domenica 2 agosto 2015

Il nuovo business internazionale che tenta anche l’Europa: la vendita delle cittadinanze

Il nuovo business internazionale che tenta anche l’Europa: la vendita delle cittadinanze

Il governo maltese ha aperto a questa via: all’inizio di quest’anno le richieste erano già circa 400

Il nuovo business internazionale che tenta anche l’Europa: la vendita delle cittadinanze
di Giovanni Maria Bellu
Un deputato dell’opposizione al governo di Malta, Jason Azzopardi, ha parlato di “prostituzione della cittadinanza”. Una critica forte, che si fonda su un’idea molto diffusa: essere cittadini di un Paese non vuol dire solo possederne il passaporto, ma condividerne la cultura, la storia. Averne respirato l’aria. E’ questa, del resto, l’idea che in Italia sta sullo sfondo dell’interminabile confronto parlamentare attorno alla riforma della legge sulla cittadinanza. Le soluzioni proposte sono diverse, ma nessuna prevede che la cittadinanza possa essere acquisita dal figlio di una coppia di stranieri per il solo fatto d’essere nato nel territorio italiano. Ci vuole qualcosa di più: un percorso scolastico, la ragionevole certezza che esiste un progetto di vita costruito attorno al nostro Paese.
Ma il governo maltese – e altri governi in Europa e nel resto del mondo - ha deciso di seguire un’altra strada. O meglio di aprire – in parallelo alle ordinarie procedure - una strada che consente di acquisire la cittadinanza anche se fino a quel momento non si è mai stati a Malta e non si ha alcuna intenzione di viverci. Basta essere molto ricchi. Dal mese di marzo del 2014 la cittadinanza maltese è in vendita. Per acquistarla bisogna essere disposti a spendere un po’ più di un milione di euro.
All’inizio di quest’anno le richieste erano già circa 400. E – considerando che nella casse maltesi per ogni nuovo cittadino-acquirente entrano 650mila euro, più 25mila per ogni familiare - in tutto fa una bella somma. Si stima che nell’ultimo anno il 40 per cento delle entrate fiscali di Malta siamo state prodotte da questo sistema, che si è rivelato molto efficace. Tanto che c’è chi suggerisce alla Grecia – che già ‘vende’ la cittadinanza a un presso abbastanza modico, l’investimento minimo è di 250mila euro, e a condizioni piuttosto complesse – di alzare le tariffe semplificando le procedure per fare del business dei passaporti uno degli strumenti per restare in Europa.
C’è un precedente dall’altra parte dell’Oceano. Nel 2005 la chiusura delle piantagioni di canna da zucchero aveva trasformato il piccolo Stato caraibico di Saint Kitts and Nevis, 48mila abitanti, in un piccolo inferno, portandolo ai vertici mondiali dell’indebitamento e anche della criminalità. Poi un avvocato svizzero, Christian Kalin, offrì la sua consulenza per mettere a frutto la vendita della cittadinanza e i conti tornarono a posto.
Kalin è il direttore della Henley & partners, una società che a partire dal 1990 ha fatto del mercato delle cittadinanze – che lui preferisce chiamare citizenship by investments - una vera e propria industria. D’altra parte – secondo una stima dello stesso Kalin – ogni anno nel mondo si spendono circa due miliardi di dollari per acquisire un passaporto diverso dal proprio.
Le condizioni per l’acquisto e i costi variano da Paese a Paese perché i passaporti non sono tutti uguali. Il loro valore economico è dato dal numero di Stati che possono essere raggiunti senza bisogno di visto. Per esempio, quello italiano – che è uno dei più ambiti, ma per fortuna ancora non è in vendita – dà l’accesso diretto a 172 dei 199 Paesi analizzati da Henley & Partners. Quello di Saint Kitts and Nevis a 120 Paesi, tra i quali tutti quelli dell’Unione europea. Infatti costa più di quello di un altro paese caraibico, lo Stato di Dominica – 250mila dollari contro 100mila – che dà l’esenzione del visto solo in 50 Stati.

Di certo, anche se l’iniziativa maltese ha suscitato malumori nell’Ue (quando se ne parlò per la prima volta la vice-presidente della Commissione Europea Viviane Reading dichiarò perentoriamente “La cittadinanza non deve essere in vendita”) il business dei passaporti ha raggiunto le aree periferiche dell’Europa. Oltre a Malta, infatti, anche Cipro offre il suo passaporto ai nababbi. Si tratta di acquistare un immobile di valore almeno 500mila euro o versare due milioni di euro nelle casse del governo.
E’ un mercato che si svolge solitamente in modo esplicito, senza ipocrisie. I contraenti sanno benissimo che si tratta di un affare. Non sono previste prove di conoscenza della lingua e della storia. Né, ovviamente, alcun obbligo di residenza. Con qualche piccola eccezione. Per esempio, per diventare cittadini di Antigua e Barbuda – oltre a investire somme consistenti nell’economia locale – è necessario trascorrere almeno cinque giorni l’anno nel Paese. Vista la bellezza del luogo, un sacrificio sopportabile.
Ma non mancano i rischi. In particolare quello di ritrovarsi come cittadini personaggi ricchi quanto imbarazzanti. Come ricorda Lorenzo Piccoli su Unimondo.org, nel 2014 il Dipartimento del Tesoro americano ha rilasciato un’allerta relativa a Saint Kitts and Nevis per aver dato la cittadinanza a pagamento a dei cittadini iraniani che intendevano aggirare le sanzioni internazionali imposte al loro Paese in relazione al programma di sviluppo nucleare. E pochi mesi dopo il Canada ha reintrodotto il visto d’ingresso per i titolari di passaporto di Saint Kitts and Nevis, che ha così perso una parte del suo valore commerciale.

Nessun commento:

Posta un commento