giovedì 2 agosto 2012

Centinaia di imprese sul piede di guerra


Centinaia di imprese sul piede di guerra
E mandano le chiavi al ministro Passera

"Chiusi mai" si chiama la mobilitazione partita da Modena e ora diffusa in tutto il Paese: quasi 200 le pmi che hanno aderito. "Sono stanco di subire i ritardi e le insufficienze del nostro Stato", si legge nelle missive-fotocopia che arriveranno al ministero dello Sviluppo a fine settembre. Uno dei promotori a ilVostro: «Riceviamo quotidianamente email di imprenditori disperati»

Fabio Frabetti
La homepage di "Chiusi mai"La homepage di "Chiusi mai"
MODENA – «Gentile Ministro dell’Economia e delle Finanze, Le scrivo perché sono stanco di subire i ritardi e le insufficienze del nostro Stato, la burocrazia pesante e il continuo aumento delle tasse sulle attività imprenditoriali oneste nonché un costo del lavoro che non ci premette di essere competitivi (in Italia e all’estero). Sono stanco di non vedere, se non premiato, almeno sostenuto, l’impegno imprenditoriale e la responsabilità sociale d’impresa che garantisce lo stipendio a migliaia di famiglie». Inizia così la lettera che centinaia di imprenditori stanno inviando al ministro dell’Economia, Corrado Passera. Con cui consegnano idealmente le chiavi della loro azienda.

VALANGHE DI LETTERE – Fin qui hanno aderito 179 aziende e quasi 1.700 sono le persone coinvolte.  «Le piccole e medie imprese – prosegue la lettera – rappresentano il 98% del tessuto economico italiano e sono quelle che hanno fatto la fortuna di questo Paese. Abbiamo quindi insieme deciso di consegnare idealmente le chiavi delle nostre aziende allo Stato che, da anni, non ci sta dando le risposte necessarie allo sviluppo, alla creatività e al saper fare italiano». Il titolo di questa protesta, forte e simbolica allo stesso tempo, è contemporaneamente un programma e una promessa : “Chiusi mai”. Il tam tam è partito da giovani di Confartigianato Modena e pian piano si è allargato a tutta Italia: chiamato a raccolta l’intero tessuto economico italiano affinché più imprenditori si uniscano nell’invio di una lettera che dovrà essere spedita al Ministero dell’Economia entro il 30 settembre.

RISCHIO ESTINZIONE – Nel sito www.chiusimai.it è possibile registrare la propria adesione e scaricare la lettera in formato pdf che andrà poi personalizzata con il nome dell’azienda e il numero di dipendenti a cui viene dato lavoro. «Riceviamo quotidianamente email di imprenditori disperati –racconta a ilVostro Riccardo Cavicchioli, uno dei promotori dell’iniziativa –  che non sanno come andare avanti. Così non si può continuare: le piccole medie imprese italiane rischiano di sparire nel giro di due anni. Abbiamo studiato questa iniziativa per dare visibilità a quegli imprenditori strangolati da tasse, burocrazia e crisi economica. Riconsegniamo simbolicamente le chiavi dell’azienda a quello che di fatto è il nostro azionista di maggioranza: lo Stato. Visto che noi non lavoriamo né per il profitto né per l’azienda. Ci sono tasse come l’Irap che dobbiamo pagare anche in assenza in utile, che si guadagni o che si perda. Chiediamo a tutti gli imprenditori italiani di far sentire la loro voce attraverso questa iniziativa, perché non vogliamo chiudere le nostre aziende ma continuare a dar da lavorare alle persone che ogni giorno ci aiutano ad andare avanti».

RICETTE ANTICHE – Dopo la protesta, con il ministero che sarà invaso di lettere, c’è anche lo spazio però per le proposte concrete. Che purtroppo nascono già vecchie visto che sono proprio quelle di cui si parla da anni e che non hanno mai trovato attuazione: «Meno burocrazia e perdite di tempo, abbattimento dei livelli di tassazione delle imprese, accesso al credito bancario che premi le idee e i progetti e non si basi solo sulle garanzie patrimoniali. A questo dovrebbe aggiungersi una giustizia civile più snella ed attende, l’applicazione immediata della normativa europea sui tempi di pagamento e l’approvazione di una normativa che sostenga davvero l’imprenditoria giovanile. Non è più concepibile che un giovane imprenditore debba sborsare un sacco di soldi senza nemmeno aver emesso la prima fattura».

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