sabato 14 marzo 2015

La presidente della Crusca dà ragione a Boldrini: "Dire 'ministra' e 'deputata' aiuta la parità di genere"

La presidente della Camera, Laura Boldrini (Ansa)La presidente della Camera, Laura Boldrini (Ansa) 

La presidente della Crusca dà ragione a Boldrini: "Dire 'ministra' e 'deputata' aiuta la parità di genere"

di Antonella Loi (@an_loi)
Il tweet di Laura Boldrini che dava conto della missiva di sollecito ad un uso "corretto" di forme di linguaggio di genere, inviata ai deputati, continua ad alimentare polemiche. "L'adeguamento del linguaggio al ruolo istituzionale, professionale e sociale assunto dalle donne", dice la presidente della Camera spingendo all'uso di forme appropriate "secondo il genere della persona cui esse si riferiscono", è apparsa a molti - tra cui diversi politici, anche della maggioranza - questione di lana caprina. Per capirci: usare "ministra" piuttosto che "ministro" se a ricoprire la carica sia una donna, e parimenti sindaca, deputata, signora presidente, è a detta di Boldrini cosa buona e giusta oltreché opportuna. Le critiche, tra l'ironico e l'indignato, si sintentizzano in un concetto semplice (o forse semplicistico): la questione femminile merita ben altre azioni. Ma se invece non si stesse parlando di meri esercizi lessicali? Anche perché, spiega Nicoletta Maraschiopresidente onorario dell'Accademia della Crusca, "le questioni linguistiche sono importanti e chi critica dimostra di non avene capito la centralità" nel più ampio discorso della parità di genere. 
Su Boldrini critiche sia da destra che da sinistra.
"Quelle critiche mi hanno un po' meravigliata, perché non è assolutamente un fatto marginale. Naturalmente questo non vuol dire non occuparsi della violenza contro le donne o non occuparsi della disparità di remunerazione... l'attenzione ai fatti linguistici ha un grande valore, simbolico, prima di tutto, e poi può essere un incentivo al riconoscimento del ruolo della donna oggi nella società".
La lingua italiana va aggiornata?
"Direi che non si tratta di un aggiornamento, la presidente ha tenuto conto di un dibattito che si è sviluppato ormai da tantissimo tempo. Da una decina d'anni ci sono state molte sollecitazioni in questo senso. E quindi lei ha rivolto alle colleghe e ai colleghi un invito opportuno".
Perché?
"Come sappiamo l'italiano conosce il genere maschile e il femminile, operaio e operaia, infermiere e infermiera, per esempio. Non si capisce perché non dobbiamo impiegare la stessa regola anche per le professioni alle quali solo recentemente le donne hanno avuto accesso. E quindi ministro e ministra, senatrice e senatore, deputato e deputata. E' normale che sia così e quindi credo che Boldrini abbia fatto bene ad intervenire". 
Quindi sta dicendo che non è solo una questione solo grammaticale?
"Esatto è una questione di tipo socio-linguistico e politico perché ha delle valenze che possono sensibilizzare l'opinione pubblica in generale sui nuovi ruoli che la donna ha nella società e nella politica".
Nell'italiano, secondo lei, il "sessismo linguistico" esiste?
"E' un problema reale, certo. Ma io credo che sia sbagliato imporre delle regole perché la lingua è qualche cosa di storicamente determinato e la lingua stessa ha delle resistenze. Per esempio negli atti pubblici scrivere sempre il maschile e il femminile, l'uno accanto all'altro, può rendere i testi più barocchi o troppo enfatici, andando contro quella semplicità nel linguaggio amministrativo a cui tutti noi crediamo. Però, appoggiare una tendenza al riconoscimento del genere anche per professioni nuove è non solo legittimo ma opportuno". 
Donne grammatica e media è un libro realizzato da un'associazione di giornaliste, Giulia, in collaborazione con alcune accademiche della Crusca. L'autrice, Cecilia Robustelli, individua gli strafalcioni classici del linguaggio giornalistico riferito a donne che ricoprono cariche pubbliche. Nella corretta evoluzione, quindi, che ruolo svolgono i media?
"Preciso che nell'Accademia ci sono posizioni diverse e non tutti la pensano allo stesso modo. Quello che penso è che i media svolgano un ruolo fondamentale. Quello che risulta da un'analisi puntuale è che c'è una grandissima oscillazione d'uso. Esempio: frasi dove la parola ministra è scritta prima al femminile poi al maschile e il riferimento è alla stessa donna".
C'è un po' di confusione?
"Sì ma è in qualche modo naturale perché la lingua sta cambiando, quindi si accettano i cambiamenti in questo senso ma non in modo sistematico. Se crescesse l'attenzione dei media su questo problema, ci sarebbe un importante incentivo - al di là delle questioni linguistiche - al riconoscimento dei nuovi ruoli che le donne hanno nella società e nella politica. Quindi la lingua come motore e come spinta contro il silenzio e l'oscuramento dei problemi che ancora oggi la donna ha e verso un normale riconoscimento dei nuovi ruoli che svolge". 

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