sabato 25 luglio 2015

Strage di Piazza della Loggia: dopo 41 anni, ergastolo a Maggi e Tramonte

Strage di Piazza della Loggia: dopo 41 anni, ergastolo a Maggi e Tramonte

Il 28 maggio 1974 l'eccidio che causò 8 morti e 100 feriti durante una manifestazione antifascista a Brescia. Una più dolorose vicende italiane

Redazione Tiscali
E' nella commozione liberatoria del presidente dei famigliari delle vittime, Manlio Milani, e in quella degli avvocati che per tutti questi anni hanno seguito la terza inchiesta sulla strage di piazza della Loggia a Brescia che si riassume l'esito del dodicesimo processo per l'eccidio che causò otto morti e cento feriti il 28 maggio del '74, durante una manifestazione antifascista. Perché i giudici della Seconda Corte d'assise d'appello di Milano hanno messo un punto fermo: quella strage fu di matrice ordinovista e fu ispirata da Carlo Maria Maggi, medico veneziano, allora ispettore di Ordine Nuovo per il Trivenento, condannato all'ergastolo, così come l'ex Fonte Tritone dei servizi segreti, Maurizio Tramonte.
Le ferite mai rimarginate - La sentenza dei giudici milanesi "apre una profonda riflessione sugli anni dal '69 al '74", per Milani che precisa: "E' sempre brutto sentire la parola ergastolo, ma questa decisione tiene aperta la speranza e ora abbiamo anche una verità giudiziaria, oltre che una verità storica". Quella verità giudiziaria che non si è raggiunta per la strage di Piazza Fontana e per quella della Questura di Milano e che invece è ancora a portata di mano per quella di Brescia (i legali di Maggi e Tramonte aspettano le motivazioni per decidere un ricorso in Cassazione). La Suprema Corte, del resto annullando l'assoluzione di Maggi e Tramonte e rinviando il processo a Milano (Brescia non dispone di una seconda corte d'assise d'appello), avevano scritto di un "ipergarantismo distorsivo" da parte dei giudici di secondo grado bresciani nei confronti dei neofascisti che aveva finito per "svilire" i numerosi elementi raccolti contro di loro. Tramonte, per i giudici di Cassazione, era un soggetto troppo "intraneo" alla destra eversiva per essere un semplice informatore, che peraltro "non raccontava ciò che sapeva o aveva fatto". Maggi fu "propugnatore" della strategia delle tensione e dalla sentenza milanese esce inevitabilmente confermato il racconto di Carlo Digilio, l'armiere di Ordine Nuovo che aveva raccontato i retroscena del periodo stragista.
Guerra tra Procure - Alla commistione tra galassia neofascista e servizi segreti aveva fermamente creduto l'ex giudice istruttore Guido Salvini che, appreso della sentenza, non risparmia critiche ai pm milanesi per l' inchiesta sulla strage di Piazza Fontana: "L'esito è il premio per un impegno, quello della Procura di Brescia, che non è mai venuto meno in tanti anni. Se la Procura di Milano avesse fatto altrettanto, credo che sarebbe stato possibile andare anche per piazza Fontana al di là di quella responsabilità storica che comunque le sentenze hanno accertato in modo indiscutibile nei confronti delle stesse cellule di Ordine Nuovo al centro del processo per Piazza della Loggia".
La scena dell'attentato dopo l'esplosione della bomba (Ansa)
La scena dell'attentato dopo l'esplosione della bomba (Ansa)
Quella mattinata infernale - Erano le 10.12 del 28 maggio 1974 quando in Piazza della Loggia, a Brescia, cuore del dibattito politico della città, durante una manifestazione antifascista dei sindacati una bomba provocò la morte di otto persone e il ferimento di altre 100. Da quel giorno, i magistrati bresciani non hanno mai smesso di indagare per individuare la mano che pose l'ordigno e l'ultimo processo, scaturito dalla terza inchiesta, riguarda un gruppo di ex ordinovisti veneti, già coinvolti ma poi usciti di scena nei procedimenti sulle stragi milanesi di piazza Fontana e della Questura, e il generale Francesco Delfino, il primo a indagare sull'eccidio quando era a capo del Nucleo operativo dei carabinieri. Fu proprio Delfino a indirizzare le prime indagini su un gruppo di neofascisti e di balordi bresciani imputati nel primo processo. La prima tappa del lungo processo è del 2 giugno 1979, quando i giudici della Corte d'assise di Brescia condannano all'ergastolo Ermanno Buzzi e a dieci anni Angelino Papa mentre assolvono gran parte delle 16 persone incriminate dal pm Francesco Trovato e dal giudice istruttore Domenico Vino o li condannano a pene inferiori ma per detenzione di esplosivi o per altri attentati. Il 16 novembre 2010 i giudici della Corte d'assise di Brescia assolvono tutti i cinque imputati (Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti. Ma il 21 febbraio 2014 la a Cassazione stabilisce che un nuovo processo dovrà accertare le responsabilità di due degli imputati che nei processi di primo e secondo grado erano stati assolti: Maurizio Tramonte, un uomo considerato vicino ai servizi, che tanto ha parlato negli anni di eversione e bombe, e Carlo Maria Maggi, ottantenne medico veneziano, all'epoca a capo di Ordine Nuovo nel Veneto. Assolto invece definitivamente Delfo Zorzi. Il 22 luglio, a tarda sera, arriva la condanna all'ergastolo per Maggi e Tramonte.

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