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WASHINGTON – Oggi Matteo Renzi incontra Barack Obama alla Casa Bianca. Un incontro chiave su molte tematiche, dall'economia alla sicurezza alla liberalizzazione dei commerci. Un incontro che arriva al momento giusto: bene ha fatto il Presidente del Consiglio a non precipitarsi a Washington prima di aver organizzato alcune riforme chiave per il nostro paese. Soprattutto un incontro, il secondo bilaterale, il primo di Renzi alla Casa Bianca, per spazzare via le indiscrezioni su certe differenze ad esempio sulla questione delle sanzioni alla Russia, tema su cui gli americani, come abbiamo scritto nei giorni scorsi su queste pagine, si aspettano dichiarazioni forti e chiarificatrici. Ci sarà anche un’affermazione dell'importanza del “fianco Mediterraneo” dell'alleanza Nato con un ruolo incisivo che Renzi dovrebbe rivendicare per l'Italia nel tentativo di stabilizzare la crisi libica. Una crisi che per noi prevale su ogni altra cosa, per la vicinanza, per le implicazioni politiche, economiche e di sicurezza.
Si attendono dunque più luci che ombre in questo incontro di oggi. Renzi del resto è molto legato a Barack Obama e ai personaggi chiave che ruotano attorno al partito democratico come John Podesta, che oggi guida la campagna di Hillary Clinton; è stato l'unico politico italiano della sinistra ad aver partecipato alla Convention democratica del 2012, e dunque le premesse per novità su come andare avanti su alcuni dossier chiave come appunto quello libico o sulla ripresa dell'economia ci sono tutte.
 
 
Un contesto della vigilia “ottimistico” questo, che è stato rafforzato dal passaggio di Renzi alla Georgetown University per il suo primo “Town Hall Meeting” con studenti universitari americani. Appena atterrato nel primo pomeriggio di ieri alla Andrews Air Force Base, Renzi si è infatti subito recato all'antica Università, una delle più prestigiose d'America, fondata dai gesuiti, dove si è laureato fra gli altri Bill Clinton e dove Barack Obama ha già parlato tre volte da quando è Presidente. Diciamo subito che il “format” a cui abbiamo assistito è forse quello in cui Renzi si trova più a suo agio, ha pronunciato poche parole di ringraziamento, ha dato la misura degli sforzi del suo governo per rimettere in carreggiata il nostro Paese e ha subito aperto il dialogo con gli studenti, assiepati da qualche ora davanti al microfono, in una lunga fila indiana in attesa del loro momento.
Domande di ogni genere, alcune simpatiche, leggere, altre di forte sostanza politica (Georgetown ha forse la più importante scuola americana di affari internazionali e di diplomazia), un incontro comunque allegro, denso di energia, con Renzi che ha risposto a tutti, in inglese. E qui si deve aprire una piccola parentesi sull'inglese parlato di Renzi: funziona. Lo diciamo nonostante ci siano in continuazione grilli parlanti che lo implorano di smettere. Se Renzi fa qualche errore, il suo messaggio passa comunque in modo molto diretto e gli studenti hanno mostrato di apprezzare con applausi a scena aperta quando il Presidente del Consiglio, sornione rispondeva con prontezza e con battute. Certo per l'immagine del nostro paese è molto meglio un dialogo diretto improvvisato con qualche errore del tutto passabile che i discorsi in italiano, ingessati e tradotti ogni quattro frasi in un atmosfera di assoluto e noioso formalismo. Se ci dovrà essere un risultato da questa tappa di Renzi a Georgetown, a parte quello di aver dato ai giovani americani un’immagine per una volta fresca, dinamica e giovane dell'Italia, auguriamoci che sia quello di chiudere una volta per tutte questo teatrino sul suo inglese.
Ma quel che più ci importa di questo viaggio sarà l'incontro politico alla Casa Bianca con Barack Obama. I due si sono visti già in cinque vertici, a Roma, al G7 di Bruxelles, al vertice nucleare dell'Aia a quello della Nato in Galles e al G20 di Brisbane, si sono incrociati alle Nazioni Unite e hanno avuto decine di telefonate. Questo per dire che si conoscono bene e chi immaginava che l'atteggiamento più freddo e cerebrale di Obama male si sarebbe sposato con quello più caldo e istintivo di Renzi ha sbagliato i conti. Persino prima di diventare Presidente del Consiglio, Renzi appoggiava fino in fondo la linea americana in materia di rilancio dell'economia.
Durante la presidenza europea ha fatto il possibile per convincere la Germania ad allentare il suo veto irrinunciabile a una politica monetaria ultraccomodante, “Quantitative Easing Style” per la BCE di Mario Draghi. E anche se lo stesso Draghi era deciso a muoversi in quella direzione il fatto che lo sblocco ci sia stato sotto la “guardia” europea di Renzi ha portato punti e credibilità al nostro governo. Aggiungiamo i passi in avanti nel processo di riforme strutturali, il superamento, in chiave dinamica, delle sfide del passato - recessione e disoccupazione - le opportunità che abbiamo avuto in termini di recupero di competitività dell'euro e di caduta dei prezzi del greggio; la determinazione con cui si è andati avanti e la “sicurezza” che molti operatori internazionali hanno recepito, che li ha aiutati a investire nel nostro paese, sicurezza che oggi deve essere trasmessa alle famiglie.
Questo auspicio e questa classificazione appartengono al ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, che li ha illustrati mercoledì sera a New York, ma hanno riassunto con chiarezza quel che farà oggi, forse in termini diversi, il Presidente del Consiglio con Obama, per spiegare le attività di riforma dei vari dicasteri del suo governo. Sul piano economico non dovrebbero dunque essere sorprese di sorta o annunci particolari, ma non c’è dubbio che Renzi offrirà al Presidente americano questa interpretazione “coordinata” dei fatti per poter cambiare “timbro” una volta per sempre sul progresso auspicato dall'America per il nostro Paese.