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Il petrolio è la materia prima che fa girare il mondo e, in questo momento, è anche la trottola che sta facendo ballare i mercati. Da inizio anno sia il Brent del Mare di Londra che il Wti di New York hanno perso quasi il 20% scendendo sotto i 31 dollari al barile, sui minimi da dicembre 2003. Da luglio 2014 - quando è difatti iniziato il ribasso anche a seguito dell’avvio del rafforzamento del dollaro su scala globale a cui il petrolio, come tutti gli asset quotati in dollari, è inversamente legato - le quotazioni del petrolio hanno perso il 70%.
Come se non bastasse le previsioni delle più grandi banche d’affari ipotizzano che la discesa non è finita. Goldman Sachs - la stessa che negli anni scorsi aveva però predetto un petrolio a 200 dollari - ha tirato via uno 0 indicando un livello di 20 dollari al barile raggiungibile. Al coro si è aggiunta anche Morgan Stanley che ha fissato 20-25 dollari come prossima soglia. Senza contare anche chi si sbilancia - come gli analisti di Standard Chartered - addirittura a 10 dollari. Resta il fatto che di questo passo un petrolio sotto i 30 dollari e forse anche in area 20 dollari non sembra più un’ipotesi fantascientifica. Anche perché i fondi hedge - quelli che per statuto possono andare short, cioè al ribasso e che spesso vengono additati come i responsabili dei forti scrolloni dei mercati - hanno ridotto del 25% le posizioni rialziste sul petrolio, il livello più basso dal 2010. E se anche gli hedge e la loro potenza di fuoco non sembrano puntare su un imminente rialzo, qualcosa vorrà dire.
Ma nasce spontaneo chiedersi a questo punto che mondo sarebbe con un petrolio a 20 dollari: le ricadute negative sarebbero più ampie di quelle positive? Diciamo che in questa prima fase stanno prevalendo le ricadute negative che vedono, più o meno, questa concatenazione di eventi: il prezzo del petrolio sta scendendo perché la crescita in Cina (grande consumatore di barili essendo la seconda economia del mondo) sta dando segnali di rallentamento e perché contemporaneamente i Paesi produttori (Opec, con Arabia Saudita in prima fila) non stanno diminuendo l’offerta (con l’evidente effetto di indebolire i produttori statunitensi di shale oil che rischiano di andare in bancarotta con un prezzo del petrolio stabilmente sotto i 60-70 dollari). Un ulteriore fattore che spinge giù il prezzo del petrolio è il rafforzamento del dollaro, mosso dal fatto che gli Usa sono stati i primi ad avviare un percorso di rialzo dei tassi e di fine degli stimoli monetari avviati nel 2009.
Questi tre fattori (rallentamento cinese, strategie geopolitiche dell’Opec di non ridurre l’offerta e rafforzamento del dollaro) hanno fatto crollare la quotazione del 70% da luglio 2014 ad oggi. Ad essere penalizzati sono direttamente i Paesi emergenti. Ma anche qui bisogna distinguere perché Paesi emergenti vuol dire tutto e niente. Ci sono Paesi emergenti (fra cui Brasile, Russia, eccetera) che sono penalizzati dal fatto che vendendo materie prime incassano meno dal rafforzamento del dollaro e dal ribasso del prezzo del petrolio e delle altre materie prime. E poi ci sono Paesi emergenti che, pur non vendendo materie prime, sono penalizzati dal fatto che negli ultimi anni le proprie imprese si sono fortemente indebitate in dollari approfittando del crollo dei tassi negli Usa. E che adesso che i tassi iniziano a risalire rischiano grosso vedendo incrementare il debito reale.
I Paesi occidentali e in particolare quelli europei, a loro volta, rischiano un effetto contagio dal calo delle esportazioni nei Paesi emergenti e in Cina, le aree direttamente colpite dal calo del greggio. Questi sono gli effetti negativi di breve periodo. Fatta questa promessa, possiamo rispondere alla domanda su come sarebbe il mondo con il petrolio a 20 dollari.
«Nel valutare le implicazioni di una discesa del prezzo del petrolio a 20 dollari al barile dobbiamo fare una distinzione tra breve e medio-lungo termine. La prima reazione dei mercati ad una caduta così drammatica delle quotazioni sarebbe sicuramente negativa perché, come sta già accadendo in questi giorni, se ne vedrebbero quasi esclusivamente le implicazioni negative: crollo del potere d'acquisto dei Paesi produttori, difficoltà economiche e finanziarie per alcuni importanti Paesi emergenti (Russia, Brasile, …), instabilità politica in aree “calde” del medio-oriente (Arabia Saudita, Iran, …), debolezza presunta della domanda di energia da parte della Cina, fallimento di numerose piccole società petrolifere statunitensi con costi di estrazione non più sostenibili (shale oil), spinta deflattiva a livello mondiale - spiega Massimo Terrizzano, Responsabile fondi di Bnp paribas investment partners -. Se lo scenario del petrolio a 20 dollari si confermasse nel medio-lungo termine, gli investitori comincerebbero ad apprezzarne anche i risvolti positivi, soprattutto in termini di potere d'acquisto dei paesi consumatori e di stimolo alla domanda interna, anche nei paesi emergenti importatori di petrolio, Cina e India in primo luogo. Le tensioni deflative verrebbero contrastate con un minore rialzo dei tassi d'interesse in America e con maggiori interventi di quantitative easing in Europa ed in Giappone. Rimarrebbe la preoccupazione per l'instabilità finanziaria e politica di alcune aree-chiave dello scacchiere internazionale e questo è l'aspetto che davvero spaventa le Borse in questo momento».
A detta di Marco Aboav, macro portfolio manager di MoneyFarm.com «un improbabile, ma non impossibile, prezzo del petrolio a 20 dollari potrebbe convincere l'Opec a ridurre la produzione. Non bisogna dimenticare che le scorte a livello globale sono elevate e la produzione dei produttori non Opec, notoriamente con una produzione a costi più alti rispetto ai paesi Opec, dovrebbe ridursi. In questo quadro una qualsiasi segnale da parte dell'Arabia Saudita di voler tagliare la produzione potrebbe portare il prezzo del petrolio a livelli visti ad inizio 2015. Per l'azionario il settore energetico sarebbe ancora di più in subbuglio con un ulteriore deprezzamento del petrolio, ma dubito che questo effetto possa essere controbilanciato da settori ciclici che sono favoriti dal minor costo del petrolio (un esempio su tutti le compagnie aeree).