sabato 22 giugno 2013

NELLE MANI DELLE ECOMAFIE. LATINA AL NONO POSTO IN ITALIA PER I REATI AMBIENTALI

NELLE MANI DELLE ECOMAFIE. LATINA AL NONO POSTO IN ITALIA PER I REATI AMBIENTALI
di Tonj Ortoleva
Nella triste classifica dei reati ambientali, Latina ha pochi rivali: nono posto in Italia, con 744 infrazioni accertate nel 2012 pari al 2,20% sul totale nazionale. E, bisogna sottolinearlo, la classifica viene stilata sui dati ufficiali. È scontato che la situazione sia ben peggiore.
La graduatoria è stata presentata ieri, come ogni anno, da Legambiente. Una indagine nazionale, di cui presentiamo i dati scorporati della Regione Lazio. Lo spaccato che emerge è desolante. La provincia pontina, per l’ennesima volta, risulta essere una delle più «infiltrate» nei settori dei rifiuti e dell’edilizia in particolare.
Nel corso del 2012, nel Lazio sono state accertate 2.800 infrazioni, che rappresentano l'8,2% del totale nazionale, ossia 7,7 illegalità al giorno, con un aumento di 463 infrazioni accertate rispetto al 2011 (quando erano 2.463), ossia una infrazione in più al giorno. Aumentano le persone denunciate che passano a 2.045 (rispetto alle 1.982 dell’anno precedente) mentre calano seppure di poco le persone arrestate che sono 6 nel 2012 (rispetto ai 10 dello scorso anno). Una flessione si ha poi anche per quanto riguarda i sequestri effettuati che arrivano a 518. Preoccupa il balzo in avanti fatto dalla provincia di Roma per numero assoluto di infrazioni, con 787 illegalità in più rispetto all'anno precedente, così come l'escalation del reatino in tema di reati nel ciclo dei rifiuti. Questa è la fotografia che emerge dal Rapporto Ecomafie 2013 di Legambiente, che vede il Lazio piazzarsi stabile in quinta posizione nel Paese per numero assoluto di illegalità ambientali, appena sotto al podio dopo le regioni a tradizionale presenza mafiosa nella triste classifica nazionale delle ecomafie, elaborata sulla base dei dati delle forze dell’ordine. In Italia sono nel complesso 34.120 i reati, 28.132 le persone denunciate, 161 le ordinanze di custodia cautelare, 8.286 i sequestri, per un giro di affari di 16,7 miliardi di euro gestito da 302 clan e il 45,7% dei reati concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia).
Nel ciclo dei rifiuti nel 2012 il Lazio scende all'ottavo posto della classifica nazionale per questi reati. Il numero delle infrazioni passa dalle 326 registrate lo scorso anno a 277, il 5,5% del totale nazionale. Aumentano i sequestri effettuati passando dai 163 del 2011 ai 175 di quest’anno e si registrano 4 arresti, a differenza del 2011 in cui non ve ne erano stati. Diminuisce poi, il numero delle persone denunciate che passano dalle 354 dello scorso anno alle 224 del 2011.
La Relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (XVI legislatura), approvata il 2 marzo 2011, a proposito delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell’intera filiera della gestione dei rifiuti scrive: «Il Lazio si presenta come una regione particolarmente interessata a questo tipo di illegalità, sia per la presenza di ampie porzioni di territorio morfologicamente adatte alla discarica e all’occultamento illecito dei rifiuti e sia per la vicinanza con quelle aree della provincia di Caserta ad alto rischio ambientale, dove in passato e ancora oggi nell’attualità sono state individuate presenze criminali nel settore». Come si vede, i numeri dell’indagine di Legambiente non fanno altro che confermare questa tesi. Una situazione esplosiva, quindi, a cui hanno certamente contribuito le pessime scelte – o meglio, le non scelte – sul fronte dell’adozione di un sistema moderno ed efficiente nel campo dei rifiuti, improntato principalmente alla riduzione, al riutilizzo e al riciclo, come ci chiede d’altronde l’Unione Europea.
Nel ciclo del cemento, il Lazio rimane stabile ad un preoccupante quinto posto subito dopo le tradizionali regioni ad insediamento mafioso, con 519 infrazioni accertate ovvero 1,4 illeciti al giorno, 1 arresto, 165 sequestri, 571 persone denunciate. Con questi numeri la nostra regione incide sul totale nazionale dei reati edificatori con l'8,2%.
«Il Lazio, e in particolar modo Roma, già da tempo sono stati scelti dalle organizzazioni criminali mafiose per costituirvi articolazioni logistiche per il riciclaggio di capitali illecitamente accumulati e per l’investimento in attività imprenditoriali». È da qui che si deve partire, secondo la Relazione 2012 della Procura nazionale antimafia, se si vuole comprendere il ruolo delle organizzazioni criminali nel ciclo del cemento. «L’azione di contrasto che è stata svolta anche nell’ultimo anno – ricorda il consigliere Diana De Martino, che ha curato la sintesi relativa al Lazio – è risultata efficace e importante, ma nello stesso tempo ha evidenziato quanto il fenomeno sia radicato». Altro che semplici infiltrazioni.
LEGAMBIENTE: DATI PREOCCUPANTI

«Preoccupa l'aumento del numero complessivo dei reati ambientali accertati nel corso del 2012, causato dal balzo in avanti che il Lazio ha fatto per le illegalità in campo faunistico, degli incendi e dell'arte rubata», ha dichiarato Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio. «È necessario e fondamentale che le istituzioni intervengano per stroncare la zona grigia di commistione fra criminalità e pezzi del tessuto economico, per lanciare un green new deal nella nostra regione. In questo senso, auspichiamo che il nuovo governo della Regione intervenga anche con leggi che siano in grado di fare chiarezza su molti temi ed inaugurare una nuova gestione del territorio, a partire dal piano rifiuti, dalla legge urbanistica e dalla riforma della normativa sui parchi. Bisogna però anche agire di più sul piano della prevenzione, sull'educazione alla legalità. In questo senso è fondamentale che la stessa Regione Lazio rilanci le attività dell'Osservatorio Ambiente e Legalità che proprio Legambiente Lazio gestisce da anni, per dare anche la possibilità ai cittadini di segnalare direttamente tutto ciò che sembra fuori dalle norme, e che riunisca finalmente la Consulta regionale Ambiente e Legalità con Forze dell'Ordine, Procure e parti sociali. Contemporaneamente l'escalation di infrazioni su Roma desta un serio allarme, sul quale la nuova Giunta comunale deve accendere un faro».

TERRACINA, ROGO ALL’AGENZIA IMMOBILIARE. DANNEGGIATO IL CHIOSCO DI UN ESERCIZIO DI PORTO BADINO, SI SEGUE LA PISTA DOLOSA

TERRACINA, ROGO ALL’AGENZIA IMMOBILIARE. DANNEGGIATO IL CHIOSCO DI UN ESERCIZIO DI PORTO BADINO, SI SEGUE LA PISTA DOLOSA
di Francesco Avena

I primi a intervenire sono stati alcuni residenti che hanno visto il fumo uscire dalla «casetta» in legno. Hanno tentato con mezzi di fortuna a spegnere l’incendio ma non ce l’hanno fatta. Pochi minuti dopo c’ha pensato una squadra dei Vigili del Fuoco a domare le fiamme e mettere in sicurezza la struttura. Ma i danni sono stati pesanti: all’interno gran parte della sede dell’agenzia Badino Immobiliare è andata danneggiata in modo pesante. Anche la documentazione è andata distrutta, ridotta in cenere dalle fiamme. Le indagini sono partite immediatamente e, sebbene non si possa escludere al momento alcuna pista investigativa, le ricerche portano dritti alla pista dolosa. L’allarme è scattato intorno alle 22 di domenica. I vigili del fuoco e i carabinieri hanno raggiunto la strada provinciale Badino vecchia, proprio nel piazzale antistante la chiesa di Porto Badino. Nella zona, peraltro frequentata da molte persone a quell’ora, si è subito radunata una piccola folla di persone e di curiosi. Anche i titolari dell’agenzia immobiliare, gestita da trent’anni da una settantenne del posto, hanno cercato di contribuire per quanto possibile ai soccorsi. Ma salvare il salvabile non è stato semplice. I titolari hanno subito parlato con vigili del fuoco e carabinieri e nella giornata di ieri sono stati nuovamente ascoltati dagli uomini dell’Arma. Non sono ancora chiare le circostanze che hanno provocato l’incendio, ma il sospetto è che dietro le fiamme possa esserci la mano di un piromane. Qualcuno che, forse dopo aver monitorato la zona, abbia deciso domenica sera di entrare in azione e appiccare le fiamme. Ma questa, per il momento, è soltanto una delle ipotesi. I carabinieri vogliono capire se qualcuno possa aver avuto un motivo per incendiare la «casetta» in legno che ospita la sede della storica agenzia immobiliare. Le indagini, comunque, sono tuttora in corso. A quanto pare sul posto sarebbe stato ritrovato qualche elemento forse utile alla ricostruzione dei fatti. L’assenza di una telecamera di videosorvaglianza nella zona complica le ricerche dei carabinieri ma elementi utili potrebbero arrivare dal referto dei vigili del fuoco e dalle informazioni fornite dai proprietari della Badino Immobiliare.

L’IMPERO DEI MALLARDO. IL TRIBUNALE SEQUESTRA I BENI DEI DELEGATI PONTINI DEL CLAN

L’IMPERO DEI MALLARDO. IL TRIBUNALE SEQUESTRA I BENI DEI DELEGATI PONTINI DEL CLAN
di Graziella Di Mambro
Il Tribunale di Latina, presidente Pierfrancesco De Angelis, ha ordinato il sequestro di beni mobili (in conti correnti e azioni) e immobili, tra cui alberghi, ristoranti e concessionarie di auto, per oltre 65 milioni di euro. Tutti riferibili ai rappresentanti del clan Mallardo e ai suoi delegati pontini, ossia i fratelli Dell’Aquila.
Sono state sufficienti due parole per riassumere l’operazione «bad brothers» che ha portato ad un maxi sequestro di beni provento di attività illecite del clan Mallardo, in larga parte ubicate nel sud della provincia di Latina. Queste parole: «presenza radicata». Le ha pronunciate ieri mattina il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, nel corso della conferenza stampa tenuta insieme agli uomini della Polizia Tributaria per illustrare i dettagli del provvedimento chiesto a maggio dalla Procura e autorizzato il 10 giugno con ordinanza del Tribunale di Latina. Negli atti è ricostruita la scalata economica di Domenico e Giovanni Dell’Aquila approdati a Formia nel 2007 dove tuttora risultano domiciliati in via dell’Acquedotto Romano. È da quel momento che hanno cominciato a cercare attività immobiliare in cui investire e società che avrebbero, nel tempo, consentito quel radicamento economico cui ha fatto riferimento ieri mattina il procuratore Pignatone, ponendo fine (questa volta per sempre) al luogo comune in base al quale la camorra in provincia di Latina è «infiltrata» o al massimo in vacanza. Il patrimonio sequestrato dal Tribunale appartiene direttamente o tramite prestanome identificati a Domenico Dell’Aquila, 48 anni di Giugliano in Campania ma domiciliato a Formia, a Giovanni Dell’Aquila, 58 anni, anch’egli domiciliato a Formia, al figlio di questi, Vittorio Emanuele, 26 anni residente a Formia, e a Cicatelli Salvatore, 23 anni, nato a Napoli ma residente a Fondi, fratello di Rita Cicatelli, ex segretaria di Giovanni Dell’Aquila. Il provvedimento di sequestro è motivato dal Tribunale con l’appartenenza dei quattro «ad associazioni di cui all’articolo 416 bis del codice penale, sicché sono soggetti pericolosi... a carico dei quali risultano concordanti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia». Delle avventure economiche in terra pontina dei Mallardo hanno parlato ripetutamente nei verbali Salvatore Izzo, Massimo Amatrudi, Salvatore Giuliano, Luigi Giuliano, Domenico Bidognetti, Luigi Diana, Giuliano Pirozzi, Giovanni Chianese. E tutti hanno indicato Domenico e Giovanni Dell’Aquila come i «cassieri» del potente clan Mallardo che governa l’area di Giugliano in Campania. In particolare il pentito Salvatore Izzi nelle dichiarazioni rese alla DDA di Napoli il 29 aprile del 2010 ha detto che i due Dell’Aquila svolgono «attività imprenditoriale per conto del clan e che anche Vittorio Emanuele Dell’Aquila è integrato nella stessa associazione. I due fratelli Dell’Aquila, con decreto del GIP di Napoli del 28 gennaio 2011, sono stati rinviati a giudizio in quanto aderenti al clan Mallardo, la stessa ragione per cui vennero arrestati a marzo del 2010 con ordinanza di custodia cautelare. Nella quale Domenico Dell’Aquila venne definito «uomo di fiducia del clan per gli affari in terra pontina». Sotto il profilo strettamente tecnico, alla base del sequestro operato ieri c’è l’accertata disponibilità da parte dei quattro di un reddito risultato palesemente sproporzionato rispetto alle attività economiche svolte. Dunque un tenore di vita troppo alto in relazione al lavoro che svolgevano in via ufficiale e pertanto considerato frutto di attività illecite o di riciclaggio del denaro derivante dalle stesse. Alla componente economica si aggiunge la «pericolosità» dei soggetti cui sono stati sequestrati i beni che secondo il Tribunale di Latina si ravvisa sulla base della documentazione e delle prove prodotte dalla Procura di Roma, «sia in riferimento alla partecipazione all’organizzazione camorristica che in relazione alle attività di fittizia attribuzione dei beni».
IL TENORE DI VITA DEI «BAD BROTHERS»
Il nome in codice dell’operazione, «Bad brothers» non è stato scelto a caso bensì in omaggio ai fratelli Domenico e Giovanni Dell’Aquila. Le verifiche della Polizia Tributaria effettuate su delega della DDA di Roma hanno fotografato lo status patrimoniale di ciascuno dei due. E così dagli «accertamenti patrimoniali svolti nei confronti di Domenico Dell’Aquila è emersa la totale assenza di capacità reddituale lecita, sua e dei suoi familiari con una situazione economica complessiva (ossia riferita all’intero nucleo familiare) che evidenzia una palese incoerenza patrimoniale in quanto, comparando il reddito annuale dichiarato (maggiorato da eventuali incrementi patrimoniali derivanti da vendite o altri elementi finanziari positivi), si rileva come nel decennio 2001-2011 vi sia stata una sproporzione pari a 369.517,61 euro, fatto che indica necessariamente il ricorso a fonti illecite di finanziamento da ricondurre alle illecite attività poste in essere». Così scrive il Tribunale di Latina nell’ordinanza che autorizza i sequestri. Per Giovanni Dell’Aquila la sproporzione nel reddito, sempre riferita agli anni dal 2001 al 2011, è pari a 474.000 euro.
UNA RETE DI SOCIETÀ
Una rete di società consentiva ai membri del clan Mallardo di effettuare investimenti sul territorio, non solo a Latina ma anche a Giugliano in Campania e in Emilia Romagna. Per questo nell’elenco delle quote azionarie poste sotto sequestro e che compongono una parte consistente dell’impero riferibile a Dell’Aquila e Cicatelli sono finite la C.R. Diffusione s.r.l., Generali Immobiliare s.r.l., Domiro s.r.l. in cui Domenico Dell’Aquila detiene partecipazioni rilevanti attribuibili a lui direttamente o a soci che fungono da prestanome e del tutto privi di capacità reddituali. Poi ci sono le società «schermo»: New Auto s.r.l., Holiday s.a.s. e For You s.r.l.; dalle intercettazioni telefoniche si evince che queste società sono, appunto, un sorta di paravento per attività illecite e anch’esse sono riferibili a Domenico Dell’Aquila, elemento che viene confermato anche dal collaboratore di giustizia Salvatore Izzo. Per tale ragione i beni intestati a queste società «sono da ricondurre a Domenico Dell’Aquila» e sono stati anch’essi posti sotto sequestro. Sono invece attribuibili a Giovanni Dell’Aquila e al figlio Vittorio Emanuele la Reale Aquila Immobiliare s.r.l., la D.G. Immobiliare s.r.l., la Di.Effe.Gi. Costruzioni s.r.l. di cui entrambi detengono partecipazioni. Ma per esempio hanno tutte le quote di Reale Aquila. Fungono invece da «schermo» per attività illecite dei due la Tecniche Immobiliare s.r.l., Deca Costruzioni s.r.l. e Imperial Car s.r.l. di cui Giovanni Dell’Aquila poteva «disporre totalmente». Circostanza specificamente citata nel verbale contenente le dichiarazioni del pentito di camorra Gianluca Pirozzi. Per quanto riguarda Salvatore Cicatelli è stato accertato che questi aveva un tenore di vita non giustificabile e una sproporzione economica tra quanto denunciato dal 2001 al 2011 e la realtà, pari a 458.000 euro circa; il Cicatelli è subentrato nelle quote detenute nella Imperial Car di Fondi da Giovanni Dell’Aquila tre giorni dopo l’arresto di questi.
QUANDO È SUCCESSO
Nella ricostruzione dell’avvento dei Mallardo tra Formia, Fondi, Terracina e oltre non è indifferente la collocazione temporale. Gli affari migliori da queste parti li hanno fatti tra il 2007 e il 2010. Non sono anni trovati a caso. Perché in quello stesso periodo si consolida sul territorio la presenza di altri clan, in una sorta di spartizione che emergerà in tutto il suo clamore e gravità negli atti riferiti al cosiddetto «caso Fondi». Si scopre in quel contesto che a metà degli anni Duemila una serie di gruppi di camorra e ‘ndrangheta aveva diviso il territorio per singole competenze e specializzazione criminale: c’era chi si occupava di usura e chi di droga e armi e chi costruiva immobili con soldi riciclati in una sorta di patto sociale in cui a ciascuno era toccato un segmento di economia illegale, dove trovava spazio anche il racket. Ogni volta che sono state tracciate le coordinate di questa rete criminale sono emersi enormi interessi finanziari e pericolosi contatti con la politica e le amministrazioni a livello burocratico. È successo tutto nello stesso arco di tempo, come se fosse stato superato il segno e anche le connivenze non sono riuscite più a reggere un radicamento che ormai era sotto gli occhi di tutti. Tranne qualche rara frangia politica che, in fondo, persino adesso continua a negare. E forse è irrimediabile.
L’ANAGRAFE
È possibile che l’inchiesta su Domenico e Giovanni Dell’Aquila sarebbe comunque cominciata e sarebbe altresì decollata per come la conosciamo oggi. Eppure c’è stato un momento decisivo per tutto quello che si è scoperto tra il 2010 e il 2013 su questo ricchissimo gruppo di camorra «immigrato» da Giugliano. È il momento del loro trasferimento negli elenchi dell’Anagrafe del Comune di Formia, nel 2007. Quando gli uffici dell’ente ricevono la richiesta trasmettono una informativa al Commissariato di Polizia di quella città che, in base a questo input, avvia per primo l’indagine sui due fratelli imprenditori di Giugliano. Dunque la più importante indagine economica sulla presenza «radicata» della camorra in terra pontina deriva, nei fatti, da un piccolo atto passato da un piccolo Comune alla Polizia. A dimostrazione che gli enti locali non sono del tutto inermi davanti alla escalation economica e quindi criminale delle organizzazioni di stampo mafioso, come si sente normalmente in giro nei (pochi) convegni che si tengono in zona su quelle che ancora vengono definite impropriamente infiltrazioni mafiose.
MOLTI SOLDI IN TASCA
La base logistica era Formia ma poi gli investimenti riguardavano punti diversi in tutto il Paese e infatti il sequestro di beni ha riguardato il Lazio, in specie il sud pontino, la Campania, soprattutto l’area di Giugliano, e l’Emilia Romagna, tra Bologna e Cento. La base «filosofica» però riguarda la disponibilità finanziaria. In altri termini i fratelli Dell’Aquila sbarcano in provincia con molti soldi, contanti per lo più. Non sono soli perché hanno una rete di collaboratori e, soprattutto, possono contare sull’apporto tecnico e professionale di «consulenti».
In questo modo riescono ad avere contatti con le banche, con i Comuni, con gli uffici territoriali in forma del tutto pulita, trasparente. Ciò non toglie il sospetto che per creare un impero immobiliare e societario come quello sequestrato certamente hanno potuto godere di appoggi. La portata dell’impero dei Dell’Aquila era già emersa in due circostanze, con gli arresti del marzo del 2010 e con l’operazione Aquila Reale nell’ottobre del 2011. Se si fa eccezione per un altro pezzo da novanta dei casalesi, ossia l’avvocato Cipriano Chianese, nessuno prima di loro aveva mostrato una simile tecnica imprenditoriale e una così ampia disponibilità di denaro.
Ed è quest’ultimo l’elemento che porta a considerare la vicenda dei Dell’Aquila come l’emblema del riciclaggio di denaro sporco della camorra fatto da anni in provincia di Latina. In questo caso sono state trovate le prove, che probabilmente mancano o non sono del tutto convincenti in altre situazioni analoghe che riguardano altri gruppi della stessa tipologia e con i medesimi interessi nel campo del commercio e dell’edilizia.
IN PRINCIPIO FU L’EX DESCO
di Pierfederico Pernarella
L'operazione «Bad Brothers» è il secondo tempo dell'attacco sferrato dall'Antimafia agli affari del clan Mallardo. Il primo tempo porta invece il nome di «Arcobaleno», l'inchiesta della DDA di Napoli culminata nel 2010 anch’essa con arresti e sequestri patrimoniali considerevoli. Quelli della prima inchiesta erano addirittura da record: circa 600 immobili per un valore di circa 500 milioni di euro. Ci sono legami tra le due operazioni? Qualcuno. Oltre ai Dell'Aquila, infatti, tra i nomi presenti nell'operazione «Bad Brothers» che comparivano anche in quella «Arcobaleno», ci sono quelli di Gennaro Delle Cave e Carmine Maisto. Quest'ultimo in particolare, imprenditore di Giugliano in Campania, era legato ad alcuni tra i principali affari emersi nella prima inchiesta. Su tutti quello dell'ex Desco, l'ex industria di pomodori di Terracina che sarebbe dovuta diventare una mega complesso edilizio composto da alloggi, attività commerciali, servizi. Una sorta di nuovo quartiere pensato come intervento di riqualificazione di un sito industriale dismesso. Era il fiore all'occhiello degli affari compiuti dal gruppo dei giuglianesi arrivati in terra pontina per fare soldi con il mattone. In realtà quel progetto è diventato una maledizione. Oggi il cantiere sulla Pontina, all'ingresso nord di Terracina, è sotto sequestro, provvedimento chiesto ed ottenuto dal sostituto procuratore Giuseppe Miliano. La camorra, in questo caso, non c'entra nulla. L'inchiesta riguarda le illegittimità urbanistiche del progetto in variante approvato come un Accordo di Programma senza però, secondo l'ipotesi dell'accusa, avere i requisiti. Sigilli che arrivano, sigilli che vanno, sigilli che tornano. E sì perché l'area dell'ex Desco finita come punta di diamante del patrimonio sequestrato con l'operazione «Arcobaleno», circa un anno prima del sequestro per lottizzazione abusiva disposto dalla Procura di Latina, era da poco tornata nella disponibilità degli imprenditori giuglianesi - non più Maisto (titolare della società che nel 2008 chiuse la compravendita), ma Vincenzo Gallucci. L'inchiesta della DDA di Napoli, infatti, non ha retto la prova del Riesame, soprattutto nella parte riguardante i prestanome.
Non solo Maisto, manche Antonio Pirozzi (classe ‘72), Domenico Petito, Raffaele D’Alterio, Antonio Pirozzi (classe ‘71), Gaetano Abruzzese, Gennaro Delle Cave e Pietro Paolo Dell’Aquila (fratello del latitante Giuseppe Dell’Aquila). Dietro gli affari di questi ultimi, secondo l'Antimafia, c’era la mano del clan Mallardo attraverso una rete di passaggi societari e un giro di prestiti bancari, spesso concessi a fronte di dichiarazioni di redditi al limite della povertà. Ma appunto l’impalcatura investigativa, basata peraltro su dichiarazioni dei pentiti e intercettazioni telefoniche, non ha retto, almeno per quanto riguarda la posizione dei prestanome. A smontare le accuse della magistratura è stata una perizia contabile affidata ad uno dei più noti commercialisti di Napoli. Un lavoro che ha fatto cadere tutte le ipotesi accusatorie che andavano dall’associazione di stampo mafioso, di riciclaggio di denaro sporco e di intestazione fittizia di beni. Per cui gli imprenditori giuglianesi da subito sono tornati tutti in libertà e lo scorso anno sono tornati in possesso di buona parte dei loro beni. Ora sulla decisione di dissequestro presa da Riesame pende un ricorso in Cassazione presentato dai magistrati della DDA di Napoli.
TUTTI I PRESTANOME
Tutto ciò che è emerso, cioè l’esistenza di un’impresa di origine criminale con elevatissime capacità di investimento in diversi settori, denota certamente la presenza stabile nella società dei Dell’Aquila e nelle loro attività di una rete consolidata di prestanome. E infatti il Tribunale di Latina fa un lungo elenco di persone di cui i referenti del clan «si servivano» per i loro affari su questo territorio. Si tratta di Vincenzo Vitiello, Eva Bruno, Francesco Di Gioia, Mariantonia Granata, Sabato Tortorella, Gennaro Delle Cave, Giuseppe Cerqua, Filomena Cecere, Giovanni Ravai, Roberto Gazzelli, Antonio Maisto, Concetta Maisto, Carmine Maisto, Francesco Maisto, Pasquale Maisto, Antonietta Volpicelli, Giulia Chiarello. Tutti vengono definiti nell’ordinanza del GIP quali prestanome dei Dell’Aquila in quanto si evince «la totale assenza di redditi da loro dichiarati a fronte della formale intestazione di rilevanti proprietà e/o partecipazioni azionarie che sono tutte attribuibili a Giovanni e Domenico Dell’Aquila, sia in virtù di precedenti intestazioni (ossia di cessioni di quote precedentemente intestate ai Dell’Aquila)», sia per il coinvolgimento e conseguente rinvio a giudizio di alcuni di questi prestanome per l’indagine che ha già riguardato i Dell’Aquila e avviata dalla DDA di Napoli sulle ramificazioni del clan Mallardo di Giugliano.

La Direzione Distrettuale di Roma nelle verifiche che hanno portato al sequestro di ieri mattina aveva richiesto l’applicazione della stessa misura dei sigilli alle quote di partecipazione di altre persone, ossia Domenico Cecere, Rosa Di Nardo, Antonio Iannone, Valentina Ruoppolo, Federico Sepe e Gioacchino Mancinelli. ma la proposta è stata respinta dal Tribunale in quanto tutti risultano essere stati ex soci di società ricondicibili ai Dell’Aquila; una partecipazione, per di più, limitata nel tempo che non può, da sola, essere sufficiente a considerarli attuali prestanome. Tra gli immobili intestati invece direttamente ai due principali «imprenditori» individuati nel blitz di ieri ci sono due immobili in via Solaro a Formia, intestati, appunto, a Domenico Dell’Aquila e le partecipazioni in C.R. Diffusioni s.r.l., Generali Immobiliari s.r.l. e Domiro s.r.l.; ancora a Formia risultano di proprietà di Giovanni Dell’Aquila beni in via dell’Acquedotto Romano, a Fondi in località San Vincenzo, ancora a Fondi in via Querce e via Giuseppe Amante, mentre Raffaele Dell’Aquila, uno dei figli di Domenico, risulta direttamente titolare di immobili a Fondi. La ricostruzione catastale fatta dalla Polizia Tributaria della Guardia di Finanza ha richiesto molti mesi con l’incrocio dei dati raccolti già nel corso delle precedenti inchieste che hanno riguardato sempre la presenza dei Dell’Aquila sul territorio. Un interesse che si è stabilizzato a partire dal 2007, quando lo stesso gruppo voleva mettere le mani su alcune vecchie fabbriche per realizzare lottizzazioni per uso commerciale ed abitativo, come risulta da intercettazioni telefoniche allegate alle prove delle ordinanze di custodia cautelare notificate nel 2010.

TERRA DI NESSUNO. LA PROPRIETÀ DEGLI INVASI DI BORGO MONTELLO E I SEGRETI

TERRA DI NESSUNO. LA PROPRIETÀ DEGLI INVASI DI BORGO MONTELLO E I SEGRETI
Ora che le discariche di Borgo Montello stanno per diventare ancora più grandi dei 50 ettari che già occupano, la storia di questi due siti restituisce altri misteri e soprattutto verità scomode sulla proprietà dei terreni. Un filo rosso che passa da Latina unisce i maggiori gruppi che si occupano di immondizia nel nostro Paese, Unendo della famiglia Colucci, Grossi e Cerroni. In qualche modo tutti guardano o hanno guardato a Montello, loro direttamente o società satellite. Una rete fitta e a tratti misteriosa ricostruita in un’inchiesta di Andrea Palladino pubblicata ieri su Il Fatto on line secondo cui la discarica di Montello si allarga sui terreni del gruppo De Pierro. Di chi si tratta? De Pierro ha comprato in blocco negli anni ‘90 la discarica di Montello dal fallimento Ecomont. Nel giro di qualche mese metà del patrimonio va a finire nelle mani del gruppo Grossi; restano fuori alcune aree che coincidono con gli antichi invasi, gli stessi che hanno tracimato percolato; quella parte dei terreni risulta ancora oggi intestata alla società La Capitolina che fa parte appunto della galassia di De Pierro. Esiste altresì un contratto di affitto siglato da EcoAmbiente la società che gestisce la parte della discarica in cui vanno i rifiuti di Latina, Anzio e Nettuno. De Pierro è uno, come ricostruito da Il Fatto, che ha avuto molti guai con la giustizia, società riconducibili a lui hanno ancora parte dei terreni di Montello mentre il contratto di affitto ad EcoAmbiente scadrà tra poco più di tre anni. In questi anni sulle due discariche di Montello, ossia quella di EcoAmbiente e quella di Indeco, ci sono state molte conferenze di servizi per i rinnovi dell’Aia e anche interventi di controllo. Come è possibile che nessuno si sia mai chiesto a chi appartengono i terreni, affittati per una delle discariche più importanti del centro Italia? In realtà dalle carte emerge anche di peggio. La Regione Lazio nelle sue ultime autorizzazioni attribuisce la proprietà dei terreni ad EcoAmbiente che invece è solo il conduttore per pacifica ammissione della stessa società che, infatti, continua a pagare l’affitto. Questo contratto e il fatto che ci siano ancora indagini sulle proprietà di De Pierro è una sorta di brutta lacuna in quella che dovrà essere la posta gestione (trentennale) della discarica una volta che questa sarà esaurita.

Allarme Corte dei Conti:
"Pressione fiscale al 53%"
Catricalà: "Recuperare
l'evasione del canone Rai"

Audizione alla Camera del presidente della Corte dei Conti. "L’economia sommersa ha dimensioni rilevanti, fino al 18% del Pil. Peggio di noi solo la Grecia". Fico, presidente della Vigilanza Rai: "Non vogliamo svendere l'azienda. Piuttosto io dico di tagliare gli F35"
Una ragioniera lavora ad un modello 730 nell'ufficio di un commercialista (Ansa)
Una ragioniera lavora ad un modello 730 nell'ufficio di un commercialista (Ansa)

Roma, 19 giugno 2013 - “Non si può pensare di offuscare con dichiarazioni il lavoro svolto insieme” mettendo “a repentaglio quello che fanno i colleghi”. Lo ha detto l’esponente del M5S e presidente della commissione di Vigilanza Rai Roberto Fico che sottolinea: “Non  un fatto di diritto di critica o di opinione, ma non vedo perche’ bisogna uscire fuori e parlare contro quello che si è fatto insieme. Questo non ha nulla a che vedere con il pluralismo ma con un concetto che ha a che fare con valori piu’ alti come la lealta’”. “Davvero non conosco movimento - ha aggiunto - dove democraticamente si discute come il nostro”.
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Poi Fico ha sottolineato il suo pensiero sulla Rai: “In questo momento vendere la Rai significa svenderla e la Rai non si svende. Non si può vendere neanche un canale senza una legge seria sul conflitto di interessi e sull’antitrust”. ‘’Ho letto di stime secondo cui la vendita della Rai garantirebbe due miliardi allo Stato, ma non e’ neanche la meta’ dei soldi che abbiamo programmato di spendere per gli F35: un’assurdita’. Andrei piuttosto a tagliare gli F35 e a finanziare la Rai’’.
Fico ha annunciato che la commissione di Vigilanza Rai terrà le sue prime due audizioni congiunte martedi’ prossimo alle 20.30. Ad essere ascoltati saranno la presidente della Rai Annamaria Tarantola e il direttore generale. “Sarà data massima trasparenza alla commissione, massima visibilità alla audizione” che verrà trasmessa dal canale satellitare della Rai, sul circuito chiuso e sulla web tv. L’audizione proseguira’ fino alle 23 e se necessario verra’ aggiornata. “Ho chiesto all’ufficio di presidenza di procedere alla composizione della sottocommissione permanente di accesso”. E’ uno spazio che deve essere “assolutamente utilizzato. Ci sono gia’ molte richieste”. La formazione di questa commissione “non puo’ essere trascinata nel tempo ma va compiuta entro fine giugno”, ha aggiunto.
CORTE DEI CONTI, ALLARME EVASIONE FISCALE - La pressione fiscale effettiva "si è impennata fino al 53%",  dieci punti oltre quella "apparente". Il dato è stato fornito dal presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampolino, in audizione presso le commissione Finanze e Bilancio della Camera. "L’evasione fiscale continua a essere per il nostro paese un problema molto grave", ha spiegato, sottolineando che il fenomeno è "tra le cause delle difficoltà del sistema produttivo, dell’elevato costo del lavoro, dello squilibrio dei conti pubblici, del malessere sociale esistente". Giampaolino ha aggiunto che ci sono "divisioni su un tema come quello del contrasto all’evasione" e che la strategia di contrasto è caratterizzata da "andamento ondivaghi e contraddittori". Per sua natura, ha inoltre affermato, questo tema "dovrebbe costituire elemento di piena condivisione e concordanza".
"PEGGIO DI NOI SOLO LA GRECIA" - La Corte dei Conti, poi, sottolinea come l’economia sommersa "ha dimensioni rilevanti, fino al 18% del Pil, e colloca il nostro paese al secondo posto nella graduatoria internazionale guidata dalla Grecia". Giampaolino ha aggiunto che per quanto riguarda l’Iva resta elevata la "propensione a non dichiarare" con una sottrazione di imposta nel 2011 pari a 46 miliardi di euro. "Molto grave", ha poi affermato, resta anche l’evasione dell’Irap. Per i due tributi "il vuoto di gettito creato dall’evasione stimato dall’Agenzia delle entrate - ha concluso il presidente della Corte dei conti - ammonterebbe nel solo 2011 a 50 miliardi".
1 CONTROLLO OGNI 20 ANNI - Inoltre, a fronte di un universo di quasi 5 milioni di contribuenti che svolgono attività produttive ‘indipendenti’ e come tali a maggior rischio di evasione , il numero dei controlli approfonditi che l’Agenzia delle Entrate con l’ausilio della Gdf riesce a mettere in campo annualmente difficilmente supera i 200.000 dato che equivale ad una possibilità di controllo ogni 20 anni di attività".
CANONE RAI - Intanto il viceministro per lo sviluppo economico Antonio Catricalà è intervenuto in merito al canone Rai. "E’ all’esito del contratto di servizio. La nostra idea è di recuperare l’evasione - ha detto -. Il contratto di servizio è già scaduto, siamo in ritardo faremo mini consultazioni, sentiremo forse anche le parti sociali". Catricalà ha inoltre puntualizzato di non aver "mai parlato di vendita della Rai o cessione della concessione del servizio pubblico". "La legge attuale prevede che la concessione scada a maggio 2016. Dobbiamo pensare allo scenario immediatamente successivo", ha continuato il viceministro. "E’ necessario immaginare una consultazione pubblica di grande profilo. Non puo’ essere una scelta fatta nelle segrete stanze del ministero o della Rai - ha continuato Catricalà-. Naturalmente restano salve tutte le competenze delle commissioni parlamentari competenti, prima di tutto quella di Vigilanza". Il viceministro ha poi precisato che "sarà comunque una scelta del Parlamento e non del governo su come si attiva di nuovo la concessione e di conseguenza la convenzione. Bisogna preparare il terreno, bisogna aver fatto un’istruttoria completa e che tutti quelli che si possono esprimere, si siamo espressi".

Rapporto Legambiente: non si ferma il sacco delle coste italiane. La top five degli ecomostri

Rapporto Legambiente: non si ferma il sacco delle coste italiane. La top five degli ecomostri

In occasione della partenza della Goletta Verde e della Goletta dei laghi 2013 Legambiente ha presentato a Roma Mare Monstrum il rapporto annuale dedicato al mare in cui si raccolgono le storie di illegalità e di abusi che colpiscono l'ecosistema marino italiano. Il quadro che emerge è ancora una volta desolante. Pesca di frodo, abusivismo edilizio sul demanio, violazioni al codice di navigazione e alle norme sulla nautica da diporto, depuratori difettosi, scarichi fognari e inquinamento da idrocarburi: purtroppo le illegalità che riguardano il mare e le coste italiane lo scorso anno sono ancora cresciute. 
Metà dei reati nelle regioni con presenza mafiosa - Un incremento del 2,8% rispetto al 2011 e addirittura del 14,4% rispetto al primo gennaio del 2010. Sono aumentati i reati (13.518, pari a 1,8 illeciti per chilometro di costa), le persone denunciate (16.092) e i sequestri che superano quota quattromila (4.076). Oltre la metà dei reati si è consumata nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa - nell’ordine: Campania, Sicilia, Puglia e Calabria - seguite dalla Sardegna e dal Lazio.
Tra i nemici del mare anche le spiagge negate - Tra i nemici del mare, c’è anche la brutta tradizione delle spiagge negate, interi tratti di arenile interdetti ai cittadini perché di fatto privatizzati dagli stabilimenti balneari - sono 12mila i lidi sulle coste italiane, uno ogni 350 metri di spiaggia, che pagano canoni demaniali irrisori a fronte di lauti guadagni - e quella delle spiagge occupate, dove chioschi, ristoranti e solarium rimangono in pianta stabile a dispetto della legge che prevede che a fine stagione debbano essere rimossi. Infine la proliferazione dei porti turistici, che spuntano come funghi e spesso nascondono gigantesche speculazioni immobiliari.
Aumento dei reati frutto dell'attività di contrasto - “L’aumento dei reati rilevati - dichiara il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza - è frutto dell’attività di contrasto svolta dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto ma, allo stesso tempo, rappresenta un segnale preoccupante della recrudescenza delle attività illecite in un periodo di crisi economica. Per questo è importante non abbassare la guardia rispetto a tutte le forme di illegalità e di vilipendio del territorio, a cominciare dall’abusivismo edilizio, e a questo proposito sollecitiamo il parlamento a respingere i reiterati tentativi di condono. A parlamento e governo chiediamo un forte impegno nel combattere le costruzioni illegali e la messa a punto di un piano di contrasto che renda gli abbattimenti rapidi ed efficaci”.
Abattutti l'ecomostro di Scala dei Turchi e gli scheletri di Lido Rossello - Nei giorni scorsi, nel comune di Realmonte sulla costa agrigentina sono stati abbattuti l’ecomostro di Scala dei Turchi e i tre scheletri di Lido Rossello, a coronamento di una battaglia ventennale di Legambiente da cui partirono in entrambi i casi le denunce. Ma l’abusivismo edilizio sulle aree demaniali continua ad attestarsi su valori elevati, anche se in flessione rispetto al 2011: 2.864 illeciti, 4.615 persone denunciate e 1.491 sequestri. Anche quest’anno è la Sicilia a guidare la classifica tra le Regioni (con 476 illeciti, 725 persone denunciate e 286 sequestri), seguita dalla Campania, dove si riscontra, però, il maggior numero di sequestri. Sale sul “podio” la Sardegna, che scala due posizioni rispetto al 2011, ed è la regione con il maggior numero di persone denunciate (988). Le altre due regioni a tradizionale presenza mafiosa (Puglia e Calabria) occupano rispettivamente la quarta e la quinta posizione.
Resistono gli ecomostri della top five - Festeggiare un successo non significa, dunque, che la battaglia sull’abusivismo sia vinta. Resistono gli ecomostri della Top five di Mare Monstrum, quelli che Legambiente chiede di demolire con corsia preferenziale perché sono tra i peggiori esempi dello scempio edilizio vista mare. Come resistono anche le mega lottizzazioni abusive che violentano le coste del Salento, della Sicilia e dell’Abruzzo, le migliaia di ville che continuano a sorgere a Ischia, sul litorale Domizio Flegreo, sulla costa cilentana e su quella amalfitana in Campania, i lidi di cemento che colonizzano le coste del Lazio. Senza dimenticare i villaggi turistici della ‘ndrangheta che si sono impadroniti del mare calabrese.
La top five di Mare monstrum 2013 - I cinque ecomostri al top di Mare Monstrum sono casi di cemento illegale su cui pesa, ignorato da decenni, l’ordine di abbattimento. Casi che Legambiente denuncia da sempre e di cui chiede alle istituzioni, Comuni in testa, l’abbattimento per via preferenziale. In virtù della loro storia e del loro impatto sul territorio rappresentano bene ciò che deve essere finalmente cancellato dalle coste italiane. Sono gli scheletri di Pizzo Sella a Palermo, delle 35 ville nell’area archeologica di capo Colonna a Crotone, dell’albergo sulla scogliera di Alimuri a Vico Equense, del villaggio di Torre Mileto a Lesina in provincia di Foggia. A cui si aggiungono gli otto scheletri che ancora campeggiano sulla collina a Quarto Caldo nel Parco nazionale del Circeo.
Non abbassare la guardia contro rischio inquinamento delle acque - Gli ultimi dati pubblicati sulle acque di balneazione in Italia e in Europa, che testimoniano la buona salute del mare italiano, non devono far abbassare la guardia sul rischio di inquinamento ancora presente, a partire dagli scarichi non depurati che continuano a confluire in mare. A tutt’oggi in Italia il 25% delle acque di fogna viene scaricato in mare, nei laghi e nei fiumi senza essere opportunamente depurato e tante sono le situazioni critiche di depuratori malfunzionanti o scarichi abusivi. Per questo motivo con le Golette viaggia un team di biologi che conducono il monitoraggio scientifico a caccia dei punti più critici riguardo la mancata depurazione; raccolgono le segnalazioni dei cittadini denunciando le situazioni che mettono maggiormente a rischio le nostre acque.

Da lunedì conti correnti senza più segreti per il Fisco

Da lunedì conti correnti senza più segreti per il Fisco

Movimenti e saldi dei conti correnti in banca senza più segreti per l'Agenzia delle Entrate dal prossimo lunedì. La novità già programmata nell'ambito delle iniziative per rafforzare la lotta all'evasione viene ricordata dal direttore dell'Agenzia delle Entrate Attilio Befera: da lunedì - ha spiegato - 'Sid' (sistema interscambio dati) permetterà all'Agenzia delle entrate di acquisire automaticamente le informazioni sui conti correnti degli italiani dagli operatori bancari.
 E oltretutto il nuovo sistema è a 'prova di privacy': "il garante ha detto che per poter acquisire i dati dei conti dei cittadini italiani, quei dati che riguardano la movimentazione e i saldi di inizio e fine anno, occorreva creare un sistema di interscambio autonomo rispetto a quelli attuali. Un sistema che fosse completamente separato da tutti gli altri modelli di interscambio, che fosse cioé un'infrastruttura del tipo 'application to application' senza intervento di personale umano. Questo sistema da lunedì è pronto e quindi noi siamo in grado di acquisire le informazioni che ci perverranno dagli operatori finanziari".
 Più in generale sul rapporto con i contribuenti, Befera sottolinea che il compito dell'Agenzia è complicato dall'eccessiva produzione di norme: "negli ultimi cinque anni sono stati emanati 228 provvedimenti fiscali se questo lo moltiplichiamo per i 40 anni di esistenza della riforma tributaria si ha l'idea della confusione normativa". Ma cosa cambia? In pratica ogni singolo operatore finanziario dovrà avviare la procedura di registrazione al Sid secondo le modalità descritte sul sito internet dell'Agenzia delle Entrate. Il canale Sid prevede l'interconnessione application-to-application tra sistemi informativi e apposite misure di sicurezza di natura tecnica e organizzativa. E' previsto che i dati e le informazioni relativi all'anno 2011 vengano inviati entro il 31 ottobre 2013.
 Quelli relativi all'anno 2012 andranno, invece, inviati entro il 31 marzo 2014. A regime, gli operatori finanziari dovranno effettuare la comunicazione annualmente e trasmetterla entro il 20 aprile dell'anno successivo a quello al quale sono riferite le informazioni. Un successivo provvedimento del direttore dell'Agenzia individuerà i criteri per l'elaborazione di specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione. I dati da trasmettere con la comunicazione integrativa annuale sono quelli identificativi del rapporto finanziario, quelli relativi ai saldi iniziali e finali del rapporto riferiti all'anno interessato dalla comunicazione e i dati degli importi totali delle movimentazioni distinte tra dare e avere per ogni tipologia di rapporto, conteggiati su base annua.

Da lunedì conti correnti senza più segreti per il Fisco

Movimenti e saldi dei conti correnti in banca senza più segreti per l'Agenzia delle Entrate dal prossimo lunedì. La novità già programmata nell'ambito delle iniziative per rafforzare la lotta all'evasione viene ricordata dal direttore dell'Agenzia delle Entrate Attilio Befera: da lunedì - ha spiegato - 'Sid' (sistema interscambio dati) permetterà all'Agenzia delle entrate di acquisire automaticamente le informazioni sui conti correnti degli italiani dagli operatori bancari.
 E oltretutto il nuovo sistema è a 'prova di privacy': "il garante ha detto che per poter acquisire i dati dei conti dei cittadini italiani, quei dati che riguardano la movimentazione e i saldi di inizio e fine anno, occorreva creare un sistema di interscambio autonomo rispetto a quelli attuali. Un sistema che fosse completamente separato da tutti gli altri modelli di interscambio, che fosse cioé un'infrastruttura del tipo 'application to application' senza intervento di personale umano. Questo sistema da lunedì è pronto e quindi noi siamo in grado di acquisire le informazioni che ci perverranno dagli operatori finanziari".
 Più in generale sul rapporto con i contribuenti, Befera sottolinea che il compito dell'Agenzia è complicato dall'eccessiva produzione di norme: "negli ultimi cinque anni sono stati emanati 228 provvedimenti fiscali se questo lo moltiplichiamo per i 40 anni di esistenza della riforma tributaria si ha l'idea della confusione normativa". Ma cosa cambia? In pratica ogni singolo operatore finanziario dovrà avviare la procedura di registrazione al Sid secondo le modalità descritte sul sito internet dell'Agenzia delle Entrate. Il canale Sid prevede l'interconnessione application-to-application tra sistemi informativi e apposite misure di sicurezza di natura tecnica e organizzativa. E' previsto che i dati e le informazioni relativi all'anno 2011 vengano inviati entro il 31 ottobre 2013.
 Quelli relativi all'anno 2012 andranno, invece, inviati entro il 31 marzo 2014. A regime, gli operatori finanziari dovranno effettuare la comunicazione annualmente e trasmetterla entro il 20 aprile dell'anno successivo a quello al quale sono riferite le informazioni. Un successivo provvedimento del direttore dell'Agenzia individuerà i criteri per l'elaborazione di specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione. I dati da trasmettere con la comunicazione integrativa annuale sono quelli identificativi del rapporto finanziario, quelli relativi ai saldi iniziali e finali del rapporto riferiti all'anno interessato dalla comunicazione e i dati degli importi totali delle movimentazioni distinte tra dare e avere per ogni tipologia di rapporto, conteggiati su base annua.

L’USCITA DAL CAPITALISMO

L’USCITA DAL CAPITALISMO
di Bruno Amoroso*
intervista a Bruno Amoroso a cura della rivista AltreStorie
Fonte: rivista AltreStorie
D. L’attuale crisi è qualcosa che si poteva prevedere, oppure si è trattato di un evento i cui fattori molteplici globali lo hanno reso in qualche modo imprevedibile e conseguentemente incontrastabile? Quanto è fondata l’accusa rivolta agli economisti in genere di non aver lanciato l’allarme tempestivamente su quanto si stava preparando?
R. «La crisi finanziaria, la più grande ondata di crimine finanziario organizzato della storia umana, secondo le parole di James K. Galbraith, è stata preparata nel corso di tre decenni durante i quali la globalizzazione ha avuto il tempo di organizzarsi dispiegando tutti i suoi effetti con l’imposizione del “pensiero unico” fino al “potere unico” dell’ultimo decennio. Tra gli economisti, e non solo, è prevalsa la corsa a farsi “consiglieri del principe” sostituendo e riscrivendo i libri di testo sotto dettatura del pensiero neoliberista. Tuttavia, le analisi critiche per comprendere quanto è accaduto non sono mancate: dai contributi premonitori di James K. Galbraith, “Lo Stato Predatore”, a quelli di Paul Krugman e Joseph E. Stiglitz. In Italia le persone e i movimenti che potevano denunciare e interpretare queste tendenze hanno scelto la via opportunistica dell’”inserimento” e dell’”integrazione”, trasformando il piano di apartheid globale della globalizzazione in un’opportunità per arricchirsi nel “villaggio globale”, e interpretando i fenomeni reali della “destabilizzazione politica” e “marginalizzazione economica” come “globalizzazione dal basso” e “globalizzazione del welfare”. Si è cioè pensato di poter predicare il pacifismo portando la guerra altrove, di combattere la speculazione e il crimine “tassandoli” per ricavarne parte del dividendo, di poter costruire la “città ideale” dentro le nicchie di un contesto in sfacelo».
D. Si sente spesso sostenere che quella che stiamo vivendo rappresenti non una delle tante crisi cicliche vissute in passato, ma una crisi “sistemica o strutturale”, che può essere superata solo adottando soluzioni estranee al contesto al cui interno è maturata. È d’accordo con questa interpretazione e se sì quali azioni si sentirebbe di proporre?
R. «La crisi attuale è una crisi economica e sociale provocata dal successo della nuova struttura del processo di accumulazione capitalistico, che si è dato a partire dagli anni Settanta con la globalizzazione. Il cuore del processo è la finanza, cioè la trasfigurazione da un sistema basato sul profitto capitalistico a quello basato sull’esproprio dei redditi e la rapina delle ricchezze materiali e intellettuali. La crisi in corso non ha nulla di ciclico, diversamente dalle crisi economiche del capitalismo industriale, e troverà il suo punto di approdo in un potere assoluto coincidente con l’impoverimento di gran parte dei cittadini. Per questo l’uscita dagli effetti della crisi può avvenire solo con l’uscita dal capitalismo che oggi è quello della speculazione finanziaria e della rapina di Stato».
D. Quale ruolo hanno giocato i mercati finanziari nella costruzione dell’attuale situazione economica? In che misura sono stati causa della crisi e potrebbero contribuire a sanarla?
R. «I mercati finanziari sono le “fabbriche” che hanno sostituito quelle del fordismo industriale, la culla della rapina e dell’esproprio. Questo percorso di “finanziarizzazione” delle economie capitalistiche inizia negli anni Ottanta con la modifica della legge bancaria negli Stati uniti, ai tempi di Reagan, poi negli anni Novanta con l’introduzione di nuove regole per la finanza che hanno consentito la produzione dei derivati e titoli tossici, con Clinton, il tutto con il consolidarsi di un potere unico finanziario-militare illustrato ampiamente da James K. Galbraith. L’Europa ha seguito per imitazione le stesse politiche con le “direttive europee”, passivamente recepite anche in Italia, che hanno introdotto la banca “universale” e la liberalizzazione dei mercati finanziari. In Italia questo percorso è stato segnato dalla biografia di Mario Draghi, che bene illustra i conflitti d’interessi e le collusioni tra mondo politico e poteri finanziari. Negli anni Ottanta è direttore per l’Italia della Banca Mondiale, negli anni Novanta diventa direttore generale al Tesoro e privatizza il sistema bancario, introduce il Testo Unico del 1993 sulle banche che recepisce tutte le direttive europee, comprese quelle ben note sui derivati speculativi. Poi lascia la mano per andare a dirigere la Goldman Sachs e contribuire così a mettere a punto la “grande truffa” che esplode nel 2008, di cui non era a conoscenza come responsabile della sorveglianza in quanto governatore della Banca d’Italia. Nel mentre la “sinistra” è distratta dalla difesa dell’”autonomia” della Banca d’Italia, dalla denuncia sul conflitto d’interessi di Berlusconi contro il quale, in ogni caso, non fa nulla».
D. Che ruolo potrebbe rivestire l’Unione Europea in questo particolare passaggio storico-economico? L’euro può offrire uno scudo contro la crisi?
R. «L’euro doveva essere lo scudo, ma la sua gestione è stata affidata a chi ha messo in moto la crisi, inutile ripetere i nomi delle persone e organizzazioni, ed è quindi divenuto la camicia di forza che impedisce agli Stati e alla stessa UE di reagire e di difendersi. Il ruolo dell’Europa è possibile se negli Stati nazionali si manifestano forze popolari che si facciano carico di riprendere il percorso di “pace” e “cooperazione” che fu alla base dell’idea di Europa nel primo dopoguerra, e poi fatto deragliare prima dalla “guerra fredda” e successivamente, negli anni Novanta, dalla scelta di fare del progetto europeo un piano di “competitività” e di “guerra”. Una ricostruzione dell’Europa a partire dai popoli e dagli Stati deve assumere una forma confederale tra le quattro grandi meso-regioni europee (Paesi nordici, Europea centrale, Europa mediterranea, e Europa occidentale). Uscire dal guscio asfissiante del dominio dell’Europa occidentale e dell’alleanza atlantica è la premessa per queste nuove politiche».
D. Una delle affermazioni ricorrenti è che bisogna tagliare la spesa pubblica per creare le condizioni di base utili a contrastare e superare la crisi. Quanto è condivisibile una simile posizione? L’attuale crisi economica costringerà a sacrificare l’attuale modello di Stato sociale?
R. «La spesa pubblica non c’entra con la crisi e invece di guardare al deficit dello Stato e al debito estero si dovrebbe guardare all’occupazione e al deficit della bilancia dei pagamenti come ho spiegato nel mio libro “L’Europa oltre l’euro”. La spesa pubblica aumenta in situazioni di crisi in ragione degli stabilizzatori automatici che hanno il compito di evitare forti conseguenze sociali, ed è per questo che Keynes raccomandava al governo: “Occupatevi dell’occupazione e questa si prenderà cura del bilancio dello Stato”. Chi vuole gli stabilizzatori sociali, cioè il welfare, non intende risolvere la crisi ma scaricarne i costi in modo irresponsabile sui cittadini più deboli e i lavoratori, cioè sul 99% delle persone».
D. Cosa ha comportato e cosa comporterà per l’Europa lo spostamento del baricentro mondiale fuori dall’Occidente industrializzato?
R. «Significa che l’Europa deve ripensarsi e ritrovare il suo spirito di pace e di cooperazione con le nuove aree mondiali emergenti, lasciandosi alle spalle i vecchi mercati ricchi dell’Occidente. Insistere sul modello della guerra e della competitività significa condannarsi al suicidio e alla marginalità sia verso l’Occidente che verso l’Oriente. La cooperazione con le nuove aree in crescita non si ottiene con la competitività ma con rapporti diretti e di cooperazione tra Stati, cioè sullo scambio reale di capacità e di beni e con la messa in comune delle risorse disponibili».
D. Nel dibattito pubblico spesso si attribuisce la colpa dell’attuale stato di cose, almeno in Italia, a una classe dirigente incolta, poco lungimirante e fautrice di ripetute scelte sbagliate. Condivide questa posizione e se sì come ritiene si possano conciliare fra loro due ambiti apparentemente così distanti quali istanza politica e azione tecnico-scientifica?
R. «La classe dirigente politica e imprenditoriale che abbiamo è quella che è sopravvissuta alla guerra condotta contro il sistema italiano dagli anni Cinquanta in poi dagli Stati Uniti, Francia e Germania, e che continua oggi. Questa guerra è stata vinta finora prima con l’eliminazione fisica dei personaggi scomodi (Mattei, Olivetti ecc.), poi con la distruzione del sistema politico italiano negli anni Novanta e ancora oggi. La corruzione, esistente è la causa di questi sviluppi e di come, attraverso i fiumi di denaro riversati sui politici e sulle istituzioni, se ne è ottenuto il silenzio e la collusione alla realizzazione dei piani di costruzione del consenso su un progetto italiano ed europeo squilibrato. La reazione popolare degli ultimi anni, e espressa dalle ultime elezioni, dimostra che il limite della sopportazione è stato raggiunto, ma anche il fallimento di questi piani di destabilizzazione politica e di marginalizzazione economica del Paese».
D. Fra gli effetti della lunga crisi che stiamo vivendo vi è anche l’aumento considerevole di giovani senza lavoro, costretti a vivere in condizioni di precarietà e a fare i conti con un futuro dai contorni molto incerti. In che modo tutto ciò potrà influire sulla nostra futura società?
R. «A chi avanzava riserve critiche sulle forme dell’integrazione europea si rispondeva che queste volevano far “sprofondare” l’Italia nel Mediterraneo. Ebbene, è proprio l’adesione acritica alle strategie della globalizzazione e dell’UE che sta facendo sprofondare l’Italia nel “sottosviluppo”. Ma l’Italia è un Paese forte e le reazioni sociali e politiche che si annunciano lo dimostrano. Il successo di questa tendenza è anche la sola speranza offerta ai nostri giovani».
D. Dal suo punto di vista quando ritiene si possa immaginare un’inversione di tendenza dell’attuale dinamica recessiva? E quando ciò dovesse accadere, passato il peggio, che insegnamenti potremmo e dovremmo trarne da quanto accaduto?
R. «Questa crisi si fermerà quando i 4/5 della popolazione saranno ridotti in condizioni di povertà e marginalizzazione. Un percorso avviato ma che richiede tempo. La “ripresa” sarà una stabilizzazione e istituzionalizzazione della povertà e della dipendenza politica del Paese dai centri finanziari. Che questo possa avvenire in forma “pacifica” è da dimostrare. La vera ripresa ci può essere solo se il 99% degli esclusi riprende il controllo sulla macchina del potere politico ed economico. Le forme in cui questo avverrà, se avverrà, non saranno indolori per le vecchie classi dirigenti e per questo si oppongono con tutti gli strumenti a disposizione. La forza obiettiva di questo cambiamento dipende dal fatto che l’alternativa a una vera ripresa è lo scenario dell’implosione dell’Europa sul modello jugoslavo, a noi ben noto. La preferenza per una soluzione, anche europea, negoziata e con un cambio di indirizzo dovrebbe apparire ovvia e di buon senso, oltre che più giusta. Ma raramente l’equità e la giustizia prevalgono sugli interessi costituiti».

* Bruno Amoroso, presidente del Centro Studi Federico Caffè e collaboratore di Comune-info, è stato uno degli allievi del noto economista Federico Caffè (nel libro «La stanza rossa», per Città aperta, traccia il significato dell’avventura intellettuale e umana dell’amico e maestro). Docente presso l’Università di Roskilde (Danimarca) e quella di Hanoi (Vietnam), Amoroso è tra i promotori dell’Università del Bene Comune ed è autore di numerosi articoli e libri (tra cui «Europa e Mediterraneo. Le sfide del futuro» per Dedalo edizioni; l’ultima pubblicazione è «L’Europa oltre l’Euro», edita da Castelvecchi). Altri articoli di Amoroso sono QUI.