sabato 25 luglio 2015

Regressione virus Hiv, gli scienziati italiani tra cautela e ottimismo

Regressione virus Hiv, gli scienziati italiani tra cautela e ottimismo

Una giovane donna francese non presenta da 12 anni carica virale pur avendo smesso di assumere farmaci. La scoperta è stata presentata dall'Istituto Pasteur

Redazione Tiscali
L'Istituto Pasteur di Parigi, durante la conferenza dell’International Aids Society di Vancouver, lo ha annunciato con soddisfazione. Per la prima volta, è stato registrato un caso di regressione del virus Hiv a 12 anni dalla sospensione dei trattamenti anti-retrovirali. Si tratta di una ragazza francese di 18 anni, che aveva contratto il virus nell'utero della madre ed è stata monitorata dall'Agenzia nazionale francese per la ricerca sull'Aids. Seppur non abbia né volto né nome, il suo è diventato un caso mediatico. Non è considerata ancora guarita, ma - spiegano gli scienziati francesi - è in buona salute pur non prendendo più i farmaci. Ma, ora, cosa cambierà per i malati? Asier Saez-Cirion dell’istituto Pasteur ha così risposto: "Questo primo caso, molto documentato, dovrebbe incoraggiare una strategia globale che preveda la somministrazione di farmaci antiretrovirali, nelle settimane che seguono la nascita, a tutti i neonati che hanno contratto il virus durante la gravidanza o il parto. Tuttavia - precisa - non siamo ancora in grado di prevedere se, dopo l'interruzione del trattamento, beneficeranno di una regressione". Sulla scoperta abbiamo ascoltato il parere di due scienziati italiani: Giuseppe Ippolito, dal 1998 direttore scientifico dell'Istituto nazionale per la malattie infettive 'Lazzaro Spallanzani' di Roma, e Adriano Lazzarin, primario della Divisione di malattie Infettive Irccs (Istituti di Ricovero e Cura a carattere scientifico) al San Raffaele di Milano.

La prudenza non è mai troppa - "Non cantiamo subito vittoria", commenta il professor Ippolito, che invoca cautela. La ragazza francese fa parte di un gruppo speciale, gli 'elite controller', ovvero pazienti con Hiv in cui, una volta interrotta la terapia antiretrovirale, l’infezione non riprende il suo corso. "La particolarità del caso, è che si tratta di una regressione temporalmente più lunga di altri". Un record positivo di 12 anni. "Si tratta di un'eccezione, tuttora non esistono alternative al trattamento continuo", sostiene Ippolito. "La prudenza non è mai troppa. Ci sono stati casi, in passato, che non hanno ottenuto gli effetti sperati. Dopo periodi di regressione, si è verificato il ritorno del virus". Come la vicenda in Usa, in Missisipi, dove una bambina non aveva avuto bisogno di terapia per due anni e mezzo, o la recente storia di un bimbo ricoverato all'ospedale Sacco di Milano, nato nel 2009: la terapia d'urto aveva abbattuto la carica virale fino ad azzerarla, ma dopo tre anni il virus è rispuntato. La ragazza francese resiste da 12. "Speriamo che così prosegua", si augura Ippolito. La nuova scoperta "non modifica, al momento, l'approccio terapeutico nei confronti dei bambini, ma incoraggia a studiare i pochi casi di persone che meglio controllano il virus, grazie a una migliore reazione del sistema immunitario". Sono oltre seimilacinquento i pazienti seguiti dall'Istituto Spallanzani, che si occupa di cure, ricerca e studi sulle modalità di trasmissione.

È un’importante tappa nella ricerca - "Lo studio effettuato dall'Istituto Pasteur mostra evidenti rilievi innovativi nella ricerca. In primo luogo, ha sottolineato l'importanza della tempestività di intervento tramite trattamento anti virale. È, infatti, necessario intervenire nelle prime ore di vita del bambino nato da madre sieropositiva", sostiene Adriano Lazzarin, primario al San Raffaele, specialista in malattie infettive. "E' così emersa l'ormai evidente possibilità di abbassare la carica di riproduzione del virus tramite il trattamento e la necessità di indagare anche il patrimonio genetico dei pazienti, alcuni possiedono una predisposizione in grado di controllare la riproducibilità del virus". Lazzarin sottolinea: "So bene che l'enfasi mediatica generata da risultati, come quest'ultimo raggiunto in Francia, generi scetticismo. Tuttavia devo dire che si tratta effettivamente di una importante tappa nella ricerca. Nel nostro istituto di ricerca al San Raffaele, su 4mila pazienti al momento in cura, solo 40 hanno il corredo genetico adatto. Coloro che possiedono queste caratteristiche genetiche, dopo aver interrotto la cura farmacologica, nel caso in cui ne avessero bisogno, possono riprendere la somministrazione della terapia con garanzia d'efficacia".

In crescita tra giovani omosessuali - Riguardo al ritorno della malattia nei paesi occidentali e in Italia giovani omosessuali, i due scienziati concordano sulle statistiche. Confermano la crescita dei casi soprattutto nella popolazione maschile, giovane e in prevalenza omosessuale. "Stiamo assistendo a un aumento poiché è diminuita la paura del virus. L'aspettativa di vita è migliorata notevolmente grazie alle cure e quindi i ragazzi hanno abbassato il livello di guardia e, di conseguenza, le precauzioni", sostiene Adriano Lazzarin. "I cambiamenti nell'uso e abuso di droghe rischiano di portare una nuova circolazione del virus tra i tossicodipendenti, perché è aumentata la somministrazione di droga per via venosa. L'eroina è diventata a buon mercato", conclude Giuseppe Ippolito. 

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