lunedì 28 settembre 2015

A cent'anni se ne va l'ultimo vero comunista, Pietro Ingrao.

A cent'anni se ne va l'ultimo vero comunista, Pietro Ingrao. il suo dolore per la fine del Pci

. Politica

Se ne e' andato a cent'anni compiuti l'ultimo vero comunista, Pietro Ingrao, che e' stato anche uno dei padri della Repubblica. Aveva festeggiatole cento candeline lo scorso 30 marzo. Era nato a Lemola, da una ricca famiglia di proprietari terrieri, liberale,  a Lemola in provincia di Latina. Nel 76 e' stato il primo presidente della Camera, proveniente dalle fila del Pci. Fino ad allora quella carica era stata una riserva della Dc. Da giovane era fascista e partecipo' pure ai Littoriari, la manifestazione sportiva e colturale del regime. Ma già nel 36 all'epoca della guerra civile di Spagna si avvicino' agli antifascisti militanti per divenire poi nel dopoguerra uno dei maggiori dirigenti del Partito comunista italiano. Che amo' con tutto il suo cuore ed al quale dedico' la sua vita, tanto da essere identificato come il "vero comunista amato dalla gente". Visse da presidente della Camera i terribili giorni del rapimento e dell'uccisione di Moro. Rappresentante dell'ala marxista piu' a sinistra del partito entro' in polemica, quando il Pci decise di espellere gli "eretici" del Manifesto". Per lui fu un grande dolore la fine del Pci con la svolta della Bolognina di Occhetto, che fece nascere il Pds, al quale poi aderì ma mai amandolo. Fino ad andarsene in Rifondazione comunista per poi alla fine votare per Sel. Di lui Fausto Bertinotti disse, ben centrandone la figura politica: "Ingrao e' un comunista eretico senza scisma". Anche Matteo Renzi lo ricorda: "Con Ingrao scompare uno dei protagonisti della storia della sinistra italiana. A tutti noi mancherà la sua passione, la sua sobrietà, il suo sguardo, la sua inquietudine che ne hanno fatto uno dei testimoni scomodi e lucidi del novecento della sinistra nel nostro paese". Se ne e' andato e molti lo ricordano come "il perdente (in riferimento alle sue numerose lotte nel partito) di successo". 

Nasa, su Marte scorrono ruscelli d'acqua salata

Nasa, su Marte scorrono ruscelli d'acqua salata


Isis, Francia lancia raid aerei in Siria.

Isis, Francia lancia raid aerei in Siria. New York Times: “30mila foreign fighters”. Renzi: “Evitare Libia bis”

Isis, Francia lancia raid aerei in Siria. New York Times: “30mila foreign fighters”. Renzi: “Evitare Libia bis”
Mondo

L'Eliseo ha annunciato in un comunicato i bombardamenti nei territori dell'autoproclamato Califfato. Tra i bersagli anche la città di Raqqa, roccaforte dei jihadisti. Già colpito un campo di addestramento. Il quotidiano Usa, citando fonti di intelligence, stima il numero di combattenti stranieri che si sono uniti a Daesh. Il premier italiano: "Non facciamo blitz e strike". Iran: "Pronti a collaborare con Usa"
Dopo un anno di voli di ricognizione, la Francia ha dato il via ai primi bombardamenti contro obiettivi mirati dello Stato Islamico in Siria. E il primo ad essere colpito è stato un campo di addestramento dell’autoproclamato Califfato. Una decisione che accomuna il governo di Parigi a quello britannico e australiano, che ha già iniziato a sferrare attacchi, e che si inserisce in un contesto di aumento generale delle forze impegnate nel Paese contro gli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi, sia al fianco della coalizione internazionale a guida statunitense che di quella a guida russa, a sostegno di Bashar al-Assad. Sulla questione interviene ancheMatteo Renzi che da New York avverte: “Bisogna evitare che si ripeta una Libia bis. La posizione italiana è sempre la stessa – ha aggiunto – non facciamo blitz e strike” ma, ha aggiunto, collaboriamo con la coalizione internazionale.
L’impegno cresce anche sul fronte iracheno, con Baghdad che ha annunciato l’inizio della collaborazione militare col blocco sciita sostenuto da Mosca e composto da IranSiria e Hezbollah. L’aumento delle forze in gioco si rende necessario anche in considerazione degli ultimi numeri forniti dal New York Times, che cita fonti di intelligence Usa, secondo i quali sarebbero 30 mila i foreign fighters partiti per Siria e Iraq, il doppio rispetto a un anno fa.
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Francia, “colpiremo ogni volta che la nostra sicurezza nazionale è in gioco” – Nessuna incursione a tappeto, mabombardamenti chirurgici verso obiettivi strategici, come campi di addestramento e basi logistiche, anche nelle città più importanti del califfato, come la capitale Raqqa, che saranno identificati grazie a precedenti voli di ricognizione. È questo il piano presentato dagli uomini de presidente François Hollande per riconquistare i territori in mano all’Isis. Lo scopo è anche di preservare quanto possibile le vite dei civili, in un Paese dove il conflitto armato, in quattro anni, ha causato la morte di circa 220mila persone e la fuga dal Paese di milioni di cittadini. Per questo Parigi ha condotto un anno di voli di ricognizione sopra le teste dei jihadisti. Parlando coi giornalisti dalla sede dell’OnuHollande ha spiegato che sei jet francesi hanno già attaccato e distrutto un campo di addestramento nella Siria orientale gestito da miliziani Isis perché rappresentava una minaccia per la “sicurezza nazionale”. Hollande ha quindi aggiunto che “se sarà necessario, nelle prossime settimane ci potranno essere altri attacchi”.
“Il nostro Paese conferma il suo impegno risoluto a combattere contro la minaccia terroristica rappresentata da Daesh. Colpirà ogni volta che la nostra sicurezza nazionale sarà in gioco”, si legge nel comunicato diffuso dall’EliseoUn nuovo impegno militareche si affianca a quello già iniziato e portato avanti in Iraq. Questo sforzo si unisce a quello profuso anche dall’altro blocco in gioco nello scacchiere siriano: quello che vede RussiaIran edHezbollah appoggiare il presidente Assad, con Mosca che ha inviato armi e militari per sostenere il disastrato esercito diDamasco. Cambiamenti avvenuti in poche settimane ma che, se le coalizioni impegnate troveranno un accordo per un processo dipace e di transizione, potrebbero portare a una più rapida soluzione del conflitto siriano.
negoziati avranno come oggetto la futura classe dirigente delPaese e il ruolo che dovrà ricoprire Assad durante e dopo il processo di pace. Nel suo annuncio, la Francia è rimasta ferma sulle posizioni dettate dal presidente americano Barack Obama: lotta allo Stato Islamico, ma nessun sostegno al governo diDamasco. Intanto, però, altri partner importanti come GermaniaTurchia e lo stesso ministro degli esteri transalpino, Laurent Fabius, hanno ammesso che in un futuro processo di transizione “si dovrà dialogare anche con Assad” che, a questo punto, diventa un importante mediatore tra le due coalizioni e le minoranzenon sunnite presenti nel Paese, soprattutto quella alawita.
Fronte iracheno, Baghdad si schiera con il blocco sciita - A rafforzarsi, però, non è solo l’impegno della coalizione occidentale in Siria. Il governo di Baghdad ha annunciato una cooperazione di intelligence e di sicurezza con Siria, Iran e Russia. Una notizia che era già stata diffusa da Mosca nei giorni scorsi e smentita dal governo iracheno. A confermare le voci provenienti dal Cremlino e diffuse da Al Arabiya è stato però il Comando centrale iracheno.
Così Baghdad sembra prendere le distanze dagli Stati Uniti e strizzare l’occhio a Vladmir Putin, ma a smentire l’intenzione di una “via parallela” rispetto a quella di Washington è il presidente iraniano Hassan Rohani, che si è detto disposto a collaborare con gli Usa per cacciare l’Isis dalla Siria. “In questo momento” l’Iran è pronto a discutere con gli Usa sulla crisi siriana”, ha detto in un’intervista alla National Public Radio (Npr). Quanto ad Assad, secondo Rohani, “prima cacciamo i terroristi, poi pensiamo al piano d’azione per la transizione”.
La scelta di Baghdad si rivela comunque in linea con la composizione della classe dirigente de Paese, compreso il primo ministro, Haydar al-‘Abadi, a maggioranza sciita. Il rischio è quello di uno spostamento delle politiche interne in una direzione simile a quella intrapresa dall’ex premier, Nuri al-Maliki, che opprimeva e ghettizzava la componente sunnita del Paese che rappresenta il 35% della popolazione. È così che crebbe il malumore interno che ha reso una parte dell’ala sunnita sensibile ai proclami e alle promesse degli islamisti guidati da al-Baghdadi.
Nyt, “30 mila foreign fighters in Siria e Iraq. Il doppio rispetto al 2014” - Questo impegno rafforzato arriva proprio in concomitanza con i numeri diffusi dal New York Times, che cita fonti dell’intelligence americana, riguardo all’aumento del numero dei foreign fighters: 30mila tra Siria e Iraq, il doppio rispetto a un anno fa. Segno che la propaganda degli uomini in nero va avanti con successo, fornendo ad al-Baghdadi sempre nuovi combattenti da impegnare sui vari fronti ai confini del califfato. È questo l’altro aspetto su cui i governi delle due coalizioni devono iniziare a lavorare: una contropropaganda che fermi l’emorragia che porta migliaia di giovani da tutto il mondo ad unirsi ogni anno allo Stato Islamico. Un’opera di comunicazione che freni l’afflusso di aspiranti jihadisti verso le terre del Califfato e limiti il messaggio di reclutamento e radicalizzazione verso coloro che, invece, vengono spinti a compiere attacchi in patria, come lupi solitari. Ѐ anche attraverso un piano di contropropaganda, oggi solo annunciato dai governi occidentali ma mai realmente iniziato, che Paesi come la Francia potranno garantire ciò che più sta loro a cuore: la sicurezza nazionale.

Papa Francesco e lo stato del mondo spiegato agli americani

Papa Francesco e lo stato del mondo spiegato agli americani

Giornalista e scrittore
Papa Francesco apre la 70ma Assemblea Generale dell'Onu
Quando la voce tonante del “marshall” del Congresso americano ha annunciato “the Pope of the Holy See”, nell’aula del Campidoglio di Washington che ospitava i deputati, i senatori, i giudici della Corte Suprema e i vertici militari del Paese, c’era benevola attesa, e un lieve, diffuso imbarazzo. L’ho sentito dire dai commentatori americani e mi è sembrato di percepirlo da spettatore che conosce il rito. Piccoli schiarimenti di voce, e una sedia o due che si muovono. Poi il silenzio teso, che non è tipico delle assemblee politiche. Salvo gli applausi, brevi e intensi ma raramente comuni a tutti, e le ovazioni (sette) non tutte unanimi. Ma il silenzio è stato il vero tributo.
Quest’uomo ha qualcosa da dire e bisogna ascoltarlo. C’era una sfida implicita nell’evento. Nessun Papa ha mai parlato al Congresso degli Stati Uniti, e benché introdotto come un capo di Stato, ci si aspettava che la sua sarebbe stata una omelia ricca di apprezzamenti, di ammonimenti, di incitamenti a sperare, insomma la religione. Francesco invece ha parlato, col passo un poco rallentato dalla lingua estranea e la voce appena sotto tono, in un luogo di voci stentoree. E con le sue parole ben misurate e senza un solo inciampo o ripetizione, ha presentato al Congresso americano lo stato del mondo. Il suo è stato un grande discorso politico. E chi, fra i commentatori americani, ha provato a usare l’argomento come rimprovero, si è trovato isolato. Il silenzio, gli applausi quasi mai unanimi ma forti, le ovazioni non al Papa ma al leader che sta attraversando un’epoca e il mondo, il pianto commosso e impossibile da nascondere dello speaker della Camera Boehner(cattolico, ma capo di una destra rigida da cui, dopo aver ascoltato Francesco, ha deciso di dimettersi) quando ha accompagnato il Papa per il saluto alla folla hanno confermato la cosa strana e mai accaduta: chi ascoltava, da un luogo privilegiato e potente, si è accorto di essersi spostato a un livello più alto non perché religioso, ma perché ti mostra l’intero orizzonte di un’epoca e ti chiede di scegliere. Bello il titolo del New York Times del 25 settembre: “Il Papa chiama ad agire”, che dato il luogo, la sede e i protagonisti, mostra la qualità straordinaria dell’evento.
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Il discorso di Francesco è grande perché rovescia il discorso politico. Invece di annunciare, raccoglie la voce di chi non ha la voce. Invece di accusare spiega che ciascuno di noi è il nemico nel momento in cui diventa spietato e crudele credendo di rimettere in ordine la civiltà. Invece di decidere che cosa è bene o male, indica dei percorsi, e li segue insieme a chi lo ascolta. Nomina Lincoln, che è la libertà,Martin Luther King, che è il grande protagonista della nonviolenza ma anche del non rassegnarsi, Dorothy Day, la donna oggi ignorata da tanti americani, iniziatrice del Movimento dei Lavoratori Cattolici per organizzare la difesa del lavoro anche quando lo sfruttatore del lavoro era la Chiesa cattolica. E Thomas Merton che crea, nel discorso del Papa, due legami, con il mondo della cultura che lo ha sempre riconosciuto come un grande, e con quello del monachesimo contemplativo.
Bello il suo elenco dei fondamentalismi da cui stare lontani, quello religioso, che non è solo islamico ma anche cristiano, anche cattolico, e quello del capitalismo, quando vuole trasformare l’impresa in santuario, invece che riconoscere il luogo del rispettato lavoro insieme. Importante, e d’ora in poi dottrina della Chiesa, la condanna del più malvagio degli espedienti del potere: trasformare in nemico interno chi si oppone e non sta al gioco.
Il rifiuto della pena di morte giunge inaspettata e a metà di un applauso di chi credeva che finalmente il Papa stesse per parlare diaborto. Invece, in nome della sacralità della vita umana, ha chiesto all’America di abolire subito e per sempre la pena di morte. Ha voluto che la sua voce portasse forza e risonanza mondiale a quella di chi, da decenni (i Radicali italiani) ha iniziato e non ha mai smesso una campagna di liberazione dal boia che continua anche adesso all’Onu. La condanna delle armi che portano morte e si producono e si vendono con grandi profitti, detto in quel punto e in quel modo del suo discorso, ha affrontato un ostacolo molto grande che tormenta la democrazia americana, e a cui solo un leader come Obama ha il coraggio di opporsi. L’altro, il tentativo di respingere l’immigrazione, lo ha affrontato allargando le braccia, lo strano uomo in bianco in quella grande aula del potere per dire: “Io sono un emigrante. Sono nato da italiani sbarcati in Sudamerica. Voi tutti, in quest’aula siete emigranti, anche se di diverse generazioni. Come possiamo decidere chi non entra, chi lasciamo morire?”. Papa Francesco aveva di fronte un Congresso ammirato, disorientato, incerto tra l’ovazione e il dissenso. Ma anche stupito. Quel suo sguardo sul mondo era… è più grande della politica.