersi prontamente da un medico o recarsi al pronto soccorso. Il consulto medico è indicato anche qualora i sintomi, seppure lievi, dovessero persistere o se ad essere colpiti dall’insetto sono dei bambini.
Processionaria: come intervenire sul cane
I sintomi più comuni negli animali che hanno ingerito o inalato i peli di questo pericoloso insetto consistono in un improvviso aumento della salivazione ed un progressivo ingrossamento della lingua, che non accenna a diminuire con il trascorrere del tempo. Le prime misure da adottare consistono nel cercare di rimuovere gli eventuali peli residui presenti nella bocca del cane sciacquandola con una soluzione a base di acqua e bicarbonato, eventualmente con l’aiuto di una siringa senz’ago; sarebbe preferibile indossare dei guanti monouso per scongiurare il contatto con parti dell’insetto. Appena possibile, inoltre, è consigliabile rivolgersi ad una persona esperta come un veterinario, che sappia come intervenire tempestivamente.
Per fronteggiare l’allarme processionaria è bene non improvvisarsi nella distruzione dei nidi che si avvistano sugli alberi ma evitare di sostare nell’area segnalare al Comune le zone infestate così da consentire una bonifica a tappeto su tutto il territorio.

QUANTO INQUINAMENTO PRODUCE INTERNET

QUANTO INQUINAMENTO PRODUCE INTERNET E COSA POSSIAMO FARE PER LIMITARLO
di Andrea Barolini
Spegnere i grandi monumenti, come fatto il 19 marzo in occasione dell’iniziativa Earth Hour promossa dal WWF, significa ricordare al mondo che la salvezza del pianeta passa anche attraverso un cambiamento dei nostri comportamenti. Risparmiare energia sarà cruciale nei prossimi decenni, e per diminuire i consumi occorre ripensare anche le nostre abitudini digitali.
La rete globale di Internet, infatti, è particolarmente assetata di energia. Per far funzionare i giganteschi server sui quali vengono veicolati i flussi di dati di tutto il mondo – dai messaggi di posta elettronica fino alle comunicazioni televisive – servono enormi quantità di elettricità. Il che significa gigantesche emissioni di gas ad effetto serra, che contribuiscono in modo determinante ai cambiamenti climatici.
L’Agenzia francese per la gestione dell’energia (ADEME) ha ricordato di recente che “il consumo di energia elettrica legato allo sviluppo delle tecnologie digitali sta letteralmente esplodendo”. Per comprendere quali siano le quantità in gioco, lo stesso organismo governativo transalpino propone alcuni esempi concreti.
Un’e-mail consuma come una lampadina accesa per due ore
Inviare un’e-mail con un allegato del peso pari ad un megabyte significa assorbire 25 wattora. Ovvero l’equivalente di ciò che è necessario ad una lampadina a basso consumo per rimanere accesa due ore. In generale, secondo un’analisi dell’esperto britannico Mike Berners-Lee, ciascun messaggio di posta elettronica (anche privo di allegati) comporta la dispersione nell’atmosfera di 4 grammi equivalenti di CO2, secondo un calcolo che “internalizza” le emissioni legate non solo al funzionamento del computer da cui origina l’informazione e al server che la gestisce, ma anche alla fabbricazione di entrambi gli apparecchi.
Lo spam inquina come tre milioni di automobili
Ne consegue che lo spam è responsabile, ogni anno dello stesso inquinamento prodotto da tre milioni di automobili che consumano 7,5 miliardi di litri di benzina, secondo uno studio realizzato nel 2009 dalla società informatica McAfee.
Ciò non significa, però, che sia necessariamente meglio tornare a carta e penna. A conti fatti, spesso Internet continua a risultare meno dannoso per l’ambiente rispetto ai mezzi di comunicazione analogici. Alcuni piccoli accorgimenti, però, possono aiutare.
Meglio evitare i motori di ricerca quando possibile
È utile, ad esempio, evitare di passare per un motore di ricerca (come ad esempio Google) se ciò non è strettamente necessario: meglio digitare direttamente l’indirizzo del sito che si vuole visitare, se lo si conosce. In questo caso, le emissioni di CO2 saranno tagliate del 75%. Ed è anche preferibile scegliere il mezzo di accesso al web: la stessa ricerca di un minuto su un pc fisso assorbe 100 wattora, che scendono a 20 sui portatili, e diminuiscono ancora per tablet e smartphone.
Inoltre, grazie al progetto di LifeGate Zero Impact® Web, aziende e blogger possono calcolare, ridurre e compensare le emissioni di CO2 prodotte navigando su Internet, contribuendo alla creazione e tutela di foreste in crescita.

Madre Teresa non fu una santa

Madre Teresa non fu una santa

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MADRE TERESA
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Il quattro settembre di quest'anno Madre Teresa diventerà Santa Teresa. Cosa tutt'altro che sorprendente; era stata beatificata nel 2003, e la beatificazione è una specie di strada a senso unico per la canonizzazione. Ma questa è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Lei una santa non lo fu.
Canonizzare Madre Teresa significherebbe chiudere la questione di quella problematica eredità che si è lasciata alle spalle, che include le conversioni forzate, i discutibili rapporti intrattenuti coi dittatori, la sua mala gestione, a onor del vero, delle cure mediche di qualità davvero pessima. Cosa peggiore di tutte, lei incarnava la classica figura dell'uomo bianco che porta la propria carità nel terzo mondo - che poi è il senso stesso di quella che è stata la sua immagine pubblica, nonché fonte d'incommensurabili traumi per la psiche collettiva postcoloniale dell'India e della sua diaspora.
L'annuncio del Papa: "Madre Teresa santa il 4 settembre"
Nel 2013 una ricerca condotta dall'Università di Ottawa ha sfatato il "mito dell'altruismo e della generosità" che avvolge Madre Teresa, raggiungendo la conclusione che la sua santificata immagine non regge al confronto coi fatti, e rappresenta sostanzialmente il compimento di una vigorosa campagna mediatica organizzata da una Chiesa Cattolica in sofferenza.
Nonostante tutte le sue 517 missioni, che al momento della sua morte erano state organizzate in cento diversi paesi del mondo, la ricerca ha scoperto che praticamente nessuno di coloro che vi si era recato alla ricerca d'assistenza medica ne aveva poi effettivamente ricevuta. Le condizioni che vi si potevano osservare erano non igieniche, "perfino inappropriate", l'alimentazione inadeguata, e gli antidolorifici assenti - non certo per mancanza di fondi, nei quali l'ordine di Madre Teresa, famoso in tutto il mondo, in realtà sguazzava - ma in nome di quella che gli autori della ricerca definiscono la sua "peculiare concezione della sofferenza e della morte".
"C'è qualcosa di meraviglioso nel vedere i poveri accettare la propria sorte, sopportandola come se si trattasse della Passione di Cristo. Il mondo ha parecchio da guadagnare dalla loro sofferenza": lo dichiarò Madre Teresa a un Christopher Hitchens tutt'altro che entusiasta.
Pure tenendoci all'interno della concezione cristiana della benedetta mansuetudine, che razza di logica perversa sottende a questo punto di vista? Non sorprendentemente, tenendo conto della cornice in cui si svolgeva la sua opera, la risposta sta nel colonialismo razzista. Per tutti quei cento paesi, Madre Teresa appartiene all'India, ed è l'India ad aver concepito la Beata Teresa di Calcutta. Fu lì che lei acquisì l'immagine che lo storico Vijay Prakash ha definito della "donna bianca nelle colonie per antonomasia, impegnata per la salvezza di quei corpi scuri dalle loro tentazioni e dai loro fallimenti".
La sua immagine è interamente racchiusa nella logica coloniale: quella del salvatore bianco che getta una luce sugli uomini dalla pelle ambrata più poveri del pianeta. Madre Teresa fu una martire - non per i poveri dell'India e del Sud globale - ma per quel senso di colpa bianco e borghese. (Come nota Prakash, svolgeva esattamente questa funzione al posto di, e non certo insieme a, una "autentica sfida a quelle forze che la povertà la producono e la coltivano"). E tutti quei suddetti uomini dalla pelle ambrata, poi, come li avrebbe aiutati? In modo quanto meno discutibile, ammesso che l'abbia mai fatto. Il suo persistente "secondo fine" era quello di convertire al cristianesimo alcuni fra gli individui più vulnerabili del Paese, come del resto ha dichiarato l'anno scorso il capo di una Ong induista . Esistono perfino alcune testimonianze secondo le quali lei e le sue suore avrebbero provato a battezzare persone in punto di morte.
Tutto questo accanirsi nei confronti della suora e del suo ordine potrebbe apparire meschino, se non fosse per quella che è stata l'incessante campagna condotta dalla chiesa per renderla qualcosa di più di ciò che fu. Una campagna che partì quando lei era ancora in vita, all'epoca in cui il giornalista antiabortista inglese Malcolm Muggeridge si accollò la croce di curare l'immagine pubblica di Madre Teresa, prima con un documentario agiografico del 1969, poi con un libro pubblicato nel 1971. Fu lui ad avviare il movimento d'opinione per andare a collocarla nel "regno del mito" più che in quello della storia.
La sua beatificazione postuma è stata intrapresa col furore di chi non vuole essere beccato. Papa Giovanni Paolo II esonerò il suo processo di beatificazione da quello che sarebbe stato un normale periodo d'attesa quinquennale e infatti esso cominciò ad appena un anno dalla sua morte. Si sarebbe propensi a supporre che una donna disposta a ricorrere a metodi tanto straordinari dovesse essere al di sopra di ogni sospetto. E tuttavia nel corso della sua vita Madre Teresa s'intrattenne con famigerati despoti del calibro di Jean-Claude Duvalier di Haiti (dal quale accettò la Legione d'Onore nel 1981) e l'albanese Enver Hoxha.
Ora, niente di quanto detto finora è particolarmente nuovo. Gran parte di tutto ciò venne alla luce già nel 2003, all'epoca della sua beatificazione, con la polemica sollevata da Christopher Hitchens, nonché nel documentario "Hell's Angel" di Tariq Ali. Qui non si vuol parlare male dei morti.
Ma l'imminente santificazione di Madre Teresa è un qualcosa in grado di suscitare un'irritazione del tutto inedita. Noi concepiamo Dio a nostra immagine, e vediamo la santità in coloro che ci somigliano. Da questo punto di vista l'immagine di Madre Teresa rappresenta un reperto della supremazia bianca occidentale. La sua glorificazione avviene a scapito della psiche collettiva indiana - della mia psiche indiana. E di un miliardo di indiani e della diaspora a cui è stato inculcato il concetto che quando sono i bianchi ad aiutarci è diverso, è meglio. A cui è stato insegnato che una conversione forzata non è poi questo gran problema. Che sono cresciuti apprendendo il vergognoso fatto che uno dei cinque premi Nobel "indiani" fu una donna che lasciava morire i malati. La povertà non è bella, è tremenda. Madre Teresa assurgerà al ruolo di santo patrono dei bianchi in anno sabbatico, ma mai di alcuna reale persona di colore.