Non è il caso di farsi troppe illusioni. L'ondata di proposte bipartisan per tagliare i costi della politica regionale, montata dagli scandali non solo laziali delle ultime settimane, da sola non è in grado di produrre grossi risparmi. Tutto dipenderà dall'attuazione effettiva e, soprattutto, da quanto le riduzioni dei posti nei consigli e nelle giunte regionali porterà con sé una razionalizzazione vera per gli uffici di supporto e, più in generale, per le strutture amministrative delle Regioni.
Per rendersene conto basta vedere i numeri. Il lavoro sul decreto legge che potrebbe arrivare al prossimo consiglio dei ministri di giovedì parte dalla proposta preparata in settimana dalla stessa conferenza delle Regioni. Obiettivo dichiarato: cancellare 300 dei 1.111 seggi nei consigli regionali.
La base di partenza
Questa sforbiciata, in realtà, sarebbe già prevista da una legge, in vigore di oltre un anno. A fissare i nuovi parametri nel rapporto fra entità demografica della Regione e dimensione delle assemblee elettive è stata infatti la manovra-bis del 2011, varata nel Ferragosto dell'anno scorso dal Governo Berlusconi nel tentativo di rintuzzare la prima crisi dello spread. Già allora, il Governo aveva fissato per decreto criteri più rigidi per la composizione delle assemblee, che avrebbero cancellato 295 posti da consigliere e 81 da assessore oltre a chiedere l'abolizione dei vitalizi per i consiglieri, la riduzione delle loro indennità e nuove forme di controllo. Il ridimensionamento delle assemblee, ovviamente, sarebbe scattato solo dalla prossima legislatura, e di conseguenza varare oggi un nuovo decreto con gli stessi parametri significherebbe solo ribadire di nuovo quanto è già previsto dalle leggi in vigore.
Questa sforbiciata, in realtà, sarebbe già prevista da una legge, in vigore di oltre un anno. A fissare i nuovi parametri nel rapporto fra entità demografica della Regione e dimensione delle assemblee elettive è stata infatti la manovra-bis del 2011, varata nel Ferragosto dell'anno scorso dal Governo Berlusconi nel tentativo di rintuzzare la prima crisi dello spread. Già allora, il Governo aveva fissato per decreto criteri più rigidi per la composizione delle assemblee, che avrebbero cancellato 295 posti da consigliere e 81 da assessore oltre a chiedere l'abolizione dei vitalizi per i consiglieri, la riduzione delle loro indennità e nuove forme di controllo. Il ridimensionamento delle assemblee, ovviamente, sarebbe scattato solo dalla prossima legislatura, e di conseguenza varare oggi un nuovo decreto con gli stessi parametri significherebbe solo ribadire di nuovo quanto è già previsto dalle leggi in vigore.
Il segnale è importante, certo, ma gli effetti dipendono dalle modalità di attuazione. Limitarsi a ridurre i seggi senza toccare la rete di uffici e burocrazia cresciuta intorno a loro significherebbe poco. Dati ufficiali alla mano, il risparmio di indennità sarebbe di poco inferiore ai 64 milioni di euro all'anno: spiccioli, pari a meno dell'8% di una spesa per "organi istituzionali" che in 10 anni è raddoppiata e nel 2011 ha fatto uscire dalle casse delle Regioni poco meno di 840 milioni.
Il discorso cambia se non ci si limita a un'operazione di facciata, e oltre che sulle indennità si agisce di forbice anche sulle strutture di supporto alla politica regionale. Dividendo i costi complessivi della politica regionale per il numero di consiglieri, emerge la cifra monstre di 743mila euro per ogni seggio. Se la riduzione dei posti trascina con sé lo sfoltimento di tutti i costi collegati, dunque, i risparmi potrebbero arrivare a 243 milioni di euro: un taglio del 29%, che certo non riporterebbe le spese al livello di dieci anni fa, ma offrirebbe una reale inversione di marcia a una voce di costo che negli ultimi anni è impazzita libera da ogni controllo.
Il decreto del Governo
Molto dipende dal modo in cui sarà scritto il decreto su cui sta lavorando il Governo. Allo stato attuale, sul tavolo del Consiglio dei ministri in programma dovrebbe approdare un pacchetto di misure concentrate almeno su quattro fronti: taglio del numero attuale dei consiglieri, riduzione degli emolumenti, controllo sulle spese dei gruppi politici e misure per impedire il fenomeno dei monogruppo.
Tra le ipotesi allo studio c'è quella di imporre una riduzione ancora più marcata del numero delle poltrone, arrivando addirittura a un dimezzamento degli attuali consiglieri regionali. Con un effetto ricaduta che potrebbe portare addirittura a raddoppiare i risparmi ottenibili, sempre se collegati a una riorganizzazione complessiva di tutte le strutture connesse alla politica.
Molto dipende dal modo in cui sarà scritto il decreto su cui sta lavorando il Governo. Allo stato attuale, sul tavolo del Consiglio dei ministri in programma dovrebbe approdare un pacchetto di misure concentrate almeno su quattro fronti: taglio del numero attuale dei consiglieri, riduzione degli emolumenti, controllo sulle spese dei gruppi politici e misure per impedire il fenomeno dei monogruppo.
Tra le ipotesi allo studio c'è quella di imporre una riduzione ancora più marcata del numero delle poltrone, arrivando addirittura a un dimezzamento degli attuali consiglieri regionali. Con un effetto ricaduta che potrebbe portare addirittura a raddoppiare i risparmi ottenibili, sempre se collegati a una riorganizzazione complessiva di tutte le strutture connesse alla politica.
Nelle intenzioni dell'Esecutivo, la linea del rigore dovrebbe coinvolgere anche la previdenza, con le pensioni degli eletti da calcolare secondo il metodo contributivo. L'intenzione di fondo è quella di agire più sul versante prevenzione: un'esigenza affermata anche dal ministro della Giustizia, Paola Severino, a margine del convegno di Cormayeur nella giornata di sabato. Ecco perché le misure allo studio del governo punteranno sul controllo delle spese dei gruppi consiliari, attraverso un meccanismo che richiederà la certificazione (e non più una semplice autocertificazione) delle spese. In pratica, per aver diritto al rimborso servirà documentare le uscite effettivamente sostenute.
C'è poi il capitolo dei monogruppo. Un caso emblematico è quello del Molise: l'assemblea regionale conta ben 10 gruppi con un solo componente, tra cui quelli creati da due sfidanti alle elezioni del 2011 già bocciate dal Tar e ora in attesa del verdetto del Consiglio di Stato. Molto probabilmente e misure allo studio dell'Esecutivo dovrebbero evitarne la proliferazione e precludere la possibilità di costituire gruppi che non sono espressione delle liste non presenti alle elezioni.
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