sabato 13 luglio 2013

Riduzione del personale, esercito europeo, stop agli F35: la ricetta per la pace di Archivio Disarmo

Riduzione del personale, esercito europeo, stop agli F35: la ricetta per la pace di Archivio Disarmo

di Paolo Salvatore Orrù
Gli Stati Uniti stanno concentrando il loro esercito nel Pacifico che, è un dato di fatto, considerano più strategico del Mar Mediterraneo. “Una scelta di campo che costringerà l’Europa a riorganizzare i sistemi d’arma e a decidere se dovrà dotarsi di un esercito europeo o continuare a mantenere 27 eserciti, 27 marine e 29 aeronautiche”, commenta Luigi Barbato, già Responsabile del Coordinamento armi e trasferimenti militari della sezione italiana di Amnesty International, oggi consulente di Archivio Disarmo.
L’UE nel 1999 aveva rinunciato a qualsiasi tipo di difesa collettiva che non fosse quella Nato. Questo vuol dire che l’Unione Europea dal punto di vista militare non esiste: nel 1999 Javier Solana, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune dell'Unione Europea, da subito abdicò all’idea di un esercito continentale. “In realtà, nessuno lo ha mai voluto e ancora oggi nessuno lo vuole”, ha insistito più volte il Generale Fabio Mini, ex comandante della missione in Kosovo KFOR dal 2002 al 2003. “Una forza armata sotto le insegne della Ue metterebbe subito a nudo le ridondanze, le ripetizioni e gli sprechi perpetrati in nome della Difesa”, ha anche scritto in uno dei suoi saggi Mini.
Sprechi e ridondanze che l’Italia non può permettersi ma che, se l’Europa decide di conservare gli eserciti nazionali, sarebbe costretta a sopportare per mantenere e difendere l’approvvigionamento energetico (gas e petrolio) assicurato da contratti stipulati con alcuni paesi del Nord Africa. Per recuperare risorse, con alcuni decreti legislativi si sta chiedendo al governo la soppressione di alcune basi e di trasformare lo strumento militare. Il principale obiettivo è quello di ridurre entro il 2024 sino a 150 mila unità il numero dei militi in servizio. Decisione complessa: per le “eccedenze” è previsto, sia nella remunerazione sia nel modello pensionistico, un peggioramento dello status. La riduzione del personale non comporterà un automatico calo di spesa: i risparmi verrebbero, di fatto, utilizzati per formare e armare meglio i soldati d’elite.
Altro punto dolente, lo Stato dopo aver tagliato su scuola, sanità e previdenza (e sulle pensioni degli ex combattenti), non sembra voler intaccare i costi per la Difesa, confermando una spesa di “20 miliardi di euro annui (escluse le spese le missioni di peacekeeping), risorse che potrebbero essere utilizzate per la rinascita del Paese”, spiega Barbato. Per lo studioso, una particolare attenzione merita la vicenda degli F-35 Lightning 2, perché i cacciabombardieri destinati all’Aeronautica e alla Marina italiane costeranno 99 milioni di euro ad esemplare per la versione A convenzionale e 106,7 milioni di euro per la versione B a decollo corto e atterraggio verticale. “Il prezzo degli F-35 è lievitato in maniera esorbitante e, oltretutto, il sistema d’arma non trova un’adeguata giustificazione né in un in una a situazione di crisi economica come la nostra né nell’uso che si può fare di questi aerei”, spiega Barbato. Che ha anche chiarito che “il contratto definitivo per la fornitura del sistema d’arma non è ancora stato firmato e che non esistono penali per il mancato acquisto degli F35".
Gli F35 interessano anche alla Marina. Che, peraltro, il maggio scorso, spiega l’esperto di Archivio Disarmo, ha annunciato l’acquisto di dodici navi. La giustificazione è sempre la medesima: ricadute tecnologiche e posti di lavoro. Ma, come per gli F-35, le “prospettive occupazionali non necessariamente sono così rosee e non sempre sono legittimabili con investimenti destinati al campo militare che, possibilmente, tolgono fondi a università, scuola e ricerca”. Cacciabombardieri, fregate e altre armi “non possono essere giustificate con la necessità di doversi difendere da eventuali minacce terroristiche o dai sommovimenti in corso nel Mediterraneo”, sostiene l’esperto in spese militari.
Per questo, il Parlamento ha chiesto di rinviare le decisioni definitive solo dopo le conclusioni del Consiglio d’Europa, convocato in sessione straordinaria per il prossimo dicembre. Saprà in quell’occasione l’Ue ridisegnare il suo modello di difesa tenendo conto delle mutate esigenze dell’Europa? La questione non è di lana caprina, la sicurezza del Paese, ancor prima delle scelte economiche, “sono importanti ma è necessario poter quotare se per l’Italia è meglio utilizzare le risorse in altri settori o spenderli per una corsa agli armamenti che sembra essere senza fine”, conclude Barbato. L'analisi di Archivio Disarmo è condivisa da Luca Comellini, il segretario del Partito dei Militari (Pdm): "Uno stop di tre anni può donare un po' di ossigeno a un Paese in panne".

Nessun commento:

Posta un commento