lunedì 10 dicembre 2012

IMMIGRATI E FANTASMI IN PROVINCIA DI LATINA. ARRIVANO ATTRAVERSO UNA RETE ILLEGALE, POI «RICATTATI»


IMMIGRATI E FANTASMI IN PROVINCIA DI LATINA. ARRIVANO ATTRAVERSO UNA RETE ILLEGALE, POI «RICATTATI»
di Graziella Di Mambro
Diecimila euro per arrivare in provincia di Latina e andare a lavorare per 12 ore nelle serre tra Sperlonga e Sabaudia senza ricevere un centesimo ma solo per pagare il «riscatto» dei documenti di identità, che in media restano un anno nelle mani dei caporali e dei «controllori» della cittadinanza di migliaia di persone. I nuovi schiavi che popolano la provincia di Latina e che, come gli schiavi veri, pagano per diventare liberi. Su questo filone, che due giorni fa ha portato all’arresto di tre persone, è in corso una ulteriore indagine che punta all’organizzazione dei permessi falsi per i clandestini ma, soprattutto, a ricostruire a ritroso il viaggio che fanno moltissimi braccianti agricoli, in larga parte di origine indiana o cingalese. Tracce di una rete di persone che controlla l’arrivo dei lavoratori extracomunitari in provincia e che ne trattiene il passaporto si ritrovano non solo in tutte le ultime operazioni di controllo sulla regolarità del lavoro in agricoltura, ma anche in alcuni referti medici. Quando (finalmente) qualcuno di questi braccianti senza identità decide di curarsi o arriva nei presidi ospedalieri per patologie gravi si scopre che non hanno documenti e che addirittura non ne sono possessori. In pratica per arrivare qui da clandestino esiste un costo che quasi nessuno può pagare in anticipo e così lo sconta con il lavoro gratis. È evidente che una simile manipolazione richiede complicità e servizi che gli immigrati da soli non potrebbero mai garantirsi. Avvisaglie di un sistema parallelo di gestione delle pratiche dell’immigrazione sono emerse nell’ambito dell’assistenza che i sindacati confederali prestano ai lavoratori del settore agricoltura. Si calcola che in tutto il comparto lavorino 24.000 persone ma è difficile stabilire il numero esatto perché manca il dato sui clandestini appunto. Che, però, si può dedurre dai referti medici per i lavoratori fantasma, dai contratti di affitto in nero e dal report dei Carabinieri sul lavoro irregolare. Ciò che è emerso a Fondi nell’ultima settimana con la scoperta di una società che esisteva solo per costruire permessi di soggiorno senza mai sottendere veri rapporti di lavoro, come invece prevede la legge. Che questo non sia un fenomeno isolato lo si capisce dall’attenzione che la Prefettura presta all’immigrazione in provincia di Latina e ai problemi collaterali che sono nati in questi anni. L’integrazione pratica è affidata quasi esclusivamente ai sindacati (molti delegati sono scelti direttamente tra i lavoratori stranieri per via della lingua e per rendere più semplice avvicinarli e inserirli nella formazione basilare) oltre che a pochissimi Comuni che hanno ancora in bilancio la voce «sportello immigrazione». Ciò nonostante le condizioni di vita e di lavoro peggiori sono quelle dei braccianti che arrivano senza aver pagato l’organizzazione che li fa entrare da clandestini e che, restando senza documenti in attesa di riscatto, non possono accedere ad alcuno dei servizi minimi disponibili. Se ti avvicini ad una qualunque di queste strutture istituzionali o del sindacato emerge che i documenti di identità sono stati sottratti e sono oggetto di riscatto. Le conseguenze possono essere pesantissime, per esempio la mancata restituzione dei passaporti, ossia resti clandestino per sempre. La maggior parte degli indiani sfruttati in questo modo si concentra in quello che è ancora oggi il triangolo d’oro dell’agricoltura pontina, tra Sabaudia, San Felice Circeo e Terracina. E per quanto sempre lì sia nata la più grande comunità indiana del centro Italia è nello stesso luogo che si verifica il maggio numero di soprusi con il metodo del sequestro dei documenti.

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