venerdì 19 ottobre 2012

"Se questi sono gli uomini": l'Italia che fa strage di donne


"Se questi sono gli uomini": l'Italia che fa strage di donne

di Cristiano Sanna
Centotrentasette l'anno. Una ogni due giorni. Con un'autentica impennata del numero totale dal 2007 ad oggi, a guardare il rapporto Istat. L'Italia del femminicidio è quella ricostruita, regione per regione, viaggio dopo viaggio, da Riccardo Iacona nel suo libro-inchiesta Se questi sono gli uomini (edito da Chiarelettere). L'approccio di Iacona è lo stesso del suo fortunato e apprezzato programma Presadiretta: muoversi per l'Italia fino a dove sono accaduti i fatti, andare a verificarli e ad approfondirli di persona, sentendo tutte le persone coinvolte. Scrivevamo: 137 donne uccise da mariti, compagni e conviventi nel 2011, quest'anno siamo già a quota 100. Iacona ricostruisce le vicende di Rosa Trovato, Vanessa Scialfa, Enza Anicito e le altre. Parte da quelle storie per scavare nell'humus avvelenato che fertilizza il ripetersi delle violenze, spesso mortali, degli uomini contro le donne. Tra luoghi comuni, sguardi di finta pietà, indifferenza e una prima corrente di indignazione che finalmente percorre il Paese. Ne abbiamo parlato con l'autore (al libro ha collaborato Sabrina Carreras).
Riccardo, la sua inchiesta parte da Enna e termina a Milano. A proposito di luoghi comuni: è vero che in Italia si ammazzano donne per gelosia e possessività più spesso al Sud?
"E' del tutto falso. Si amazza più spesso al Centro-Nord, questo è anche un puro dato statistico poiché in quelle parti d'Italia risiede la maggior parte della popolazione. Ma bisogna tener conto che sia il numero di omicidi che quello delle denunce per stalking conferma la maggiore incidenza di delitti contro donne nelle regioni centro-settentrionali del Paese. L'altra faccia della medaglia è il fatto che si uccidono le donne laddove queste riescono ad emanciparsi, ad affermarsi anche nel lavoro. I delitti arrivano subito dopo il momento dell'affermazione, malsopportato. Oppure dopo un gesto di ribellione rispetto alla mentalità maschilista, come proclamare l'intenzione di separarsi dopo anni di maltrattamenti, o a seguito di una denuncia presentata alle forze dell'ordine".
Altro luogo comune vuole i Paesi del Sud del mondo, tra cui il nostro, particolarmente avvezzi alla violenza contro le donne.
"Diamo una mazzata anche a questo stereotipo. In Spagna l'anno scorso sono state uccise 63 donne, da noi più del doppio, dunque lo stereotipo del machismo latino va messo decisamente da parte. Il fatto è che il processo di emancipazione della donna è difficile ovunque nel mondo, poi certamente esistono società più o meno chiuse. E' proprio una guerra tra l'aspirazione delle donne ad avere una sempre più ampia libertà di scelta e la resistenza degli uomini. I dati a disposizione ci dicono che oltre un terzo della popolazione femminile italiana, quasi sette milioni di persone, ha subito violenza".
Sui vari media si continuano ad usare titoli come "dramma della gelosia" e "omicidio passionale". Non sarebbe ora di smetterla?
"Direi proprio di sì. Ma devo dire aggiungere che, man mano che si delinea questa emergenza nazionale, anche giornali e tv cominciano a porsi il problema. Qui l'amore non c'entra niente, il pregresso rispetto agli omicidi racconta la negazione dell'amore e l'uomo che, dopo averla angariata in mille modi, uccide la donna che gli si è ribellata".
Proviamo ad andare oltre la tipica frase: "L'ha sposato e adesso se lo tiene". Cosa possono fare le famiglie che vengono a conoscenza dei fatti di violenza domestica?
"Devono portare quei fatti a conoscenza dei centri d'ascolto, dell'assistenza sociale e delle forze dell'ordine. Riguardo alle storie che racconto nel libro, è emblematica quella di Enza Anicito, assassinata in Sicilia a 43 anni. Quando decise di lasciare l'uomo con cui non stava più bene, dopo mesi di sms pietosi di lui che era arrivato a minacciare di uccidersi per la disperazione, ecco il ripetersi del solito copione. L'ultimo incontro per rendersi anelli e fotografie, finito con l'omicidio di fronte agli occhi della figlia della Anicito. Delitti che parlano a noi uomini: perché hanno poco o niente a che vedere con il raptus e sono premieditati. Da noi intervistata, la figlia della povera Enza si struggeva perché nessuno della famiglia, che sapeva da tempo, era intervenuto per evitare il peggio".
L'introduzione del reato di stalking nel nostro Paese è stata un bel passo avanti, ma alle denunce segue raramente la punizione del persecutore. Perché?
"Per via delle solite lungaggini della giustizia italiana, anche se va detto che sempre più Procure hanno uffici specializzati nel trattamento di questi casi. Da lì al processo, però, ce ne vuole. Se si pensa che in Italia, tranne che nel caso di omicidio, si va in prescrizione dopo sette anni e mezzo, ecco trovato il cortocircuito. Lo Stato non riesce a proteggere le donne minacciate e manda a processo gli uomini che hanno già compiuto l'assassinio".
C'è chi sostiene che disoccupazione e crisi economica fanno da miccia per la violenza. E' una scusante?
"Lo spread e la perdita del lavoro non hanno niente a che vedere con il femminicidio. In quel caso la mente di una persona dovrebbe essere completamente assorbita dalle disgrazie che sta subendo, invece esistono casi di violenza omicida sulle donne documentati anche all'indomani del sisma che ha devastato l'Emilia, proprio tra le case diroccate e la gente costretta a dormire in macchina".
Molto interessante la parte del libro dedicata alle case rifugio per le donne vittime di maltrattamenti. A che punto stiamo in Italia?
"A metà strada, con un numero di strutture superiori a certi Paesi del Nord Europa, giusto per fare un raffronto . Ma mancano risorse certe e continue per attrezzare questi luoghi di rifugio e far lavorare a pieno ritmo i centri anti violenza che possono evitare il peggio. Quando hai vissuto per dieci o vent'anni come in una prigione, non sei più nessuno. Perdi la voglia anche solo di uscire a fare la spesa, figuriamoci trovare quella di denunciare il tuo persecutore".
Un caso come quello di Luca Lorenzini, che compilava le liste delle sue "prede", godendo nel perseguitarle fino ad arrivare all'omicidio, potrebbe moltiplicarsi nell'era delle amicizie romantiche che nascono sui social network?
"Ma no, chi sostiene questa tesi cade in una inutile demonizzazione di quel mezzo. Bisognerebbe piuttosto lavorare a fondo sull'educazione sessuale e rendere il confronto emotivo materia di studio a scuola. I giovani devono essere aiutati a capire quando un rapporto sentimentale sta sconfinando nel patologico. La ragazza uccisa da Lorenzini per cinque anni è stata sua schiava, senza che nessuno intervenisse né che lei, diventata anoressica, con una carriera scolastica compromessa, trovasse la forza di dire tutto ad amici e genitori. L'unico suo confidente era il diario, trovato quando aveva già perso la vita".

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