domenica 12 agosto 2012

La mia vita senza lavoro, storie di disoccupazione


La mia vita senza lavoro
storie e voci di disoccupazione

In quattro storie entriamo nel quotidiano di chi si ritrova senza busta paga. Come cambia tutto nelle parole di un libraio, di un laureato, di un'operaia e di un manager

di MARIA CRISTINA CARRATU' Disoccupazione, nefasto effetto della crisi. Ma non è soltanto questione di numeri. Cosa vuol dire, da un punto di vista umano, psicologico, ritrovarsi senza lavoro? Lo abbiamo chiesto a quattro diverse categorie di ex occupati: un libraio, un’operaia, un laureato, un manager.

Il laureato

Nella casella «lavora presso» del suo profilo Facebook è scritto chiaro: «Momentaneamente disoccupato». «Non ho problemi a dirlo, anzi, spero che qualcuno lo veda e mi offra qualcosa» dice Federico Stefanelli, 38 anni, laureato in economica politica nel 2001, da allora una collezione di lavori a tempo determinato in enti pubblici più o meno affini alla sua formazione. Ma da due mesi e mezzo, spiega, finita la borsa di studio all’ufficio statistica del Comune di Firenze, «sono a casa, praticamente a carico dei genitori». Occupatissimo a «girare siti internet di offerte lavoro e concorsi, dei centri per l’impiego e delle agenzie interinali, e a mandare curriculum», ma senza lavoro. E per la prima volta da tanti anni, Federico sente che qualcosa è cambiato: «Mi accorgo che sto rinunciando a salvaguarda¬re la mia professionalità». Sì, ci sperava ancora di occuparsi di statistiche, come ha fatto per la Regione Toscana, l’Università, il Comune, l’Arpat, o a stilare agende di politica ambientale per le Comunità Montane: «Ma vedo che i profili più richiesti, ormai sono quelli fra i 25 e i 30 anni». E adesso, il laureato in economia non esclude più niente: «Non mi resterà, forse, che aprire un negozio».


Il manager

Faceva il manager, direttore generale di una azienda metalmeccanica di medie dimensioni. Ottimo stipendio, vita agiata per dodici anni. Finché non arriva una multinazionale, che compra l’azienda e promette che nulla cambierà. Invece. «Un giorno arriva una lettera. Finito tutto». Licenziato, a 50 anni, con due figli di 21 e 13 anni da mantenere. A casa, «dopo aver lavorato tutta la vita». Era un venerdì. Sabato, domenica: «Il lunedì la sveglia non suona, rimango a letto». Drammatica tentazione: lasciarsi andare. «Stai lì e pensi. Ti senti un cretino, uno che se l’è cercata. Sei pieno di sensi colpa». Potrebbe essere la fine, ma «ho avuto accanto una moglie e dei figli meravigliosi, e mi sono rialzato». Giacca a cravatta ogni mattina, come prima. E fuori a cercare lavoro. Così Fabrizio Mezzetti, ingegnere, racconta la sua storia ormai, spera, alle spalle: «Certo, so che non sarò mai più un manager, e che non avrò più il tenore di vita di prima, ma so anche che la mia professionalità non è sparita col vecchio lavoro». Da gennaio Mezzetti ha aperto una partita Iva, ha cominciato a telefonare a vecchi clienti, amici, conoscenti, e si è riciclato come consulente commerciale per le aziende». E per dirla in breve: «Ho capito che si è sempre utili, che tutto può sempre ricominciare».

L'operaia

«Qualcosa farò, devo farlo a tutti i costi. Per bisogno, ma soprattutto per amor proprio». Donella Radicchi ha 55 anni, per 33 ha lavorato alla Richard Ginori, operaia specializzata, decoratrice di servizi da tavola, fra cui quelli usati al Quirinale, «li ho visti tante volte in tv, durante i pranzi ufficiali del Presidente». «Una vita di soddisfazioni», dice Donella. Poi il nulla, per lei come per gli altri della Ginori. Cassa integrazione straordinaria di un anno «per cessazione d’azienda», rinnovabile per sei mesi, davanti il nulla, o quasi, «e a un passo dalla pensione», che sarebbe arrivata nel 2017. Donella ha un marito, è nonna, «volendo, anche in famiglia di cose da fare ne avrei», ma, dice, «sentirsi utili con il proprio lavoro è tutta un’altra cosa». E’ questo che le manca, adesso, anzi, «una cosa a cui proprio non posso rinunciare». A settembre farà dei corsi al centro per l’impiego di Sesto, «vedremo che cosa mi proporranno». La ceramica rimarrà la sua passione, «mi piaceva troppo», ma a questo punto, dice, «accetterei qualunque proposta». E coinvolgerà gli amici, per vedere se può saltare fuori qualcosa anche da lì. Intanto, è andata qualche giorno in montagna per chiarirsi le idee: «Ancora non ho realizzato bene che cosa mi è successo...».

Il libraio

«Ho dato la vita, per questa azienda, sono stato molto più qui che con la mia famiglia. E adesso è tutto finito». Marco Mori ha 46 anni e, fino a quando non ha chiuso i battenti, è stato il direttore della libreria Martelli. Un figlio diciotenne, una moglie che, «per fortuna, un lavoro ce l’ha», ma il problema non è questo: «E’ che all’improvviso ti senti fuori dalla catena produttiva, completamente inutile». Negli ultimi due mesi, un suo conoscente gli ha offerto di lavorare in un ingrosso a caricare e scaricare libri, alla stessa cifra della cassa integrazione (sospesa): «Niente a che fare col lavoro di libraio, ma mi ha fatto bene». Ora comunque è finito anche questo, «e di nuovo mi sento ai margini, uno di cui nessuno ha davvero bisogno». Tentare di riciclarsi? Ma certo: lui ha seguito corsi di formazione, fatto il solco alle agenzie interinali, cercato lavoro sul web, telefonato a tutti quelli che conosceva del suo ambiente, ma non è successo niente, salvo l’offerta dell’ingrosso. Mori ne è certo: «Perdere il lavoro è un trauma disastroso». Non solo: «In un attimo può degenerare, nessuno può dire come». Perciò, «invece di corsi che non servono a niente, le istituzioni ci paghino uno psicologo».
 

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