Cina, sospeso il blocco automatico degli scambi: l’Europa limita i danni, Wall Street -2,4%
con un articolo di Stefano Carrer7 gennaio 2016
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Argomenti: Europa | Fed | Arabia Saudita Oltre |Borsa di Tokyo | Wall Street | Sennonchè | Iran |Borsa Valori | Enel
Le Borse europee hanno accusato un forte calo per gran parte della giornata ma nel finale di seduta hanno messo a segno un buon recupero dopo l’intervento delle autorità cinesi. Wall Street già debole in avvio (-1,5%), ha invece chiuso nettamente in negativo: Dow Jones -2,32% a 16.514,77 punti, Nasdaq -3,03% a 4.689,43 punti, S&P 500 -2,4% a 1.943 punti. A rendere appena un po’ meno nero l’umore degli investitori è stata la decisione dell’Autorità cinese che vigila sui mercati di sospendere da venerdì il sistema che blocca automaticamente gli scambi in Borsa quando si verificano eccessivi rialzi o ribassi.
Un meccanismo, noto come «circuit breaker», entrato in azione due volte questa settimana, lunedì e oggi, provocando la chiusura anticipata dei mercati di Shanghai e Shenzen quando perdevano più del 7 per cento. Sistema che, per stessa ammissione delle autorità cinesi, non ha funzionato come previsto, aumentando la volatilità invece di ridurla e che quindi è stato sospeso. Così Piazza Affari, dopo aver a lungo perso più del 2%, ha chiuso in calo dell’1,14 per cento. Più pesanti Francoforte (-2,29%), Londra (-2,05%) e Parigi (-1,7%).
A Milano in evidenza i titoli del lusso, che venivano da giornate complicate, con Ferragamo (+2,5%) e Yoox (+2%) e quelli delle utility in scia al settore europeo: A2A recupera l'1,1% ed Enel Green Power lo 0,7%. Forti vendite invece sulle banche, su Buzzi (-4,1%) e sull'auto con Fca e Ferrari in ribasso del 3,2%. Eni (-0,8%) risale nel finale parallelamente al recupero del greggio.
Gli investitori, prima dell’intervento cinese, avevano reagito all’ennesimo flusso di notizie negative in arrivo dalla Cina. In nottata infatti, per la seconda volta in una settimana, i listini del Paese del Dragone sono stati bloccati da Pechino a causa dell’ eccesso di ribasso. I mercati di Shanghai e Shenzhen hanno rimandato a domani gli scambi, segnando un calo di giornata rispettivamente del 7,3% e di oltre l’8%. Tokyo, dal canto suo, ha chiuso in calo del 2,3%. A fronte di un simile contesto, soprattutto con una Fed che ha iniziato un percorso di stretta della politica monetaria, si capisce il perché delle reazioni dei listini di oggi.
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Il tonfo del petrolio (che poi recupera)
Peraltro, il clima di pessimismo è stato accentuato anche dal prezzo del petrolio. Il Brent, dopo avere toccato ieri il valore più basso degli ultimi 11 anni, è ulteriormente calato. In giornata il barile del Mare del Nord è sceso fino a 32,7 dollari. Il Wti, dal canto suo, viaggia a quota 32,69, ai minimi dal 2004. Si tratta di una duplice dinamica che, a ben vedere, trova le sue cause nei temi caldi di questi giorni. In primis, rileva l’ulteriore svalutazione dello yuan. La mossa, inevitabilmente, viene interpretata quale segnale della debolezza dell’economia di Pechino. Cioè: da un lato gli operatori pensano che la frenata della Cina sia in realtà più pronunciata di quanto raccontano i già deludenti indicatori ufficiali; e, dall’altro, il rallentameno della congiuntura induce a ipotizzare il calo di domanda, a livello globale, della commodity che poi incide negativamente sui prezzi. Nel pomeriggio, dopo l’intervento cinese, il petrolio ha azzerato le perdite ma resta debole.
Il tonfo del petrolio (che poi recupera)
Peraltro, il clima di pessimismo è stato accentuato anche dal prezzo del petrolio. Il Brent, dopo avere toccato ieri il valore più basso degli ultimi 11 anni, è ulteriormente calato. In giornata il barile del Mare del Nord è sceso fino a 32,7 dollari. Il Wti, dal canto suo, viaggia a quota 32,69, ai minimi dal 2004. Si tratta di una duplice dinamica che, a ben vedere, trova le sue cause nei temi caldi di questi giorni. In primis, rileva l’ulteriore svalutazione dello yuan. La mossa, inevitabilmente, viene interpretata quale segnale della debolezza dell’economia di Pechino. Cioè: da un lato gli operatori pensano che la frenata della Cina sia in realtà più pronunciata di quanto raccontano i già deludenti indicatori ufficiali; e, dall’altro, il rallentameno della congiuntura induce a ipotizzare il calo di domanda, a livello globale, della commodity che poi incide negativamente sui prezzi. Nel pomeriggio, dopo l’intervento cinese, il petrolio ha azzerato le perdite ma resta debole.
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