Agorà si chiede ancora come Berlusconi abbia cambiato l’Italia, sforzo fuori tempo massimo
di Mariano Sabatini
Adesso la priorità è capire se e come Silvio Berlusconi, il premier più sfavillante degli ultimi centocinquant’anni, ha cambiato il nostro paese. Se lo chiedeva ieri mattina Agorà, nella seconda parte affidata a Giovanni Anversa. Il giornalista ha dedicato tutta la sua carriera al racconto dei mutamenti sociali, sempre dalla parte dei più svantaggiati. Va bene, uno scivolone è concesso a tutti. Certo è difficile, in ogni caso, esprimere tutto il fastidio che simili trasmissioni provocano. Abbiamo detto più volte che è impossibile prescindere dalle vicende imprenditoriali, politiche e soprattutto giudiziarie del cavaliere di Arcore; questo per l’attività tentacolare che ha contraddistinto l’intera sua parabola di vita, che coincide – come per tutti i tycoon – con le professioni svolte.
Non starò a fare esempi, perché partendo dallo stalliere in odore di mafia fino a Ruby Rubacuori, tutti hanno ben chiaro a cosa mi riferisco. La situazione italiana (anche per le malversazioni parlamentari dei tanti governi targati Forza Italia e poi Pdl) è talmente critica che avremmo solo voglia di scrollarcelo di dosso, questo signorotto con velleità da statista: lo faremmo con lo stesso piacere con cui i cani arruffano il pelo bagnato. Più che di bilanci sarebbe tempo di guardare avanti. A quel futuro che quasi nessuno riesce più ad immaginarsi.
Eppure c’è chi si accalora. Sulle poltroncine di Agorà sedeva Anselma Dell’Olio, prestata ad Anversa da Gigi Marzullo, per il quale in questi anni si è prodotta nelle vesti di critico cinematografico. Ed è cinema lo scenario che si prospetta e ci propina, l’ineffabile signora Ferrara: “Vent’anni di processi senza arrivare ad una soluzione, una cosa assurda, è fantagiustizia”.
Un ritrovato della fantascienza le consente invece di obliare, senza scoppiare a ridere, tutte le leggi ad personam e i lodi dei governi Berlusconi che hanno reso possibili le acrobazie giudiziarie dei suoi legali per allontanare le sentenze. Le ha risposto Udo Gumpel, rigorosissimo giornalista tedesco, che ha paragonato l’ex premier al “grande tappo” (non si riferiva alla statura) di questa Italia che non sa rinnovarsi. Difficile invocare la palingenesi con una sentenza della Cassazione sui diritti Mediaset attesa in queste ore e che potrebbe determinare la cadute del governo delle larghe fraintese, come lo ha ribattezzato la mia amica e collega Anna Lombroso. Viene di dare ragione a quel giuggiolone di Matteo Renzi: mandiamolo anche solo in pensione, ma liberiamocene. Finalmente i talk show, una volta saltato il “tappo”, potranno occuparsi di come potremo farcela a risalire la china dell’abisso.
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