martedì 8 dicembre 2015

IL PETROLIO DELLO STATO ISLAMICO FINISCE IN ITALIA PASSANDO PER ISRAELE?

IL PETROLIO DELLO STATO ISLAMICO FINISCE IN ITALIA PASSANDO PER ISRAELE?
Israele è diventato il principale acquirente di petrolio dal territorio controllato dallo Stato Islamico/Daesh (ISIS), almeno secondo quanto hanno affermato per primi i curdi siriani del Rojava, in una tesi poi rilanciata ad agosto in un’inchiesta del Financial Times e ora ripresa, dopo le nuove accusa di Vladimir Putin, da Globes Israel Business News (che a sua volta riprende a sua volta i rapporti del giornale qatariota al-Araby al-Jadeed). Secondo queste indagini, «contrabbandieri curdi e turchi trasportano il petrolio dal territorio controllato dall’ISIS in Siria e Iraq e lo vendono a Israele (...) Si stima che circa 20.000-40.000 barili di petrolio vengono prodotti ogni giorno nel territorio controllato dall’ISIS generando 1-1,5 milioni di dollari di profitto giornaliero per l’organizzazione terroristica».
Il petrolio verrebbe estratto a Dir A-Zur in Siria e in due campi in Iraq e trasportato nella città curda di Zakhu in un triangolo di territorio incuneato tra Siria, Iraq e Turchia, i mediatori israeliani e turchi arrivano in questa terra di nessuno per concordare i prezzi, poi il greggio viene contrabbando nella città turca di Silop come proveniente dalla regione semi-indipendente curda dell’Iraq e venduto a 15-18 dollari al barile, mentre sul mercato legale WTI e Brent Crude attualmente valgono 41 e 45 dollari al barile. Secondo Globes Israel, il greggio del Daesh passa dalle mani del «mediatore israeliano, un uomo di 50 anni con doppia cittadinanza greco-israeliana noto come Dr. Farid. Trasporta il petrolio attraverso diversi porti turchi e poi in altri porti, con Israele fra le principali destinazioni». Il Financial Times scrive che Israele ottiene il 75% delle sue forniture di petrolio dal Kurdistan iracheno, con il quale ha stretti rapporti fin dai tempi della guerriglia dei curdi contro Saddam Hussein, e più di un terzo di queste esportazioni passano attraverso il porto turco di Ceyhan, che viene descritto come un «potenziale gateway per il greggio di contrabbando dell’ISIS».
Ma per l’Italia la rivelazione più inquietante arriva dall’inchiesta “Raqqa’s Rockefellers”, Bilal Erdogan, KRG Crude, And The Israel Connection”, pubblicata il 29 novembre da Zero Hedge a firma Tyler Durden, nella quale si legge: «Secondo un funzionario europeo di una compagnia petrolifera internazionale che ha incontrato al-Araby in una capitale del Golfo, Israele raffina il petrolio solo “una o due volte”, perché non ha raffinerie avanzate. Esporta il petrolio nei Paesi mediterranei – nei quali il petrolio “guadagna uno stato di semi-legittima” – per 30-35 dollari al barile. Il petrolio viene venduto entro un giorno o due a un certo numero di compagnie private, mentre la maggioranza va in una raffineria italiana di proprietà di uno dei maggiori azionisti di una società calcistica italiana [nome rimosso] dove il petrolio viene raffinato ed utilizzato localmente. Israele è, in un modo o nell’altro, diventato il principale commerciante di petrolio dell’ISIS. Senza di loro [gli israeliani], la maggior parte del petrolio prodotto dall’ISIS resterebbe in giro tra l’Iraq, Siria e Turchia. Anche le tre compagnie non avrebbero ricevuto il petrolio se non avessero un acquirente in Israele». Affermazioni pesanti, sulle quali sarebbe opportuno far indagare al più presto gli organi competenti.
Tutto, si afferma, comincia nel giugno del 2014, quando la petroliera SCF Altai attracca nel porto israeliano di Ashkelon per scaricare il primo carico di greggio del governo regionale curdo irakeno (KRG) proveniente da un oleodotto che arriva al porto turco di Ceyhan, una pipeline progettata per bypassare le condotte del governo iracheno e non pagare le tasse a Baghdad. Una settimana prima, la SCF Altai aveva caricato greggio curdo al largo di Malta con un trasferimento da nave a nave dalla The United Emblem. Anche la The United Emblem aveva caricato il greggio all’oleodotto curdo di Ceyhan. Da quel momento i curdi iracheni sembrano disposti a contrabbandare qualsiasi tipo di petrolio, anche quello dei nemici dello Stato Islamico, soprattutto verso il territorio degli storici alleati israeliani.
Dopo che all’inizio di questo mese, Putin ha denunciato il traffico di petrolio al G20 in Turchia, anche gli USA hanno attaccato le colonne di camion che trasportano il petrolio del Daesh e, in due settimane, gli attacchi aerei di russi ed americani hanno vaporizzato 1.300 camion-cisterna che trasportavano il greggio dell’ISIS. Nessuno riesce a capire perché gli USA ci abbiano messo così tanto ad attaccare questo contrabbando così vitale per lo Stato Islamico. Ma secondo uno studio di George Kiourktsoglou e Alec Coutroubis, che hanno analizzato le tariffe delle navi cisterna a Ceyhan collegandole ad eventi significativi legati al petrolio che coinvolgono l’ISIS, «Sembra che ogni volta che lo Stato Islamico sta combattendo in prossimità di una zona che ospita le attività petrolifere, i 13 esportatori da Ceyhan raggiungano tempestivamente il picco. Ciò può essere attribuito ad una spinta in più data al contrabbando di petrolio, con l’obiettivo di generare subito ulteriori fondi, assolutamente necessari per la fornitura di munizioni ed equipaggiamenti militari».
Quindi il porto turco di Ceyhan è quello dal quale viene trasportato il petrolio curdo, tecnicamente “illegale” per Baghdad, ma Kiourktsoglou e Coutroubis fanno notare che «Le quantità di greggio che vengono esportate dal terminal di Ceyhan superano la quota di un milione barili al giorno e, dato che l’ISIS non è mai stata in grado di commerciare ogni giorno più di 45.000 barili di petrolio, diventa evidente che l’individuazione di quantità simili di greggio di contrabbando non può avvenire attraverso metodi di stock-accounting». Questo significa che se il greggio del Daesh viene spedito da Ceyhan, potrebbe diventare facilmente “invisibile” all’interno dell’enorme quantità di petrolio che i curdi iracheni nascondono a Baghdad. Un traffico dal quale sembrano escluse le grandi multinazionali come Exxon, Mobil e BP, che hanno miliardi di dollari di progetti congiunti con l’Iraq e che non vogliono certo metterli a rischio per contrabbandare greggio curdo mischiato con quello dello Stato Islamico. Zero Hedge scrive che per questo «Alcuni acquirenti hanno petroliere ad Ashkelon, Israele, dove viene caricato in impianti di stoccaggio per essere rivenduti in seguito ad acquirenti in Europa. Il petrolio greggio curdo è stato venduto anche in mare aperto a Malta tramite trasferimenti da nave a nave aiutare mascherare gli acquirenti finali e proteggerli così dalle minacce dell’impresa statale irachena SOMO». Un traffico che utilizzerebbe addirittura petroliere “civetta” vuote per ingannare gli investigatori. Ma una cosa è certa, tra maggio ed agosto oltre un terzo di tutte le esportazioni di greggio dall’Iraq settentrionale è andato a finire in Israele, un Paese che il governo centrale iracheno non riconosce, passando da Ceyhan, in Turchia, un Paese che ha dichiarato guerra ai curdi del PKK e che li bombarda sia nel Kurdistan iracheno che nel Rojava in Siria.
Il petrolio dello Stato Islamico passa quindi da una porta di contrabbando aperta dai curdi iracheni in Turchia e un colonnello dei servizi segreti iracheni che sta indagando insieme agli americani sui finanziamenti del Daesh, ha spiegato ad al-Araby al-Jadeed che «Dopo che il greggio viene estratto e caricato, le cisterne lasciano la provincia di Ninive per dirigersi a nord verso la città di Zakho, 88 km a nord di Mosul». Zakho è una città del Kurdistan iracheno, proprio al confine con la Turchia. «Dopo che i camion petroliferi dello Stato Islamico arrivano a Zakho – normalmente 70-100 di loro tutti insieme – sono scaricati dalle mafie del contrabbando di petrolio, un mix di curdi siriani e iracheni, oltre ad alcuni turchi e iraniani. Il responsabile della spedizione di petrolio vende il greggio al miglior offerente». La concorrenza tra bande organizzate ha raggiunto il culmine, e l’assassinio di capi mafia è diventata un evento comune. Il miglior offerente paga subito in dollari contanti tra il 10 e il 25% del valore del greggio, il resto viene pagato dopo. I camionisti del Daesh consegnano i loro veicoli ad altri guidatori che lo trasportano con permessi e documenti turchi per attraversare il confine. Una volta in Turchia, i camion raggiungono Silopi, dove il petrolio viene consegnato a al dottor Farid, alias zio Hajji Farid. «Una volta all’interno della Turchia, il petrolio è indistinguibile dal greggio venduto dal governo regionale del Kurdistan – dice il colonnello iracheno – in quanto sono entrambi venduti come “fonte sconosciuta” o petrolio “illegale” “senza licenza”. Le compagnie che acquistano il petrolio KRG acquistano anche il petrolio di contrabbando dello Stato Islamico».
Quindi le strade del contrabbando passerebbero tutte dalla Turchia, per far arrivare il greggio del Daesh fino ai porti turchi di Mersin, Dortyol e Ceyhan e da qui in Israele, con una diramazione marina verso Malta e l’Europa, approdando – da quanto denuncia il giornale del Qatar – anche in Italia.
Ma la cosa che ha fatto probabilmente più innervosire il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è che Putin abbia confermato al G20, che si teneva proprio in Turchia, che il petrolio del Daesh e del KRG è gestito da intermediari che apparterrebbero alla ristretta cerchia del presidente turco. Secondo Tolga Tanis, corrispondente da Washington per il quotidiano turco Hurriyet, la PowerTrans, l’impresa alla quale il governo turco ha dato l’esclusiva del trasporto del greggio curdo, sarebbe gestita in realtà dal figlio illegittimo di Erdogan, Berat Albayrak. Naturalmente Erdogan ha subito denunciato per diffamazione Tanis. Ma diversi funzionari curdi iracheni hanno confermato che ad Ahmet Calik, un uomo d’affari con strettissimi legami con il clan Erdogan, era stato concesso l’appalto per trasportare petrolio curdo via terra con i camion in Turchia.
«In altre parole – scrive Durden – Erdogan sta già trafficando greggio illecito dal KRG (con cui Ankara, tra l’altro, è in amicizia, nonostante il fatto che siano curdi) tramite un figlio illegittimo e in grandi quantità». Ma nel traffico, secondo il giornale turco Zaman e altre fonti russe, sarebbe coinvolto direttamente il figlio di Erdogan Bilal e forse anche l’altro figlio Burak che possiede una flotta di navi, una delle quali, la Safran 1, nel 2014 era ancorata nel porto israeliano di Ashdod. Inoltre sui social media circolano foto che mostrano una persona che somiglia molto a Bilal Erdogan insieme a quelli che vengono definiti comandanti ISIS. I turchi smentiscono, ma i media russi sostengono che si tratta davvero di leader del Daesh che avrebbero partecipato a massacri in Siria, ad Homs, e nel Rojava liberato dai curdi progressisti siriani.
Ma la domanda più importante alla quale rispondere è: chi sono gli intermediari del greggio dello Stato Islamico mischiato a quello illecito della KRG? Diverse fonti individuano alcune grosse agenzia di trading occidentali e secondo la Reuters tra le agenzie che trattano il greggio della KRG ci sarebbero Trafigura e Vitol, ma «Sia Trafigura che Vitol si sono rifiutate di commentare il loro ruolo nella vendita del petrolio». Ma anche il Financial Times osserva che «Sia Vitol che Trafigura avevano pagato il KRG in anticipo per il petrolio, attraverso le cosiddette offerte “pre-pay”, contribuendo a colmare le lacune di bilancio di Erbil». In effetti quando il governo autonomo del Kurdistan iracheno ha cercato un esperto che lo aiutasse ad aggirare i controlli di Baghdad, ha scelto «Murtaza Lakhani, che ha lavorato per Glencore in Iraq negli anni 2000, per aiutarla nella ricerca di navi».

Vista l’intricata rete di complicità ed interessi internazionali che permette di esportare il greggio illegale dal Kurdistan iracheno in Israele e in Europa, è probabile che il petrolio dello Stato Islamico Daesh a basso costo sia gestito e spacciato dalla stessa rete di agenzie, governi e trafficanti che di giorno piangono per i morti del terrorismo e di notte organizzano il traffico del petrolio che alimenta le casse delle milizie nere del Daesh e dei loro volenterosi carnefici all’estero.

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