sabato 26 settembre 2015

Luci e ombre del nuovo Isee: stana i furbi, ma colpisce i più deboli

Luci e ombre del nuovo Isee: stana i furbi, ma colpisce i più deboli

Il ministro del Lavoro esulta per i risultati eclatanti, ma è bene non soffermarsi alle nude cifre. Ecco cosa nascondono

Luci e ombre del nuovo Isee: stana i furbi, ma colpisce i più deboli
di Giovanni Maria Bellu
Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti li ha definiti “risultati eclatanti”. E a guardare le nude cifre non gli si può dare torto: nei primi tre mesi del 2015 il numero di quanti presentavano un Isee da nullatenenti è crollato dal 75 per cento a meno del 25 per cento. Una conferma del sospetto che in tanti, negli anni passati, maturavano scoprendo che il super griffato e motorizzato compagno di scuola del proprio figlio era esentato dal pagamento della mensa, al contrario di ragazzi evidentemente meno abbienti che, però, avevano il “difetto” d’avere per genitori dei lavoratori dipendenti.
A quanto pare a determinare questa repentina emersione di tanti “furbetti dell’Isee” è stata prima di tutto la minaccia di un irrigidimento dei controlli, a cui è seguita un’autentica rivoluzione nel sistema di compilazione. Non c’è più l’autodichiarazione, ma a “post-compilare” l’”Indicatore della situazione economica equivalente” è l’Inps che si avvale dei propri archivi e di quelli dell’Agenzia delle entrate.
Ma non tutti condividono la soddisfazione di Poletti. In particolare le famiglie dei disabili che contestano i dati a campione diffusi dal ministero secondo i quali il nuovo Isee , rispetto al vecchio, è “più favorevole” per il 45 per cento dei cittadini e “invariato” per il 20 per cento. E, addirittura, per i nuclei familiari dove sono presenti disabilità, il giudizio di maggior favore sale fino al 65 per cento. Dati che, secondo le associazioni, richiamano la vecchia storia dei polli di Trilussa (“Seconno le statistiche d'adesso risurta che te tocca un pollo all' anno: e, se nun entra ne le spese tue, t'entra ne la statistica lo stesso perché' cè un antro che ne magna due”).
Con lo scopo – in questo caso non di stanare i furbi ma di risparmiare il più possibile - sono stati inclusi nel nuovo sistema di calcolo tutti i redditi esentati ai fini dell’Irpef. Quindi anche gli assegni di accompagnamento, le pensioni di invalidità, le borse di studio e gli assegni di mantenimento del coniuge divorziato anche quando non vengono versati. In questo modo molte famiglie, pur non avendo nel portafoglio nemmeno un euro in più, si sono trovate a superare il reddito oltre il quale si è esclusi dalle prestazioni assistenziali. Sette mesi fa il Tar del Lazio ha dato ragione alle associazioni che denunciavano l’iniquità del nuovo sistema di calcolo. Con una sentenza dello scorso febbraio i giudici amministrativi (richiamando fondamentali principi costituzionali) hanno detto che l‘inserimento della pensione d’invalidità e dell’indennità di accompagnamento tra i redditi disponibili determina un’inammissibile penalizzazione delle fasce più deboli.
Le associazioni hanno sperato in una riforma dei criteri. Il governo, invece, ha presentato ricorso al Consiglio di Stato chiedendo intanto una sospensiva. Che venerdì scorso non è stata accolta. Quindi l’udienza per l’esame del merito è stata aggiornata al 3 dicembre. Quasi certamente si è trattato di un caso e i giudici del Consiglio di Stato non se ne sono accorti. Ma le famiglie dei disabili non hanno potuto non rilevare che la decisione sarà assunta in una data fortemente simbolica. Il 3 dicembre, infatti, è la Giornata internazionale della disabilità. C’è insomma un certo ottimismo sul buon esito, almeno processuale, della campagna per escludere e pensioni di invalidità dal calcolo dell’Isee.
Ma non è il solo problema a suggerire l’opportunità di una revisione dei criteri. C’è anche quello del computo, tra i redditi i cui tener conto nel calcolo dell’Isee, dell’assegno di mantenimento del coniuge divorziato. L’agenzia Redattore sociale ha raccolto la drammatica testimonianza di una donna, madre di tre figli, che nel gennaio del 2013 aveva avuto dal tribunale di Belluno il riconoscimento di un assegno di 1600 euro al mese. Ma il marito lo scorso agosto si è trasferito in Portogallo con la nuova compagna e ha interrotto i versamenti, smettendo anche di pagare il mutuo della casa dove l’ex moglie – che ha solo un lavoro part time – vive con i tre figli.
Il fatto è che nell’attestazione dell’Isee ‘quei 1600 euro al mese continuano risultare. E non c’è modo di cancellarli. Quando si è presentata a un patronato per chiedere che la somma non percepita venisse esclusa, le è stato detto che la normativa non lo consente. Infatti il ricalcolo è ammesso solo quando la diminuzione del reddito è stata determinata da un cambiamento della situazione lavorativa. Risposta confermata anche dal ministero del Lavoro. Che, però, ha suggerito una scappatoia. “Si ritiene che l'ente erogatore delle prestazioni che intende richiedere possa valutare la sua situazione reddituale specifica sulla base della documentazione in suo possesso”. In pratica, l‘Isee resta valido, ma davanti all’evidenza dei fatti l‘ente erogatore può disattenderlo. Un percorso che forse risolverà il caso individuale, ma non il problema.

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