sabato 16 febbraio 2013

GARIGLIANO È RADIOATTIVO


 GARIGLIANO È RADIOATTIVO
di Fra. Fur.
Le acque del Garigliano prospicienti gli scoli dei reattori della vecchia centrale nucleare di Sessa Aurunca sono inquinate da radioattività.
È quanto emerge, dopo due mesi di attesa, dalle analisi condotte dai militari del CISAM - Centro Interforze Studi Applicazioni Militari – di San Piero a Grado a Pisa sui prelievi effettuati a fine novembre del nucleo sommozzatori della Guardia di Finanza di Napoli. La settimana scorsa, infatti, i risultati delle indagini sono stati consegnati al sostituto procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere Giuliana Giuliano che, a fine novembre, aveva aperto il procedimento penale 9664/12 per irregolarità in materia di sicurezza nucleare (decreto legislativo 230/95). Da quanto si apprende, la radioattività riscontrata non sarebbe elevata, seppure c’è da intendersi su cosa questo rappresenti, ma di fatto ora l’inquinamento è palesato anche dalle analisi e la SOGIN, che sarebbe già stata informata dei risultati, si starebbe già attivando per avviare una bonifica d’urgenza dopo che sei mesi fa l’aria di rispetto di fronte agli scoli dei reattori già era stata ampliata andando a coprire quasi l’intero specchio acqueo prospiciente. Al momento tra gli indagati compare un solo nome ovvero quello di Marco Iorio, attuale responsabile per conto della SOGIN S.p.A. della disattivazione della centrale del Garigliano. L’iscrizione nel registro degli indagati nasce in seguito all’accertamento effettuato dai finanzieri del Nucleo Mobile della Guardia di Finanza di Mondragone comandati dal capitano Marco Biondi che, a fine novembre, a seguito di un blitz durato quasi 18 ore, avevano appurato che i controlli dell’ARPA Campania all’interno del sito dismesso, che dovevano essere semestrali, in realtà non venivano effettuati da sette anni. Inoltre, nell’ambito delle stesse verifiche, veniva riscontrato che il registro degli scarichi liquidi e aeriformi era compilato a matita. Al di là poi dei controlli strettamente amministrativi, i finanzieri avevano verificato che nella zona che il piano di bonifica denomina Trincee, in un’area a cielo aperto interna alla centrale e di circa 900 metri quadrati poi finita sotto sequestro, a una profondità tra i 20 e i 50 centimetri, praticamente a contatto con la falda acquifera, giacevano sotterrati rifiuti in attività: dalla tuta al materiale tecnico.
Tutt’ora l’area viene monitorata dai finanzieri che almeno ogni tre giorni accedono all’interno del sito nucleare per controllare che i sigilli apposti a novembre siano rispettati. Resta il fatto che il pericolo che tutt’ora la centrale rappresenta per le popolazioni confinanti resta costante ed evidente al di là delle frasi di circostanza tese a rasserenare la situazione. Il termine per le operazioni di decommissioning è atteso per il 2022 dopo un’iniziale ottimistica previsione che parlava del 2016.
CESIO 137, CESIO 134 E COBALTO 60
di Fra. Fur.
Cesio 137 ma anche Cesio 134 e Cobalto 60. Sono questi i materiali radioattivi che l’Istituto Superiore di Sanità già in una relazione del 4 agosto 1984, segnalava essere presenti e sedimentati nel Golfo di Gaeta: «Per una serie di ragioni descritte in notevole dettaglio nella letteratura tecnica, si sono prodotti fenomeni di accumulo del Cobalto e del Cesio, scaricati nel fiume Garigliano, all’interno del Golfo di Gaeta. Ciò è indubbiamente legato all’insediamento della centrale». E così anche u n’indagine dell’ENEA del 1980 che ugualmente rilevò contaminazione radioattiva in una vasta porzione di mare. Un accumulo trentennale e che, stando alle ultime analisi condotte dal CISAM di San Piero a Grado, non si è mai interrotto, di fatto continuando a inquinare le acque del golfo. Bassa o alta che sia la radioattività riscontrata, infatti, l’ambiente marino allo stato risulta inquinato e non è peregrino pensare che, preso atto della situazione, la Procura di Santa Maria Capua Vetere, dopo l’iniziale solo reato di irregolarità in materia di sicurezza nucleare (decreto legislativo 230/95), possa ora decidere di procedere anche per disastro ambientale. Un reato questo, che aprirebbe uno scenario nuovo e che metterebbe sul banco degli accusati anche i vari istituti che in questi anni si sono succeduti nei controlli, ultimo l’ISPRA ovvero l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Nato con decreto legge del 2008 e con l’obiettivo di razionalizzare l'attività svolta da tre precedenti organismi così da assicurare maggiore efficacia alla protezione ambientale anche nell'ottica del contenimento della spesa pubblica, oggi un ente vigilato dal Ministero dell'Ambiente e per la Tutela del Territorio e del Mare il cui direttore è Bernardo de Bernardinis, 64 anni, professore di ingegneria idraulica, nominato dal Consiglio dei Ministri nell’ottobre del 2010 e condannato a sei anni con sentenza in primo grado di giudizio il 22 ottobre 2012 dal Tribunale de L’Aquila per omicidio colposo plurimo e lesioni perché componente della commissione grandi rischi che si occupò del terremoto abruzzese del 6 aprile 2009. A onor del vero, a seguito della condanna de Bernardinis aveva offerto le proprie dimissioni ma queste, il 24 ottobre scorso, gli erano state respinte direttamente dal ministro dell'Ambiente Corrado Clini che gli aveva riconfermato la fiducia.

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