lunedì 30 maggio 2016

Pannella, l'ultimo grande della I Repubblica.

Pannella, l'ultimo grande della I Repubblica. "Odiato" da comunisti e Dc. Lo "sgarbo" di Scalfaro-Ciampi-Napolitano. Al Papa "Ti voglio bene"

. Politica


Se ne è  andato, l'ultimo grande, veramente grande della prima Repubblica. Lui sempre irriverente con il potere, non tanto come potere, quanto come sopruso, "odiato" politicamente dai comunisti in primis, che lo consideravano una fastidiosa spina nella sinistra e dai democristiani, non tutti, ma dagli integralisti. E lui ricambiava, perche' non poteva vedere ne' Togliatti, Longo o Berlinguer (era contro il compromesso storico), ma nemmeno i vari Moro, Andreotti, Zaccagnini e Scalfaro. Anche se Moro avrebbe voluto salvarlo ed era per la trattativa. Con Fanfani fu diverso. Lo sfido' al referendum sul divorzio, che il leader Dc, allora segretario del partito, aveva voluto trasformare (un insegnamento anche per il futuro?) in un referendum tra i moderati e la sinistra, e vinse. Ma Fanfani un altro gradissimo, molto intelligente e politico puro (nel senso che cerco' sempre di operare per il bene comune) non gliene volle mai, abituato com'era a dover fronteggiare gli intrighi non a viso aperto di palazzo (per piazza del Gesu', che era la storica sede della Dc, con la segretaria che allora contava più che essere premier) da parte degli altri si fa per dire 'cavali di razza' del suo partito. (In realtà i cavalli di razza Dc erano solo due, Fanfani appunto e Moro). Marco era un liberale, ma simile a quelli anglosassoni e fondo' il Mondo con Pannunzio, una sorta oltre che di giornale di circolo politico-culturale. Era il tempo della dolce vita romana e l'appuntamento fisso era da Rosati a via Veneto. Fondo' i radicali e da ambizioso quale era sperava in un maggior successo. Gli sarebbe piaciuto avere il successo della Lega o dei Cinque stelle. Ma non ando' mai oltre pochi punti percentuali. E siccome, non era privo di difetti, in parte dipese anche da lui. Perché non organizzo' mai veramente il partito, tenendolo a movimento. E ne fu sempre padre-padrone. I congressi, anche frequenti dei radicali erano democraticamente una farsa. Si votava per alzata di mano e l'assemblea era tenuta costantemente sotto controllo. Nessuno poteva osare ribellarsi a lui. E a quelli che sono andati per altri lidi, come Rutelli o Giachetti a sinistra e Capezzone (che pure faceva parte dell'ala più di sinistra dei radicali) o Elio Vito a destra, non rivolgeva a Montecitorio neppure un saluto. Li considerava traditori e basta. Gli hanno voluto bene, ricambiati, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, soprattutto Craxi. Ma lui, pur essendo un uomo chiaramente  della prima Repubblica, quando ci fu Tangentopoli aveva già 62 anni, anche per vezzo voleva considerarsi uno nuovo e quindi non amava parlare troppo del passato. Ma lo sgarbo più grosso lo subì dai presidenti della Repubblica che non lo vollero senatore a vita, nonostante lo meritasse più di ogni altro. Cossiga lo avrebbe fatto, ma Pannella era ancora troppo giovane. Berlusconi premier lo propose più volte, Prodi no. Ma ne' Scalfaro (democristiano integralista che mal lo sopportava), ne' Ciampi (troppo legato ai comunisti e a quella componente laica della sinistra massimalista di provenienza azionista), ne' tantomeno Giorgio Napolitano (sempre coerente nelle scelte al suo passato comunista) gli vollero riconoscere il  suo ruolo nella storia italiana. Sicuramente come autorità morale superiore a molti di loro e soprattutto a tanti divenuti senatori a vita. Lo hanno salutato alla Camera e domani saranno i cittadini a ricordarlo l'ultima volta a piazza Navona, una piazza simbolo di tante sue battaglie. Saranno funerali civili, anche se lui una sua religione l'ha sempre avuta ed anche un profondo rispetto del mondo cattolico, al di la' delle sue battaglie per i diritti civili che non riteneva in contrasto. Il  "dubbio" sull'Aldilà lo ha sempre assillato. Lui che era un mistico come dimostrano le sue battaglie con l'impegno del proprio corpo (alla fine i digiuni gli avevano stravolto il metabolismo) aveva una concezione kantiana del bene come bene, fine a se stesso. Non per un posto in Paradiso ed ovviamente tanto meno per una poltrona o per benefici economici. Papa Francesco lo aveva ammaliato, ma aveva avuto ottimi rapporti anche con Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI. Le ultime parole le ha avute per Bergoglio: "Ti scrivo dalla mia stanza all'ultimo piano, vicino al cielo. Caro Francesco ti voglio bene". E non c'e' dubbio che se c'e' il Paradiso un posto spetterà a lui, il grande ed indimenticabile Marco.
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