giovedì 30 aprile 2015

A me frega solo dei soldi", il giudice Lollo e la cricca dei fallimenti.

"A me frega solo dei soldi", il giudice Lollo e la cricca dei fallimenti. Domani primi interrogatori, adesso tremano in tanti

Nell'ordinanza del gip umbro la compagnia dei concordati viene definita disinvolta e senza pudore. A Formia sotto sequestro lo studio di Raffaele Ranucci

"A me frega solo dei soldi", il giudice Lollo e la cricca dei fallimenti. Domani primi interrogatori, adesso tremano in tanti
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Potrebbe presto avere nuovi risvolti l’inchiesta che ha svelato un sistema di corruzione all’interno della sezione fallimentare del tribunale di Latina e che ha portato all’arresto di otto persone, tra cui il giudice Antonio Lollo. Gli indagati sono stati tenuti sotto torchio per ore negli uffici della questura di Latina e la sensazione è che qualcuno, finora rimasto ai margini dell’inchiesta, possa adesso finirci dentro. Intanto sono stati fissati per domani, lunedì 23, gli interrogatori di garanzia per gli indagati arrestati su ordine del giudice di Latina Laura Matilde Campoli.

DISINVOLTI E SENZA PUDORE All’indomani della notizia degli arresti, l’attenzione si è spostata sulle intercettazioni e sul sistema fraudolento ricostruito dalle due procure che hanno coordinato l’inchiesta, quella di Latina e quella di Perugia. E’ proprio il gip del tribunale umbro Lidia Brutto a ricostruire, nella sua ordinanza che ha portato all’arresto del giudice Antonio Lollo e di altre cinque persone, “il vero e proprio sistema corruttivo inconsapevolmente confessato dagli indagati nel corso della conversazione ambientale intercettata il 30 gennaio all’interno dell’autovettura del commercialista Marco Viola, il cui tenore colpisce per la disinvoltura con la quale i protagonisti descrivono se stessi, senza alcun pudore, come scaltri complici nell’attuazione di condotte criminose, realizzate mediante l’abituale asservimento della funzione giudiziaria all’arricchimento personale”.

"A ME FREGA SOLO DEI SOLDI" Una frase su tutte delinea questa condotta, secondo il gip di Perugia, e la pronuncia proprio Antonio Lollo- “A me frega solo dei soldi, che cazzo me frega a me del resto, e mia moglie è della partita, non mi sento affatto sporco” E che la coppia sia ben affiatata si evince anche da un’altra intercettazione riportata nell’ordinanza di custodia cautelare arrivata da Perugia. Antonio Lollo e Antonia Lusena il 7 marzo scorso si dirigonoa  Formia per partecipare al compleanno della moglie di un altro indagato, Raffaele Ranucci. Sono in macchina e parlano della perquisizione subita da Marco Viola. Viene riportata integralmente, come altre, nell’edizione di oggi del Giornale di Latina.
Lollo: “Se lo arrestano mi preoccupo della reazione della moglie...questo veramente mi preoccupa a me. Poi il resto secondo me si risolve tutto. Magari in Cassazione eh. Poi so dove devono arriva, noi non è che abbiamo fatto come Paccarini”.
Lusena: “Appunto”.
Lollo: “Che ci siamo comprati la villa all’Eur. Non so se mi sono spiegato. Ecco perché a me mi rode il culo che questo idiota abbia fatto sto casino...ti rendi conto, i soldi che ballano e possono scappare se spostano me e mettono un altro, chi glieli liquida i soldi a questi, loro non li prendono e non li danno a me. A parte quelli già liquidati che sono in corso di...avviamento e di pagamento...quelli che bisogna ancora liquidare e quindi pagare, se le perizie non vanno avanti in Desca e Poseidon perché mi levano...chi glieli liquida questi soldi a loro? Che poi questi non vanno manco in collegio. Mi sto rendendo conto che più che i compensi ai commissari, che devo sudare ogni volta in camera di consiglio, conta di più le stime che faccio fa”.
Lusena: “E certo”.
Lollo: “O le cause che faccio fa a Mo.. a Moscarino”.
Lusena: “Quelli dipendono da te”.
 Lollo: “Ta, ta, ta, ta...e pagano. Una coadiuzione di Genco che vale centomila euro...porti a casa 25/30mila euro, vale molto di più del commissario che deve andà in camera di consiglio...deve da i soldi a Lello e Lello li deve dà a me. Non so se mi sono spiegato! Però..meglio avè Dello Strologo come commissario che un altro no”.
Lusena: “E certo”.
Lollo: “Questo è chiaro. Adesso da Moscarino voglio...voglio fa l’elenco delle cause che sta facendo...come porta a compimento tutte le cose gli liquido i soldi, anche a Luigi...per Pasqua me deve da cinque-diecimila euro perché me servono”.
Lusena: “A Luigi ti deve dà ancora diecimila euro?”.
Lollo: “No, Luigi mi deve dà diecimila euro se partiamo da cento, ma Luigi non ha avuto solo cento ne ha avuti il doppio. Tra liquidazioni e quant’altro facciamo cento ci accontentiamo di 25-30mila euro, quindi me deve dà ancora 10-15. Anche Lello..sembrava che me dovesse dà 27...mo è sceso a 20”.

IL SISTEMA A FORMIA L’eco degli arresti e dell’inchiesta sui fallimenti è presto arrivata fino a Formia dove nelle ultime ore gli uomini della squadra mobile hanno eseguito perquisizioni e sequestri a carico di  Raffaele Ranucci, commercialista in passato anche attivo in politica e marito di un’alta dirigente dell’Agenzia delle Entrate.  Gli inquirenti hanno passato al setaccio la casa, le auto e il suo studio dove poi, ieri mattina, sono stati apposti i sigilli. Ranucci si è occupato di fallimenti clamorosi, come quello per esempio dei Cantieri Rizzardi. Fallimento su cui però la cricca non sarebbe riuscita a mettere le mani. Ranucci è indagato per corruzione in atti giudiziari, sarebbe stato uno di quelli particolarmente vicini al giudice Antonio Lollo, a cui il magistrato faceva avere ricchi incarichi e dai quali riceveva poi indietro il 15% dei compensi, “in danno della società assoggettata alla procedura e dei suoi creditori”.

L’ALTRA INTERCETTAZIONE Pubblicata anche questa dal Giornale di Latina, si riferisce a un incontro convocato da Lollo a casa sua con il commissario giudiziale del concordato Cedis Izzi, Alberto Polonio. C’è anche Ranucci, poi nominato stimatore dei rami d’azienda. Ne parlano in macchina sempre Lollo e sua moglie Antonia Lusena, facendo riferimento ai soldi che il commercialista formiano avrebbe dovuto dare al magistrato. La donna dice al marito che è meglio accontentarsi, che tanto con Ranucci avrebbe fatto altri affari. “Va bene così, fatti dà i 12mila euro e basta su. Non insiste, tanto poi te deve dà il 50% su Desca. Ai voglia a te”. E poi Lollo, al telefono proprio con Ranucci: “Il leader è il leader, la responsabilità è la mia”. E ancora: “Sarò stronzo, sarò un po’ scostante, però io non sono uno che abbandona gli altri...mai!”.

LA BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI (BEI) E I PARADISI FISCALI

LA BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI (BEI) E I PARADISI FISCALI
Nel 2009 la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) è stata la prima istituzione finanziaria internazionale ad aver adottato delle linee guida specifiche sulla scottante questione dei paradisi fiscali. Tuttavia dopo oltre un lustro il denaro della BEI finisce ancora in quegli stessi paradisi fiscali.
Il nuovo rapporto (in inglese) “Towards a Responsible Taxation Policy for EIB” (Verso una politica fiscale responsabile per la BEI) lanciato oggi da Re:Common e dalla rete europea CounterBalance invita la banca pubblica dell’UE a cogliere l’impulso politico a livello continentale e fare così in modo che i suoi fondi non finiscano nei paradisi fiscali. La pubblicazione di bilanci disaggregati Paese per Paese – il country by country reporting – l’identificazione della proprietà effettiva e un elenco praticabile di giurisdizioni non conformi sarebbero gli “ingredienti” fondamentali per una vera e propria politica fiscale responsabile.
La pubblicazione mette in evidenza diversi casi che mostrano come i fondi della BEI siano stati concessi a beneficiari che hanno usato i paradisi fiscali per aumentare i loro profitti o per “imboscare” proventi della corruzione. Il rapporto elenca anche alcuni investimenti della BEI nei Paesi in via di sviluppo che passano attraverso i paradisi fiscali.
Tutto ciò è reso possibile dal fatto che l’attuale politica della BEI sulle giurisdizioni non conformi (NCJ) è molto facile da aggirare. Inoltre la lista di questi Paesi che è stata redatta dal Global Forum nel 2014 è piuttosto ridotta e piena di eccezioni. Un elemento che mina alle fondamenta questo filone di lavoro dell’istituzione. Poi ci sono dei paradossi assoluti, come quello del Lussemburgo, che secondo il Global Forum non è una giurisdizione conforme. Eppure la BEI ha sede e investe in diversi fondi registrati proprio nel Granducato.
Inoltre, è molto difficile tenere traccia degli investimenti della BEI, soprattutto quando sono veicolati tramite intermediari finanziari quali banche commerciali o fondi di investimento. Esigere il country by country reporting da parte dei suoi clienti e che sia accuratamente tracciata la proprietà effettiva dei beneficiari sarebbe un importante passo in avanti per aumentare la trasparenza degli investimenti della BEI e prevenire l’evasione fiscale.
«Recenti rivelazioni come #luxleaks e #swissleaks dimostrano che l’Europa sta perdendo miliardi di euro a causa dell’evasione fiscale, e nei Paesi in via di sviluppo la situazione è ancora peggiore. I leader dell’UE fanno dichiarazioni audaci sulla lotta contro l’evasione fiscale, ma allo stesso tempo la loro principale banca pubblica è parte integrante del problema», ha affermato l’autore del rapporto Antonio Tricarico, dell’associazione Re:Common.
Val la pena rammentare che la BEI è un’istituzione al 100% pubblica, dal momento che è controllata e finanziata dai 28 Stati membri e dalla Commissione. Per questa ragione deve sottostare interamente ai regolamenti e alle direttive comunitarie.
La BEI opera principalmente all’interno dell’UE e, in misura minore, al di fuori dei suoi confini in base a un mandato specifico che gli viene conferito ogni sette anni dalla Commissione Europea, dal Consiglio e dal Parlamento. La Banca raccoglie fondi sui mercati di capitali mediante emissione di obbligazioni con un rating tripla A.

Di recente anche l’OCSE, l’organizzazione che raggruppa gli Stati più ricchi del pianeta, ha riconosciuto che i Paesi in via di sviluppo potrebbero perdere molto di più attraverso l’evasione fiscale di quanto ricevono in aiuti. Nel 2008, una ricerca della ONG Christian Aid ha quantificato tale perdita causata dall’operato delle multinazionali occidentali in 160 miliardi di dollari l’anno. Nel 2012 gli aiuti allo sviluppo ammontavano a 125 miliardi. Inoltre, un rapporto del 2014 di Eurodad, una coalizione di ONG di sviluppo, ha calcolato che gli stessi PAESI in via di sviluppo perdono più reddito a causa dell’evasione fiscale di quanto riescono a raccogliere tramite aiuti, rimesse e investimenti stranieri.

FAVISMO: SINTOMI, RIMEDI E ALIMENTI DA EVITARE

FAVISMO: SINTOMI, RIMEDI E ALIMENTI DA EVITARE
di Marta Albè
Tra gli ortaggi di stagione in primavera troviamo le fave. Vi avevamo già parlato dei numerosi benefici per la salute delle fave, che purtroppo non valgono per chi soffre di favismo.
Il favismo è una malattia grave che richiede a chi ne soffre di evitare di consumare fave e non solo.
Favismo e allergia alle fave
Il favismo e l'allergia alle fave non sono la stessa cosa. Non bisogna confondere il favismo, che è una malattia, con l'allergia alle fave, che è invece un'allergia alimentare, che interessa circa il 3% della popolazione italiana, con particolare riferimento all'età pediatrica. L'allergia alle fave è comunque piuttosto rara.
Cause del favismo
Il favismo è una patologia in cui è presente un difetto congenito in un enzima normalmente contenuto nei globuli rossi. Questo difetto enzimatico si trasmette per via ereditaria tramite il cromosoma X. Il favismo colpisce in forma grave i maschi, mentre le femmine sono portatrici sane e possono trasmettere il deficit genetico ai figli maschi o ammalarsi di forme lievi. Il favismo è una malattia diffusa soprattutto in Sardegna e Grecia, in Asia meridionale e in Africa. L'enzima coinvolto nel favismo è il glucosio-6-fosfato-deidrogenasi.
Nelle persone che soffrono di favismo si riscontra un deficit di questo enzima. I genitori affetti da favismo possono trasmettere la malattia ai figli, nei quali di solito però si presenta in forma più lieve. Il consumo di fave espone i G6PD-carenti al rischio di crisi emolitiche per via della presenza, all'interno dei semi, di sostanze ossidanti come divicina e convicina.
Sintomi del favismo
I sintomi del favismo, e la malattia vera e propria, compaiono dopo 12-24 ore dall'assunzione di fave fresche. Nei casi più gravi circa la metà dei globuli rossi viene distrutta. L'Associazione Italiana Favismo spiega che quando la malattia compare a breve distanza dall'assunzione di fave fresche (o di altri medicinali o alimenti implicati nel favismo) il soggetto colpito assume un colorito giallo intenso su fondo pallido. La cute e le mucose diventano molto pallide. Le urine diventano ipercolorate e possono comparire i segni di un collasso cardiocircolatorio.
I sintomi principali del favismo sono:
1) Improvvisa insorgenza di febbre e di ittero della cute e delle mucose.
2) Urine ipercolorate, giallo-arancione.
3) Pallore, debolezza, compromissione delle condizioni generali.
4) Respiro frequente, difficoltoso.
5) Polso rapido, debole, poco apprezzabile.
Come diagnosticare il favismo
La diagnosi del favismo avviene grazie ad un esame del sangue specifico che serve per determinare la presenza dell'enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi nei globuli rossi. L'esame viene utilizzato sia per diagnosticare la malattia vera e propria sia per identificare i portatori sani di favismo.
Rimedi e alimenti da evitare
Al momento non esisterebbero rimedi e soluzioni vere e proprie per prevenire i sintomi del favismo, se non l'indicazione di evitare gli alimenti e i farmaci che scatenano la malattia. Chi presenta il deficit dell'enzima legato al favismo deve evitare di ingerire:
1) Fave
2) Piselli
3) Verbena Hybrida
4) Alcuni farmaci (come sulfamidici, salicilici, chinidina, menadione)
5) Lupini
6) Arachidi.
Alcuni pazienti preferiscono evitare anche:
1) Tutti i legumi compresa la soia e i suoi derivati
2) Mirtilli
3) Vino rosso
4) Acqua tonica.
Questi cibi e farmaci agiscono da fattori scatenanti del favismo inibendo l'attività dell'enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi eritrocitaria e, purtroppo, impoverendo ulteriormente i globuli rossi che sono già carenti dell'enzima.
Sono da evitare anche Henné nero (Indigofera tinctoria), Henné rosso egiziano (Lawsonia inermis) ed altri coloranti affini, usati in Italia sia per tatuaggi temporanei sia per tingere i capelli.
Qui l'elenco completo dei farmaci da evitare in caso di favismo.
Quando il favismo porta alla crisi emolitica, l'unico rimedio è la trasfusione di sangue che deve essere effettuata al più presto. Il soggetto deve essere trasportato immediatamente in ospedale. Potrebbero essere necessarie più trasfusioni. Le trasfusioni sono fondamentali perché il favismo in fase acuta può provocare un'anemizzazione molto rapida. È raccomandabile che i parenti del paziente ricoverato si sottopongano al test per identificare il favismo.

La cecità dell’Unione Europea di fronte alla strategia militare degli Stati Uniti by supermarco

La cecità dell’Unione Europea di fronte alla strategia militare degli Stati Uniti

by supermarco
di Thierry Meyssan
Traduzione: Luisa Martini
I dirigenti dell’Unione Europea si trovano improvvisamente a confrontarsi con situazioni impreviste. Da una parte, attentati o tentativi di attentati commessi o preparati da individui che non appartengono a gruppi politici identificati; dall’altra, attraverso il Mediterraneo, un afflusso di migranti, molte migliaia dei quali muoiono alle loro porte.
In assenza di analisi strategica, questi due ordini di avvenimenti sono considerati a priori senza relazione tra loro e sono trattati da amministrazioni differenti. I primi afferiscono ai servizi segreti e alla polizia, i secondi alle dogane e al Ministero della Difesa. Essi hanno tuttavia un’origine comune: l’instabilità politica nel Levante e in Africa.
L’Unione Europea si è privata dei mezzi per comprendere
Se le accademie militari dell’Unione Europea avessero fatto il loro lavoro, già da una quindicina d’anni avrebbero studiato la dottrina del “grande fratello” statunitense. In effetti, da lunghissimi anni, il Pentagono pubblica ogni sorta di documenti sulla “teoria del caos” improntata alla filosofia di Leo Strauss. Ancora qualche mese fa, un funzionario che avrebbe dovuto essere in pensione da più di 25 anni, Andrew Marshall, disponeva di un budget di 10 milioni di dollari annui per condurre ricerche su questo argomento [1]. Ma nessuna accademia militare della UE ha seriamente studiato questa dottrina e le sue conseguenze. Sia perché si tratta di una forma di guerra barbara, sia perché è stata concepita da un maître à penser delle élites ebraiche statunitensi [2].
Se i politici dell’Unione Europea avessero viaggiato un minimo, non soltanto in Iraq, in Siria, in Libia, nel Corno d’Africa, in Nigeria e nel Mali, ma anche in Ucraina, avrebbero visto con i loro stessi occhi l’applicazione di questa dottrina strategica. Ma si sono accontentati di venire a parlare in un edificio nella zona verde di Bagdad, su una strada a Tripoli o sulla piazza Maidan di Kiev. Essi ignorano ciò che vivono le popolazioni, e su richiesta del loro “grande fratello” hanno spesso chiuso le loro ambasciate così che si sono privati di occhi e orecchie sul posto. Meglio ancora, essi hanno sottoscritto - sempre su richiesta del loro “grande fratello” - delle forme di embargo, in modo che nemmeno alcun uomo d’affari andrà più sul posto a vedere che cosa succede.
Il caos non è un accidente, è l’obiettivo
Contrariamente a quel che ha detto il presidente François Hollande, la migrazione dei libici non è la conseguenza di una “mancanza di seguito” dell’operazione “Protettore unificato”, bensì il risultato ricercato attraverso questa operazione nella quale il suo Paese giocava un ruolo guida. Il caos non si è creato perché i “rivoluzionari libici” non hanno saputo accordarsi tra loro dopo la “caduta” di Muammar Gheddafi: esso era l’obiettivo strategico degli Stati Uniti. Ed è stato raggiunto. Non c’è mai stata una “rivoluzione democratica” in Libia, ma una secessione della Cirenaica. Non c’è mai stata applicazione del mandato dell’ONU che mirava a “proteggere la popolazione”, ma c’è stato il massacro di 160.000 libici, tre quarti dei quali civili, sotto i bombardamenti dell’Alleanza (cifre della Croce Rossa Internazionale).
Ricordo di essere stato sollecitato a far da testimone, prima che integrassi il governo della Jamahirya araba libica, in occasione di un incontro a Tripoli tra una delegazione statunitense e dei rappresentanti libici. In occasione di quella lunga conversazione, il capo della delegazione USA ha spiegato ai suoi interlocutori che il Pentagono era pronto a salvarli da morte certa, ma esigeva che gli fosse consegnata la Guida. Ha aggiunto che, quando Gheddafi fosse morto, la società tribale non sarebbe arrivata ad approvare un nuovo capo prima di almeno una generazione, e il Paese sarebbe allora sprofondato in un caos mai visto prima. Ho riferito questo colloquio in numerose occasioni e non ho cessato, dal linciaggio della Guida, nell’ottobre 2011, di predire ciò che avviene oggi.
La “teoria del caos”
Quando, nel 2003, la stampa statunitense ha cominciato a evocare la “teoria del caos”, la Casa Bianca ha risposto evocando un “caos costruttivo”, lasciando intendere che si sarebbero distrutte delle strutture oppressive affinché la vita potesse sgorgare senza ostacoli.
Ma né Leo Strauss né il Pentagono, fino a quel momento, avevano mai utilizzato questa espressione. Al contrario, secondo loro, il caos doveva essere tale che niente potesse strutturarsi, tranne la volontà del Creatore dell’Ordine nuovo, gli Stati Uniti [3].
Il principio di questa dottrina strategica può essere così riassunto: il modo più semplice per saccheggiare le risorse naturali di un Paese sul lungo periodo non è occuparlo, ma distruggere lo Stato. Senza Stato, niente esercito. Senza esercito nemico, nessun rischio di sconfitta. Da quel momento, l’obiettivo strategico delle forze armate USA e dell’alleanza che esse guidano, la NATO, consiste esclusivamente nel distruggere Stati. Ciò che accade alle popolazioni coinvolte non è un problema di Washington.
Questo progetto è inconcepibile per degli europei, i quali, dalla guerra civile inglese, sono stati convinti dal Leviatano di Thomas Hobbes che è necessario rinunciare a certe libertà, o addirittura accettare uno Stato tirannico, piuttosto che venire sprofondati nel caos.
L’Unione Europea nega la propria complicità con i crimini USA
Le guerre in Afghanistan e in Iraq sono già costate la vita a 4 milioni di persone [4]. Sono state presentate al Consiglio di Sicurezza come risposte necessarie “per legittima difesa”, ma oggi si ammette che erano state pianificate ben prima dell’11 settembre in un contesto molto più ampio di “rimodellamento del Medio Oriente allargato”, e che le ragioni invocate per scatenarle non erano che invenzioni di propaganda.
Si usa riconoscere i genocidi commessi dal colonialismo europeo, ma sono rari coloro che oggi ammettono questi 4 milioni di morti malgrado gli studi scientifici che li attestano. Il fatto è che i nostri genitori erano “cattivi”, ma noi siamo “buoni” e non possiamo essere complici di questi orrori.
È cosa comune prendersi gioco di questo povero popolo tedesco che conservò fino alla fine la fiducia nei suoi dirigenti nazisti e soltanto dopo la sconfitta prese coscienza dei crimini commessi a suo nome. Ma noi agiamo esattamente allo stesso modo. Conserviamo la nostra fiducia nel nostro “grande fratello” e non vogliamo vedere i crimini nei quali ci coinvolge. Sicuramente, i nostri figli si faranno beffe di noi...
Gli errori di interpretazione dell’Unione Europea
Nessun dirigente europeo occidentale, assolutamente nessuno, ha osato considerare pubblicamente che i rifugiati provenienti da Iraq, Siria, Libia, corno d’Africa, Nigeria, Mali, non fuggono da dittature, ma dal caos in cui noi abbiamo volontariamente, ma incoscientemente, affondato i loro Paesi.
Nessun dirigente europeo occidentale, assolutamente nessuno, ha osato considerare pubblicamente che gli attentati “islamisti” che toccano l’Europa non sono l’estensione delle guerre del Medio Oriente allargato, ma sono commissionati dagli stessi che hanno commissionato il caos in quella regione. Noi preferiamo continuare a pensare che gli “islamisti” ce l’abbiano con gli ebrei e con i cristiani, mentre l’immensa maggioranza delle loro vittime non sono né ebree né cristiane, ma musulmane. Imperturbabili, noi li accusiamo di promuovere la “guerra di civiltà”, quando questo concetto è stato forgiato in seno al Consiglio di sicurezza nazionale degli USA e resta estraneo alla loro cultura [5].
Nessun dirigente europeo occidentale, assolutamente nessuno, ha osato considerare pubblicamente che la prossima tappa sarà l’«islamizzazione» delle reti di diffusione delle droghe sul modello dei Contras del Nicaragua che vendevano droga nella comunità nera della California con l’aiuto e sotto gli ordini della CIA [6]. Noi abbiamo deciso di ignorare che la famiglia Karzai ha ritirato la distribuzione dell’eroina afgana alla mafia kosovara e l’ha trasmessa a Daesh [7].
Gli Stati Uniti non hanno mai voluto che l’Ucraina si unisse alla UE
Le accademie militari dell’Unione Europea non hanno studiato la “teoria del caos” perché è stato loro vietato. Quei pochi insegnanti e ricercatori che si sono avventurati su quel terreno sono stati pesantemente sanzionati, mentre la stampa ha etichettato come “cospirazionisti” gli autori civili che se ne interessavano.
I politici dell’Unione Europea pensavano che gli avvenimenti di piazza Maidan fossero spontanei e che i manifestanti si augurassero di abbandonare l’orbita autoritaria russa e di entrare nel paradiso della UE. Sono rimasti stupiti dalla pubblicazione della conversazione della sottosegretaria di Stato, Victoria Nuland, che alludeva al proprio segreto controllo degli avvenimenti e affermava che il suo obiettivo era di “fottere la UE” [!] [8]. Da quel momento, non hanno più capito niente di quel che stava succedendo.
Se avessero lasciato libera la ricerca nei loro Paesi, avrebbero capito che intervenendo in Ucraina e organizzandovi il “cambio di regime”, gli Stati Uniti si assicuravano che l’Unione Europea restasse al loro servizio. La grande angoscia di Washington, dal discorso di Vladimir Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007, è che la Germania si renda conto di dove stia il proprio interesse: non con Washington, ma con Mosca [9]. Distruggendo progressivamente lo Stato ucraino, gli USA tagliano la principale via di comunicazione tra l’Unione Europea e la Russia. Potreste girare e rigirare in tutti i modi la successione degli avvenimenti, ma non potreste trovare un altro senso. Washington non si augura che l’Ucraina si unisca alla UE, come attestano i propositi della signora Nuland. Il suo unico scopo è di trasformare questo territorio in una zona pericolosa da attraversare.
La pianificazione militare USA
Eccoci dunque di fronte a due problemi che si sviluppano molto rapidamente: gli attentati ’islamisti’ non sono che all’inizio. Le migrazioni sono triplicate nel Mediterraneo nell’arco di un solo anno.
Se la mia analisi è esatta, nel corso del prossimo decennio vedremo raddoppiare gli attentati “islamisti” legati al Medio Oriente allargato e all’Africa e gli attentati “nazisti” legati all’Ucraina. Si scoprirà allora che Al Qaeda e i nazisti ucraini sono collegati fin dal loro congresso comune a Ternopol (Ucraina) nel 2007 [L’8 maggio 2007 (anniversario della caduta del regime nazista tedesco), a Ternopol (ovest dell’Ucraina), dei gruppuscoli nazisti e islamisti creano un sedicente Fronte anti-imperialista al fine di lottare contro la Russia. Organizzazioni da Lituania, Polonia, Ucraina e Russia vi partecipano, tra cui i separatisti islamisti di Crimea, Adighezia, Daghestan, Inguscezia, Cabardino-Balcaria, Karačaj-Circassia, Ossezia, Cecenia. Non potendo partecipare a causa delle sanzioni, Dokka Umaroy invia un contributo. Il Fronte è presieduto da Dmytro Yarosh, divenuto oggi consigliere del Ministero della Difesa ucraino]. In realtà, i nonni degli uni e degli altri si conoscono dalla seconda guerra mondiale. I nazisti avevano allora reclutato dei musulmani sovietici per lottare contro Mosca (era il programma di Gerhard von Mende all’Ostministerium). Alla fine della guerra, gli uni e gli altri erano stati recuperati dalla CIA (il programma di Frank Wisner con l’AmComLib) per condurre delle operazioni di sabotaggio in URSS.
Le migrazioni nel Mediterraneo, che per il momento sono soltanto un problema umanitario (200.000 persone nel 2014), continueranno a crescere fino a divenire un grave problema economico. Le recenti decisioni della UE di andare ad affondare i barconi dei trafficanti in Libia non serviranno a bloccare le migrazioni, ma a giustificare nuove operazioni militari per mantenere il caos in Libia (e non per risolverlo).
Tutto ciò provocherà disordini importanti nell’Unione Europea che pare oggi un’oasi di pace. Per la classe dirigente di Washington non si tratta di distruggere questo mercato che continua a restarle indispensabile, ma di assicurarsi che non si ponga mai in competizione con essa, e di limitare il suo sviluppo.
Nel 1991, il presidente Bush padre incaricò un discepolo di Leo Strauss, Paul Wolfowitz (allora sconosciuto al grande pubblico), di elaborare una strategia per l’era post sovietica. La “Dottrina Wolfowitz” spiegava che la supremazia degli USA sul resto del mondo esige, per essere garantita, di imbrigliare l’Unione Europea [10]. Nel 2008, all’epoca della crisi finanziaria negli Stati Uniti, la presidente del Consiglio economico della Casa Bianca, la storica Christina Rohmer, spiegò che l’unico mezzo per riportare a galla le banche era di fermare i paradisi fiscali dei Paesi terzi, e poi provocare dei disordini in Europa in modo che i capitali rifluissero verso gli Stati Uniti. In definitiva, Washington si propone oggi di far alleare il NAFTA e l’Unione Europea, il dollaro e l’euro, e di abbassare gli Stati membri dell’Unione al livello del Messico [11].
Sfortunatamente per loro, né i popoli dell’Unione Europea, né i loro dirigenti hanno coscienza di quel che il presidente Barack Obama prepara loro.

Cosa vuole davvero Putin?

Cosa vuole davvero Putin?

by supermarco
di Rostislav Ishchenko
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura del Bucaniere
Introduzione di The Saker:
L’analisi che segue è, di gran lunga, la migliore che io abbia visto dall’inizio del conflitto in Ucraina. Ho già pubblicato con regolarità le analisi di Ishchenko su questo blog perché lo considero uno dei migliori analisti della Russia. Ma stavolta Ishchenko ha prodotto un vero capolavoro: un resoconto globale della posizione geostrategica della Russia ed un'analisi chiara e, credo, assolutamente accurata dell’intera “strategia di Putin” per l’Ucraina. Io ho sempre detto che questo conflitto non è sull’Ucraina, ma è sul futuro del pianeta e che non c’è una soluzione “novorussa” e neanche “ucraina”, ma che l’unico possibile risultato è una vittoria strategica o della Russia o degli Stati Uniti che influenzerà l’intero pianeta.
Ishchenko fa una magnifica panoramica sui rischi e le opzioni di entrambi i lati ed offre la prima “chiave” comprensibile dell’altrimenti apparentemente incomprensibile comportamento russo in questo conflitto. Inoltre, Ishchenko comprende pienamente le complesse e sottili dinamiche interne alla società russa. Quando scrive che “il potere russo è autorevole, piuttosto che autoritario” coglie esattamente il punto, e in otto parole spiega più di quanto potresti ottenere leggendo i miliardi di parole inutili scritte dai cosiddetti “esperti” che cercano di descrivere la realtà russa. [...] Raccomando fortemente a tutti di leggere questo testo, con molta attenzione. Due volte. Ne vale la pena.
The Saker (Questa breve parte dell'introduzione è ripresa da http://sakeritalia.it)
È gratificante che i "patrioti" russi non abbiano subito dato la colpa a Putin per il mancato raggiungimento di una vittoria su vasta scala nel Donbass a gennaio e febbraio, o per le consultazioni con Merkel e Hollande a Mosca.
Tuttavia, danno segni di impazienza per la “vittoria mutilata”. I più radicali sono convinti che Putin dovrà prima o poi restituire la Novorossiya. E i moderati temono che ciò accadrà non appena sarà firmata la prossima tregua (se ciò accadrà) a causa della necessità di riorganizzare e di ricostituire l’esercito della Novorossiya (cosa che in realtà si sarebbe potuta fare senza il disimpegno dalle operazioni militari), in modo tale da venire a patti con le nuove circostanze sul fronte internazionale, e per arrivare pronti a nuove battaglie diplomatiche.
Infatti, nonostante tutta l'attenzione che i dilettanti politici e/o militari (i Talleyrand e i Bonaparte di Internet) stanno dedicando alla situazione nel Donbass e all’Ucraina in generale, bisogna ricordare che essa è solo un punto di un fronte globale: l’esito delle ostilità non sarà deciso né all'aeroporto di Donetsk né nelle colline fuori Debaltsevo, ma presso gli uffici di piazza Staraya (1) e piazza Smolenskaya (2), così come negli uffici a Parigi, Bruxelles e Berlino. Tocca rammentare che l'azione militare è solo una delle tante componenti della contesa politica.
La guerra è il prodotto finale di una serie di decisioni o di omissioni, ma la questione non inizia con la guerra e non finisce con essa. La guerra è solo una fase intermedia che significa l'impossibilità di trovare un compromesso. Il suo scopo è quello di creare nuove condizioni affinché il compromesso sia possibile o dimostrare che non vi è alcuna necessità di esso, con la scomparsa di una parte del conflitto. Quando è il momento per un compromesso, quando la lotta è finita e le truppe tornano nelle caserme, e i generali iniziano a scrivere le loro memorie in vista della preparazione per la prossima guerra, questo è il momento topico in cui l’esito del confronto è determinato da politici e diplomatici al fatidico tavolo dei negoziati.
Le decisioni politiche spesso non sono comprese dalla popolazione in generale e/o dai militari. Ad esempio, durante la guerra austro-prussiana del 1866, il cancelliere prussiano Otto von Bismarck (poi cancelliere dell'impero tedesco) ignorò le richieste persistenti di re Guglielmo I (il futuro imperatore tedesco) e le richieste dei generali prussiani che lo incitavano a prendere Vienna, e lui fu assolutamente nel giusto. In questo modo accelerò la pace alle condizioni della Prussia e si assicurò anche che l'Austria-Ungheria fosse per sempre (beh, fino al suo smembramento nel 1918) un socio di minoranza della Prussia - e in seguito dell'impero tedesco.
Per capire come, quando e a quali condizioni l'attività militare possa finire, abbiamo bisogno di sapere che cosa vogliono i politici e come vedono le condizioni del compromesso post-bellico. Allora sarà chiaro il motivo per cui l'azione militare si trasformò in una guerra civile a bassa intensità con tregue occasionali, non solo in Ucraina, ma anche in Siria.
Ovviamente, il punto di vista dei politici di Kiev non è di alcun interesse per noi perché non decidono nulla. Il fatto che gli stranieri governino l'Ucraina è ormai palese. Non importa se i ministri siano estoni o georgiani; sono americani lo stesso. Sarebbe anche un grosso errore coltivare un forte interesse per come vedono il futuro i leader della Repubblica Popolare di Donetsk (DPR) e della Repubblica Popolare di Lugansk (LNR). Le repubbliche esistono solo con il sostegno russo, e fino a quando la Russia li sostiene, gli interessi della Russia devono essere protetti, anche da decisioni e iniziative indipendenti. C'è troppo in gioco per consentire ad [Alexander] Zakharchenko o [Igor] Plotnitsky, o chiunque altro che parli a loro nome, di prendere decisioni autonome.
Né siamo interessati alla posizione dell'Unione Europea. Molto dipendeva dalla UE fino all'estate dello scorso anno, quando la guerra avrebbe potuto essere evitata o interrotta fin dall'inizio. Era necessaria una dura presa di posizione contro la guerra da parte dell'UE. Avrebbe potuto bloccare le iniziative degli USA per iniziare la guerra e avrebbe trasformato l'UE in un importante giocatore geopolitico internazionale. L'Unione Europea, al contrario, ha approvato i diktat provenienti da Washington e si comporta quasi sempre come un fedele vassallo degli Stati Uniti.
Di conseguenza, l'Europa si trova sull'orlo di uno spaventoso sconvolgimento interno. Nei prossimi anni, ha tutte le possibilità di subire la stessa sorte dell'Ucraina, solo che potrà accadere in un colpo solo, con maggiore spargimento di sangue e minore possibilità che nel prossimo futuro le cose potranno ristabilirsi - in altre parole, che qualcuno appaia e metta le cose in ordine.
Oggi, in realtà, l'UE può scegliere se rimanere uno strumento degli USA o avvicinarsi alla Russia. A seconda della sua scelta, l’Europa potrebbe dover sopportare traumi relativi, come ad esempio una rottura di parti della sua periferia o l’eventuale frammentazione di alcuni Paesi, o potrebbe crollare completamente. A giudicare dalla riluttanza delle élite europee a rompere apertamente con gli Stati Uniti, il collasso è quasi inevitabile.
Che cosa dovrebbe interessarci è il parere dei due giocatori principali che determinano la configurazione del fronte geopolitico e di fatto stanno lottando per la vittoria nella guerra di nuova generazione - la terza guerra mondiale a spezzoni. Questi giocatori sono gli USA e la Russia.
La posizione degli Stati Uniti è chiara e trasparente. Nella seconda metà degli anni ‘90, Washington ha mancato la sua unica possibilità di riformare l'economia di “Guerra Fredda” senza ostacoli ed evitare la crisi che incombe in un sistema il cui sviluppo è limitato dalla finitezza del pianeta Terra e delle sue risorse, anche umane, il che è in contrasto con la necessità di stampare all'infinito dollari.
A causa di ciò, gli USA potrebbero prolungare l'agonia del sistema solo saccheggiando il resto del mondo. In un primo momento, sono andati a cercare pasticci con i Paesi del Terzo Mondo. Poi hanno provocato i potenziali concorrenti. Poi toccherà agli alleati e anche agli amici intimi. Tale saccheggio continuerà sin quando gli USA saranno la potenza egemone nel mondo.
Così, quando la Russia ha affermato il suo diritto di prendere decisioni politiche indipendenti - decisioni di importanza non globale, ma regionale - uno scontro con gli Stati Uniti è diventato inevitabile. Questo scontro non può terminare con un compromesso.
Per gli USA, un compromesso con la Russia significherebbe una rinuncia volontaria alla loro egemonia, che porterebbe ad una rapida catastrofe sistemica - non solo una crisi politica ed economica, ma anche una paralisi delle istituzioni statali segnata dall'incapacità del governo di funzionare. In altre parole, sarebbe la loro inevitabile disgregazione.
Ma se gli Stati Uniti vinceranno, allora è la Russia che sperimenterà una catastrofe sistemica. Dopo un certo tipo di "ribellione" eterodiretta, le classi dirigenti russe sarebbero punite con la liquidazione dei loro ingenti asset e con la reclusione in galera. Lo Stato si frantumerebbe, territori importanti (come il Caucaso) dichiarerebbero l’indipendenza da Mosca e l’esercito russo potrebbe perdere la sua forza.
Quindi la nuova guerra durerà fino a quando una parte vince. Qualsiasi accordo provvisorio dovrebbe essere considerato solo come una tregua temporanea - una tregua necessaria per riorganizzarsi, per mobilitare nuove risorse e trovare (portandoli via al nemico) altri alleati.
Per completare il quadro della situazione, abbiamo solo bisogno della posizione della Russia. È essenziale capire che cosa la leadership russa vuole raggiungere, in particolare il presidente Vladimir Putin. Stiamo parlando del ruolo chiave che Putin gioca nell’organizzazione della struttura di potere russo. Questo sistema non è autoritario, come molti asseriscono, ma piuttosto autorevole - il che significa che non si basa sulla codificazione di un’autocrazia, ma sull'autorità della persona che ha creato il sistema e, come capo di esso, lo fa funzionare in modo efficace.
Durante i 15 anni di potere di Putin, nonostante la difficile situazione interna ed esterna, egli ha cercato di massimizzare il ruolo del governo, l'assemblea legislativa, e anche le autorità locali. Si tratta di passi del tutto logici che avrebbero dovuto dare al sistema la completezza, la stabilità e la continuità. Perché nessun politico può governare per sempre: la continuità politica, a prescindere da chi arriva al potere, è la chiave per un sistema stabile.
Purtroppo, il “pilota automatico”, vale a dire la capacità di funzionare senza la supervisione del presidente, non è stato raggiunto. Putin resta la componente chiave del sistema, perché le persone si affidano a lui personalmente. Hanno molta meno fiducia nel sistema, rappresentato da autorità pubbliche e singole agenzie spesso corrotte o mal funzionanti.
Così le opinioni di Putin e i suoi piani politici diventano il fattore decisivo in settori quali la politica estera della Russia. Se la frase "senza Putin, non c'è la Russia" è una esagerazione, la frase "ciò che vuole Putin, lo vuole anche la Russia" riflette la situazione molto accuratamente, a mio parere.
In primo luogo, notiamo che l'uomo che per 15 anni ha guidato con attenzione la Russia verso la sua rinascita lo ha fatto in condizioni di egemonia degli USA nella politica mondiale con significative opportunità per Washington di influenzare la politica interna della Russia. Putin doveva capire la natura della lotta e il suo avversario. Altrimenti, non sarebbe durato così a lungo.
Il livello di confronto che la Russia ha deciso di mantenere con gli USA è cresciuto molto lentamente e fino ad un certo punto è rimasto inosservato. Ad esempio, la Russia non reagì al primo tentativo di rivoluzione colorata in Ucraina nel 2000-2002 [il caso Gongadze (3), lo scandalo Cassette (4), e la protesta anti-Kuchma (5)].
La Russia ha preso una posizione contraria, ma è intervenuta militarmente contro i colpi di Stato che hanno avuto luogo dal novembre 2003 a gennaio 2004 in Georgia e dal novembre 2004 al gennaio 2005 in Ucraina. Nel 2008, in Ossezia e Abkhazia, la Russia ha utilizzato le sue truppe contro la Georgia, un alleato degli Stati Uniti. Nel 2012, in Siria, la flotta russa ha dimostrato la sua disponibilità a confrontarsi con gli Stati Uniti ed i suoi alleati della NATO.
Nel 2013, la Russia ha cominciato a prendere misure economiche contro il regime ucraino di Yanukovich, a causa della pericolosità - per la Russia e per i russi presenti in Ucraina - della firma di un accordo di associazione [con l'UE].
Mosca non avrebbe potuto salvare l'Ucraina dal colpo di Stato a causa della sua viltà, della codardia, e della stupidità dei leader dell'Ucraina stessa - non solo Yanukovich, ma tutti senza eccezione. Dopo il colpo di Stato armato a Kiev nel febbraio 2014, la Russia è entrata in un confronto aperto con Washington. Prima di allora, i conflitti sono stati intervallati da un miglioramento delle relazioni, ma all'inizio del 2014 le relazioni tra la Russia e gli Stati Uniti si sono deteriorate rapidamente e hanno quasi raggiunto il “boiling point” in cui la guerra sarebbe stata dichiarata apertamente.
Così in un dato momento Putin si è impegnato ad alzare il livello del confronto con gli Stati Uniti ad un livello che la Russia poteva gestire. Se oggi la Russia non vuole limitare il livello del confronto, significa che Putin ritiene che - all’interno della guerra di sanzioni, la guerra di nervi, la guerra dell'informazione, la guerra civile in Ucraina e la guerra economica susseguente - la Russia possa vincere.
Questa è la prima importante conclusione su ciò che vuole Putin e quello che si aspetta. Si aspetta di vincere. E considerando che ha un approccio meticoloso e si sforza di anticipare le sorprese, si può essere sicuri che se non è stata presa la decisione di fare marcia indietro sotto la pressione degli Stati Uniti, ma di rispondere colpo su colpo, la leadership russa ha avuto doppie, se non triple, garanzie di vittoria.
Vorrei sottolineare che la decisione di entrare in conflitto con Washington non è stata fatta nel 2014, né è stata fatta nel 2013. La guerra dell’8 agosto 2008 (invasione di parte della Georgia, ndr) è stata una sfida che gli Stati Uniti non potevano lasciare impunita. Dopodiché, ogni ulteriore tappa del confronto ha solo alzato la posta in gioco. Dal 2008 al 2010, la capacità degli USA - non solo militare o economica, ma la loro capacità complessiva - è diminuita, considerando che la Russia è migliorata in modo significativo. Quindi l'obiettivo principale è stato quello di alzare la posta in gioco lentamente, piuttosto che in modo esplosivo. In altre parole, un confronto aperto, in cui tutti i sotterfugi sono eliminati e tutti capiscono che è in corso una guerra, ha dovuto essere ritardato il più a lungo possibile. Ma sarebbe stato ancora meglio evitarlo del tutto.
Con ogni anno che passava, gli Stati Uniti diventavano più deboli, mentre la Russia diventava più forte. Questo processo è stato naturale e impossibile da arrestare, e possiamo proiettarlo con un alto grado di certezza sino al 2025, scadenza entro la quale il periodo di egemonia degli Stati Uniti dovrebbe essere terminato. Gli Stati Uniti farebbero meglio a non pensare a come governare il mondo; dovrebbero invece preoccuparsi di come rallentare il proprio declino.
Così il secondo desiderio di Putin è chiaro: mantenere la pace o l’apparenza della pace il più a lungo possibile. La pace è vantaggiosa per la Russia, perché in condizioni di pace, senza enormi spese, si ottiene lo stesso risultato politico, ma in una migliore situazione geopolitica. Ecco perché la Russia estende continuamente il ramo d'ulivo. Proprio come la giunta Kiev crollerà in condizioni di pace nel Donbass, così in condizioni di pace nel mondo il complesso militare-industriale e il sistema finanziario globale creato dagli Stati Uniti sono condannati ad autodistruggersi. In questo modo, le azioni della Russia sono giustamente descritte dalla massima di Sun Tzu "La più grande vittoria è quella che non richiede battaglia".
È chiaro che Washington non è gestita da idioti, non importa quello che si dice nei talk show russi o negli scritti sui blog.
Gli Stati Uniti comprendono la precaria situazione in cui si trovano. Inoltre, capiscono anche che la Russia non ha intenzione di distruggerli ed è davvero disposta a collaborare da pari a pari. Nonostante ciò, a causa della situazione politica e socio-economica degli Stati Uniti, tale cooperazione non è per loro accettabile. Un collasso economico e un’esplosione sociale è probabile che si verifichi prima che Washington (anche con il sostegno di Mosca e Pechino) abbia il tempo di introdurre le riforme necessarie, soprattutto se si considera che l'Unione Europea dovrà subire una riforma nello stesso tempo. Inoltre, le élite politiche che sono emerse negli USA negli ultimi 25 anni si sono abituate al loro status di proprietari di tutto il mondo. Sinceramente non capiscono come qualcuno osi sfidarli.
Per l'élite al potere negli USA (non tanto la business comunity, ma la burocrazia di governo), passare dallo status di essere un Paese che decide del destino di popoli inferiori a quello che negozia con loro su un piano di parità è intollerabile. È probabilmente equivale ad offrire a Gladstone o Disraeli la carica di primo ministro del regno Zulu di Chisimaio. E così, a differenza della Russia, che ha bisogno di pace per lo sviluppo, gli Stati Uniti considerano la guerra come vitale.
In linea di principio, ogni guerra è una lotta per le risorse. In genere, il vincitore è colui che ha più risorse e in ultima analisi può mobilitare più truppe e costruire più carri armati, navi e aerei. Tuttavia, a volte quelli che sono strategicamente svantaggiati possono ribaltare la situazione con una vittoria tattica sul campo di battaglia. Alcuni esempi sono le guerre di Alessandro Magno e Federico il Grande, così come la campagna di Hitler del 1939-1940.
Le potenze nucleari non possono confrontarsi direttamente. Pertanto, la loro base di risorse è di fondamentale importanza. Questo è esattamente il motivo per cui la Russia e gli Stati Uniti sono stati in una gara disperata per accaparrarsi più alleati possibili. La Russia ha vinto questa competizione. Gli Stati Uniti possono contare sull’Unione Europea, il Canada, l'Australia, il Giappone (e non sempre incondizionatamente alleati), ma la Russia è riuscita a mobilitare il sostegno dei Paesi BRICS, per ottenere un fermo appoggio in America Latina, e sta iniziando a far sloggiare gli USA dall’Asia e dall’Africa.
Naturalmente, non è ovvio, ma se si considerano i risultati delle votazioni alle Nazioni Unite, assumendo che la mancanza di sostegno pubblico per gli USA significhi dissenso e quindi sostegno alla Russia, si scopre che i Paesi allineati con la Russia controllano circa il 60% del PIL mondiale, hanno più di due terzi della sua popolazione e coprono più di tre quarti della superficie terrestre. Così la Russia è stata in grado di mobilitare maggiori risorse.
A tale riguardo, gli Stati Uniti avevano due opzioni tattiche. La prima sembrava avere un grande potenziale ed è stata impiegata dai primi giorni della crisi ucraina.
È stato un tentativo di costringere la Russia a scegliere tra una brutta situazione e una ancora peggiore. La Russia sarebbe stata costretta ad accettare uno Stato nazista ai suoi confini e quindi una drammatica perdita di autorità internazionale, di fiducia e di sostegno dei suoi alleati, e dopo un breve periodo di tempo sarebbe diventata vulnerabile a forze interne ed esterne pro-USA, senza possibilità di sopravvivenza. Oppure avrebbe potuto inviare il suo esercito in Ucraina, spazzare la giunta prima che si fosse organizzata, e ripristinare il legittimo governo di Yanukovych. Ciò, tuttavia, avrebbe portato l'accusa di aggressione contro uno Stato indipendente e di soppressione della rivoluzione popolare. Tale situazione avrebbe comportato un alto grado di disapprovazione da parte degli ucraini e la necessità di spendere continuamente risorse diplomatiche e militari, oltre che politiche ed economiche, al fine mantenere un regime fantoccio a Kiev, dato che nessun altro governo sarebbe stato possibile sotto tali condizioni.
La Russia ha evitato il dilemma. Non c’è stata nessuna invasione diretta. È il Donbass che si batte contro Kiev. Sono gli americani che hanno dedicato (scarse) risorse per il regime fantoccio insediato a Kiev, mentre la Russia può rimanere in disparte facendo proposte di pace.
Così ora gli Stati Uniti stanno impiegando la seconda opzione. È vecchia come il cucco. Ciò che non può essere tenuto, e sarà preso dal nemico, deve essere danneggiato per quanto possibile in modo che la vittoria del nemico sia più costosa della sconfitta, in modo tale tutte le risorse del nemico vengano utilizzate per ricostruire il territorio distrutto. Gli Stati Uniti hanno quindi cessato di aiutare l’Ucraina con qualcosa di più della retorica politica, incoraggiando Kiev a diffondere la guerra civile in tutto il Paese.
La terra ucraina deve bruciare, non solo a Donetsk e Lugansk, ma anche a Kiev e Lvov. Il compito è semplice: distruggere l'infrastruttura sociale per quanto possibile e lasciare la popolazione al limite della sopravvivenza. Poi la popolazione dell'Ucraina sarà composta da milioni di affamati, disperati e armati fino ai denti, che si uccidono l'un l'altro per il cibo. L'unico modo per fermare questo bagno di sangue sarebbe un massiccio intervento militare internazionale in Ucraina (la milizia filorussa da sola non sarà sufficiente) e massicce iniezioni di fondi per nutrire la popolazione e per ricostruire l'economia affinché gli ucraini possano rivivere.
È chiaro che tutti questi costi sarebbero spalmati sulla Russia. Putin ritiene giustamente che non solo il bilancio pubblico, ma anche le risorse pubbliche in generale, tra cui i militari, sarebbero non sufficienti. Pertanto, l'obiettivo è quello di non permettere all'Ucraina di esplodere prima che la milizia possa portare la situazione sotto controllo. È fondamentale per ridurre al minimo le perdite e le distruzioni e salvare l'economia quanto più possibile, così come l'infrastruttura delle grandi città, in modo che la popolazione in qualche modo sopravviva e poi si possa “prendere cura” dei teppisti nazisti.
A questo punto appare un alleato per Putin nella forma dell'Unione Europea. Poiché gli Stati Uniti hanno sempre cercato di utilizzare le risorse europee nella loro lotta con la Russia, l'Unione Europea, che è stata già davvero indebolita, potrebbe raggiungere il punto di esaurimento in cui dovrà fare i conti con i propri problemi a lungo rinviati.
Se l'Europa ha ora sul suo confine orientale un’Ucraina completamente distrutta, da cui milioni di persone armate fuggiranno non solo in Russia, ma anche all’interno dell'Unione Europea, portando con loro deliziosi passatempi (come il traffico di droga, il traffico di armi e il terrorismo) l'UE non potrà sopravvivere. Le Repubbliche della Nuova Russia invece serviranno da cuscinetto alla Russia.
L'Europa non può affrontare gli Stati Uniti, ma ha mortale paura di un'Ucraina distrutta. Pertanto, per la prima volta nel conflitto, Hollande e Merkel non solo stanno cercando di sabotare le richieste degli Stati Uniti (imponendo sanzioni, senza andare troppo lontano), ma stanno anche intraprendendo un'azione indipendente limitata con l'obiettivo di raggiungere un compromesso - forse non la pace ma almeno una tregua in Ucraina.
Se l'Ucraina prende fuoco, brucerà in fretta, e se l'UE sarà un partner inaffidabile, pronto se non a muoversi nel campo della Russia almeno a prendere una posizione neutrale, Washington - fedele alla sua strategia - sarà costretta a dar fuoco all’Europa.
È chiaro che una serie di guerre civili e interstatali in un continente ricco di tutti i tipi di armi, in cui vivono più di mezzo miliardo di persone, è molto peggio di una guerra civile in Ucraina. L'Atlantico separa gli Stati Uniti dall'Europa. Anche la Gran Bretagna può sperare di starsene fuori grazie alla Manica? Ma la Russia e l'Unione Europea condividono un lungo, davvero lungo, confine.
Non è affatto nell'interesse della Russia avere una conflagrazione che si estenda dall'Atlantico ai Carpazi quando il territorio dai Carpazi al Dniepr è ancora fumante. Pertanto, un altro obiettivo di Putin è, nella misura del possibile, evitare che gli effetti più negativi di una conflagrazione in Ucraina e di una piena esplosione in Europa. Poiché è impossibile prevenire completamente tale risultato (se gli USA vogliono accendere il fuoco, sarà), è necessario essere in grado di spegnerlo rapidamente per salvare ciò che è più importante.
Quindi, per proteggere gli interessi legittimi della Russia, Putin considera la pace di vitale importanza, perché è la pace che gli permetterà di raggiungere questo obiettivo con la massima efficacia al minimo costo. Ma poiché la pace non è più possibile, e le tregue stanno diventando più teoriche e fragili, Putin deve fare la guerra per chiudere la partita in fretta.
Ma voglio sottolineare che, se un anno fa poteva essere raggiunto un compromesso, alle condizioni più favorevoli per l'Occidente (la Russia avrebbe ancora ottenuto i suoi obiettivi, ma avrebbe fatto concessioni maggiori), ora non è più possibile, e le condizioni stanno progressivamente peggiorando. Apparentemente, la situazione rimane la stessa; la pace in quasi tutte le configurazioni è ancora vantaggiosa per la Russia. Solo una cosa è cambiata, ma è della massima importanza: l'opinione pubblica. La società russa vuole ora una vittoria chiara e una vendetta. Come ho sottolineato in precedenza, il potere russo è autorevole, piuttosto che autoritario; dunque, l'opinione pubblica è importante in Russia, in contrasto con le "democrazie tradizionali".
Putin può mantenere il suo ruolo di fulcro del sistema solo finché ha il sostegno della maggioranza della popolazione. Se perde questo supporto, dato che nessuna figura della sua statura è emersa, il sistema perde la sua stabilità. Ma il potere può mantenere la propria autorità solo finché incorpora i desideri delle masse. Così la sconfitta del nazismo in Ucraina, anche se è diplomatica, deve essere chiara e indiscutibile - solo a queste condizioni è possibile un compromesso russo.
Così, a prescindere dalla volontà di Putin e gli interessi della Russia, dato l'equilibrio generale del potere, nonché le priorità e le capacità dei protagonisti, una guerra che si sarebbe conclusa l'anno scorso entro i confini dell'Ucraina quasi certamente sconfinerà in Europa. Si può solo immaginare chi sarà più efficace - gli americani con i loro gas o i russi con il loro estintore? Ma una cosa è assolutamente chiara: le iniziative di pace dei leader russi saranno limitate non a causa della loro volontà, ma a causa degli umori della società russa. È inutile combattere i desideri del popolo o il corso della storia; quando essi coincidono, l'unica cosa che può fare un politico saggio è capire i desideri del popolo e la direzione del processo storico, cercando di farli coincidere a tutti i costi.
Le circostanze sopra descritte rendono estremamente improbabile l’eventualità che i sostenitori di uno Stato indipendente della Nuova Russia vedano soddisfatti i loro desideri. Data la portata della prossima conflagrazione, determinare il destino dell’Ucraina nel suo complesso non solo è troppo complicato, ma è anche riduttivo.
È logico che il popolo russo si chiederà: se i novorussi, che abbiamo salvato dai nazisti, vivono in Nuova Russia, perché necessitano di uno Stato separato? Se vogliono vivere in uno Stato separato, perché la Russia dovrebbe ricostruire le loro città e le fabbriche? A queste domande c'è una sola risposta ragionevole: la Nuova Russia dovrebbe diventare parte della Russia (soprattutto perché ha abbastanza combattenti, anche se la classe dirigente è problematica). Beh, se una parte dell'Ucraina si può unire alla Russia, perché non tutta? Tanto più la questione sarà all'ordine del giorno, quanto più per gli ucraini l'Unione Europea non sarà più un'alternativa all'Unione Eurasiatica.
Di conseguenza, la decisione di rientrare in Russia sarà effettuata da un’Ucraina federale e non da qualche entità senza uno status chiaro. Penso che sia prematuro ridisegnare la mappa politica. Molto probabilmente il conflitto in Ucraina si concluderà entro la fine dell'anno. Ma se gli USA riusciranno ad estendere il conflitto nell’UE (e ci proveranno), la risoluzione finale delle questioni territoriali richiederà almeno un paio di anni e forse più.
In ogni caso beneficiamo dalla pace. In condizioni di pace, le risorse della Russia crescono, nuovi alleati (ex partner degli Stati Uniti) cambiano bandiera, Washington diventa progressivamente emarginata, la ristrutturazione territoriale diventa molto più semplice.