Sostenitori dell’Akp in festa (Afp)Sostenitori dell’Akp in festa (Afp)
ISTANBUL - Erdogan ha vinto riconquistando la maggioranza assoluta per il partito Akp ma ieri, per un momento, ha lasciato il palcoscenico al primo ministro Ahmet Davutoglu che in un incandescente raduno a Konya, la sua città natale, ha inneggiato «alla vittoria della democrazia». Mentre seguaci e militanti del partito islamico conservatore percorrevano Istanbul con cortei rumorosi e festanti, nell'Anatolia del Sud Est, a Diyarbakir, esplodeva la rabbia dei curdi secondo i quali il partito Hdp, pur essendo entrato in Parlamento, sarebbe stato privato dai brogli di una buona percentuale di voti. 
La questione curda rimane sempre quella più bruciante per l'unità della Turchia ma non è detto che proprio la travolgente vittoria di Erdogan possa convincere il governo a una ripresa dei negoziati di pace con la guerriglia del Pkk da una posizione di forza. Per il momento resta una fortissima tensione che costituisce comunque un'ipoteca anche sulla travolgente affermazione dell'Akp.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha comunque ha stravinto la sua sfida: il partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) ha ottenuto il 49,3% dei voti, con un aumento del 9% rispetto alle elezioni del 7 giugno scorso, e si è quindi ripreso la maggioranza assoluta dei seggi nel Parlamento turco, 315 su 550. Può governare da solo con un margine assai confortevole, come del resto aveva fatto negli ultimi 13 anni dal 2002 prima dell'ultima battuta d'arresto.
Nel quadro di questa vittoria che ribalta tutti i sondaggi della vigilia manca però l'ultima pennellata. All'Akp e Erdogan servirebbero altri 15 seggi per proporre una modifica della costituzione in senso presidenziale: la vera grande ambizione del “Sultano” è quella di potere restare in sella fino alle celebrazioni nel 2023 per il centenario della repubblica fondata da Kemal Ataturk. Erdogan si sente ingabbiato dagli attuali poteri formali del presidente ed è deciso ad acquisire poteri esecutivi che oggi esercita di fatto anche in violazione del dettato costituzionale.
Con il 99% delle schede scrutinate, il partito filo-curdo Hdp di Salahettin Demirtas ha centrato comunque l'obiettivo di entrare in Parlamento grazie al 10,4% dei voti (la soglia di sbarramento era del 10%) che gli varrà 59 seggi ma con una forte perdita rispetto agli 80 dell'ultima tornata elettorale. Tengono i kemalisti laici del Chp che confermano il risultato di cinque mesi fa e i loro 132 seggi, attestandosi intorno al 25,3%. In calo i nazionalisti repubblicani dell'Mhp scesi dal 16,3 al 12% e con un numero di deputati dimezzati, da 80 a 42. Il calo dei nazionalisti, eredi della tradizione estremista dei Lupi Grigi, è stato determinato da un forte afflusso di voti verso l'Akp: hanno pagato la scelta di non formare questa estate una coalizione di governo con il partito islamico.
La mappa dei risultati mostra un Paese spaccato in tre. Sulla costa egea e in Tracia vincono i repubblicani del Chp, l'Anatolia centrale e il Mar Nero sono dominati dall'Akp, nel sud-est del Paese a maggioranza curda vincono i filo curdi dell'Hdp, ragione per cui, seppure con una percentuale leggermente inferiore, ottengono più seggi dei nazionalisti. Dalle elezioni del 7 giugno a oggi, la Turchia ha vissuto mesi difficili: la ripresa degli scontri con il Pkk il 24 luglio, scontri che hanno causato più di 230 morti tra civili e forze di sicurezza, mentre l'esercito turco ha annunciato l'uccisione di più di 2000 ribelli separatisti. Gli attentati di Suruc del 20 luglio, 33 morti, e soprattutto la strage di Ankara del 10 ottobre con 102 morti, sono stati i momenti più tragici. Ma ora la Turchia, nel voto della paura, ha scelto un partito solo al potere e un uomo solo al comando.