domenica 3 luglio 2016

Brexit. Italia pronta a raccogliere i frutti: l'idea di attrarre le imprese che lasciano Londra

Brexit. Italia pronta a raccogliere i frutti: l'idea di attrarre le imprese che lasciano Londra con no tax area a Milano e Napoli

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RENZI


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Più passano i giorni dal referendum britannico del 23 giugno, più diventa chiaro che per Roma la Brexit è un’opportunità. Con diverse sfaccettature. Nell’era dell’addio della Gran Bretagna all’Europa, l’Italia siede al tavolo con Parigi e Berlino, finalmente nella sala di comando dell’Ue. Grazie allo shock della Brexit sull’Ue, Matteo Renzi può ben sperare in una svolta nelle politiche economiche europee verso una sempre maggiore flessibilità. Ma c’è anche la speranza di attrarre in Italia quelle imprese che decideranno di spostare il loro quartier generale dalla City ad un'altra capitale europea.
"Se i nostri partner europei accetteranno l'idea della scommessa e di un'Europa piu' capace di valori, intesi come valori sociali, un'Europa con l'anima e non solo che guarda al portafoglio, penso che lo shock della Brexit potrebbe essere paradossalmente persino un fatto positivo", dice Matteo Renzi a Bruxelles per il primo Consiglio Europeo post-Brexit.
Il calcolo che fanno a Roma – e per la verità anche nelle altre capitali europee nonché nei palazzi europei di Bruxelles – è che saranno diverse le multinazionali che decideranno di lasciare il Regno Unito per trasferirsi in un paese dell’Unione Europea. E benché si possa dare per scontato che molte imprese migreranno verso l’Olanda o altri paesi più convenienti dal punto di vista di fiscale, il governo Renzi non vorrebbe rimanere indietro in questa nuova corsa ad attrarre capitali esteri.
L’idea ancora molto embrionale è di riuscire a istituire ‘no tax area’ nella zona che fino allo scorso anno ha ospitato l’Expo a Milano e a Bagnoli, area che il governo Renzi vorrebbe riuscire finalmente a riqualificare a Napoli. A Roma le antenne sono dritte a captare qualsiasi segnale in questa inedita fase di Brexit. E si valuta anche il fatto che eventuali scelte di trasferimento sull’Olanda potrebbero non essere definitive in quanto anche in questo paese gli euroscettici hanno chiesto un referendum sulla cosiddetta ‘Nexit’. Insomma le imprese che traslocano lì potrebbero ritrovarsi a dover fare le valigie di nuovo tra pochi anni. Tutti i leader Ue sono impegnati a scongiurare questa ipotesi, in primis Renzi, ma il rischio è oggettivo. E lo mettono nel conto anche gli imprenditori, se è vero che anche in Fiat Chrysler si interrogano sulla loro sede legale ad Amsterdam, mentre non valutano di spostare quella fiscale dal Regno Unito nemmeno ora che Londra ha detto addio a Bruxelles.
Tutti gli scenari sono in movimento. E Renzi, pur stonato dalla sconfitta del Pd alle ultime amministrative, si è rimesso in movimento per raccogliere i frutti della Brexit. Ieri sera a Berlino, invitato da Angela Merkel al tavolo con Francois Hollande, un vero e proprio gabinetto di crisi dell’Unione, ha avuto modo di constatare un diverso atteggiamento dei tedeschi sulla flessibilità in politica economica.
Certo, non ci sono inversioni a ‘u’, anche perché una Cancelliera che finora ha predicato rigore non può cominciare a parlare esplicitamente di allentamento dei vincoli, anche per non urtare l’opinione pubblica tedesca. Però - è convinzione diffusa tra i più fidati del premier - Roma non avrebbe mai potuto slabbrare il fiscal compact se non avesse iniziato la discussione sulla flessibilità due anni fa a livello europeo. Non sarebbe arrivata a chiudere con 1.8 per cento di deficit, risultato che inorgoglisce il premier italiano se paragonato al 5,2 per cento della Spagna.
E così tra un ragionamento e l’altro sui modi di intendere l’Europa, in una cena a tre per molti versi simile a quella di Renzi e Hollande con Umberto Eco e Jack Lang l’anno scorso all’Expo, nell’ambito di una chiacchierata anche culturale sull’Europa, è stata impostata la base di un cambiamento di linea. Con una Merkel più che disponibile verso l’Italia e un Hollande preoccupato per i problemi interni alla Francia e più che mai aggrappato a questo strano asse a tre.
Da parte di Roma, la speranza è di raccogliere più frutti possibili per una legge di stabilità 2016 che tagli l’Irpef e rafforzi gli investimenti. “L’Europa deve liberarsi da una visione fatta solo di austerity – dice Renzi dopo la riunione del Pse a Bruxelles, prima di arrivare al Consiglio europeo sulla Brexit – servono investimenti, serve creare lavoro, sennò l’Europa resterà sinonimo di ‘problema’”. Ma a fine giugno la marcia di allontanamento dal rigore non ha ancora una ricaduta precisa. E’ presto.
A Bruxelles, dove i commissari europei scioccati dalla Brexit chiedono colloqui con gli italiani per consigli su come uscirne (sembra strano ma è così), Renzi ha ormai imparato la logica del ‘pezzetto per volta’, l’unica possibile per ottenere risultati. Si tratta di capire se continuerà a pagare, ora che la pressione degli euroscettici non sembra voler concedere altro tempo alle Cancellerie. Anche perché lo stesso premier italiano non ha molto tempo a disposizione: a ottobre lo attende il test del referendum costituzionale, di cui non a caso tutti gli chiedono a Bruxelles, preoccupati da un’eventuale sconfitta che lo eliminerebbe dalla scena politica e istituzionale, proprio ora che è entrata nella ‘sala di comando’ dell’Unione.

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