sabato 17 ottobre 2015

ABBASTANZA DI CHE COSA?

ABBASTANZA DI CHE COSA?
di Giorgio Nebbia*
L’attenzione per i problemi ambientali, quelli della scarsità di materie prime, degli inquinamenti, delle modificazioni climatiche e delle alluvioni, mobilita intellettuali, scrittori, giornalisti. Uno degli sport più diffusi fra questi formatori dell’opinione pubblica consiste nell’inventare nuove parole o attribuire nuovi significati a vecchie parole. Pensate alla parola “ecologia”: da austera scienza dei rapporti fra esseri viventi e ambiente circostante, viene usata come strumento di pubblicità per deodoranti, biciclette e mozzarelle; “bioeconomia”, un termine che indica la revisione dell’economia in modo che rispetti le leggi biologiche, è diventata il nome dei processi per produrre i sacchetti di plastica; l’aggettivo insostenibile, che in italiano indica una cosa difficilmente sopportabile, ha generato il nome “sostenibile” che sta ad indicare che si può continuare a produrre merci senza fine con un po’ di pannelli solari; adattamento e resilienza indicano la possibilità di far fronte alle alluvioni e alle frane costruendo muraglioni di cemento invece di pulire e regolare il corso dei fiumi, e così via.
Una recente invenzione è l’“economia dell’abbastanza”, titolo di fortunati libri, articoli e dibattiti. È oltre mezzo secolo che viene ripetuto che i disastri ambientali deriva dalla “eccessiva” produzione di merci e edifici e macchine e relativi rifiuti. Un celebre e dimenticato libro del 1973 avvertiva che “Piccolo è bello”, poi gli stessi concetti sono stati riscoperti dalla filosofia della decrescita e ora dall’“economia dell’abbastanza”.
Al di là dei discorsi, è bene ricordare che decrescita e “abbastanza” si riferiscono alla produzione e all’uso di cose materiali: patate e frigoriferi, elettricità e ferro, carta e edifici, plastica e carri armati: chi deve diminuire i suoi consumi e quanto è “abbastanza”? Di oggetti, di merci, di macchinari le persone hanno bisogno per vivere, per mangiare (occorre grano e olio), per abitare (ci vuole cemento per le case), per muoversi (ci vuole acciaio per automobili e biciclette e treni), per conoscere (occorre carta per i libri), per curarsi (occorrono letti di ospedale e siringhe per le iniezioni). I settemila milioni di abitanti delle Terra hanno tutti gli stessi bisogni fondamentali, cibo, salute, conoscenza, ma li soddisfano in maniera molto diversa; i “primi mille” milioni hanno abbondanza di “cose”, anzi di cose sempre più raffinate e costose e ci pensa la pubblicità delle imprese a proporre spazzolini da denti elettrici, motociclette “ruggenti”, mode e lusso spesso sguaiati. A questi ”mille” milioni si racconta che i consumi crescenti giovano all’economia e assicurano l’occupazione. Circa quattromila milioni di terrestri hanno consumi così-così, in parte simili a quelli dei “primi mille”, in parte molto minori e modesti e insufficienti.
Gli “ultimi duemila” milioni hanno una modesta o modestissima quantità di beni materiali, insomma sono più o meno “poveri” o “poverissimi”, e sono spinti, per imitazione delle condizioni di vita dei “primi mille”, decantate dalla televisione che ne porta le immagini in tutto il mondo, a possedere sempre più “cose”, a qualsiasi costo, anche emigrando, anche con la violenza. Questa “disuguaglianza” è stata denunciata da Papa Francesco nella sua enciclica “Laudato si’”, ricordando che “un 20% della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare (ha proprio scritto così) alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere” [n. 95] (leggi anche Il Cantico che non c’era di Paolo Cacciari, ndr).
A questo punto sorge la domanda: che cosa è “abbastanza” e per chi; la risposta viene non da chiacchiere, ma da un serio lavoro culturale e scientifico di sociologi e ingegneri, filosofi e cultori di ecologia (di quella vera) e di merceologia (la disciplina che indica come produrre e caratterizzare le “cose” oggetto di produzione e di consumo): quali consumi e sprechi e inquinamenti sono molto al di là dei limiti dell’“abbastanza”, e con quali materie e processi è possibile assicurare “abbastanza” beni a chi ne è privo, fra gli “ultimi duemila” milioni di poveri e poverissimi, per soddisfare i bisogni reali e fondamentali.
Il bisogno di acqua e di cibo, tanto per cominciare: sta per chiudere i battenti l’Expo di Milano che avrebbe dovuto suggerire come sfamare il pianeta e si è risolto in grandi dichiarazioni e fiere gastronomiche che incantano folle sazie e magari anche obese, ma non fanno fare un passo avanti per soddisfare i bisogni alimentari di chi non ha “abbastanza” cibo, anche perché le sue terre sono sfruttate per far ingrassare i “primi mille” milioni di terrestri. L’igiene personale è un bisogno fondamentale per fermare le epidemie che uccidono ogni anno quei milioni di persone, soprattutto bambini, che sguazzano nelle pozzanghere di rifiuti per mancanza di gabinetti, mentre tanti, fra i ”primi mille”, dispongono di gabinetti raffinati e vasche e idromassaggi ad alto consumo di acqua e di energia. Gli esempi possono continuare per altri bisogni essenziali: salute, acqua pulita, istruzione, abitazioni decenti, eccetera.
Per assicurare “abbastanza” beni essenziali ai poveri e poverissimi occorrono tecnologie appropriate, chimica, innovazioni, una “ingegneria della carità” da cui verrebbero anche numerose e durature occasioni di lavoro e di impresa. Non si tratta di fare delle opere buone; se non saranno attenuate le disuguaglianze, anche attraverso un contenimento degli sprechi dei “primi mille” milioni, gli “ultimi duemila” milioni chiederanno di eliminarle con la violenza. La lotta alla disuguaglianza è (sarebbe) interesse anche dei ricchi.
* Già docente universitario, Giorgio Nebbia è uno dei più noti ambientalisti europei. Autore di numerosi libri, tra i più importanti “Le merci e i valori. Per una critica ecologica al capitalismo” (Jaka book), “Le centrali nucleari. I perché del No” (manifestolibri), “Il problema dell’acqua” (Cacucci).

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